Il diritto della ex moglie a rivolgersi, per l’assegno divorzile, agli eredi del coniuge divorziato è un’ulteriore garanzia introdotta dalla riforma della normativa divorzile del 1978 e mantenuta anche nel testo novellato della legge n° 74/87 che deriva dalla necessità di sopperire alla situazione in cui, con la morte dell’obbligato, la donna perdeva la possibilità di percepire l’assegno periodico.
Tramite il disposto contenuto nell’art. 9 bis della legge divorzile, dunque, l’avente diritto all’assegno, in presenza di alcune condizioni e secondo alcuni parametri, potrà pretendere, a carico dell’eredità, un assegno periodico o l’assegno in un’unica soluzione.
Anche tale disposizione non opera automaticamente, ma necessita di un provvedimento del Tribunale nei confronti degli eredi.
Sinteticamente ricordiamo che affinché sorga tale diritto è necessario:
1) Che il richiedente sia titolare dell’assegno divorzile, (non percepito come una tantum);
2) Che non abbia contratto nuovo matrimonio;
3) Che si trovi in stato di bisogno;
Qualche dubbio può sorgere su quest’ultimo presupposto.
Lo stato di bisogno può far pensare ad un carattere alimentare dell’assegno a carico dell’eredità e non è chiaro se debba trattarsi di un bisogno inteso in senso relativo, così come per la determinazione dell’assegno divorzile, cioè rapportato al precedente tenore di vita, al modus vivendi, al ceto sociale, oppure se debba trattarsi, più propriamente, di esigenze di sopravvivenza vera e propria.
La lettera della norma fa pensare a quest’ultima ipotesi; diversamente non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere, oltre al presupposto del diritto preesistente all’assegno, anche il requisito dello stato di bisogno.
Secondo altra interpretazione viceversa, l’aggiunta dell’inciso “qualora versi in stato di bisogno” va intesa nel senso di un’ulteriore controllo da parte del Tribunale della persistenza della pregressa situazione legittimante il diritto dell’assegno divorzile per “la mancanza di mezzi adeguati”.
Attualmente si ritiene, secondo la rara giurisprudenza, che lo stato di bisogno non sia certo riferibile alla povertà assoluta, ma debba essere valutato dal magistrato considerando sia l’importo dell’assegno divorzile precedentemente percepito, sia la situazione oggettiva personale dell’avente diritto, sia l’esistenza ovviamente di un trattamento pensionistico di reversibilità, e non da ultimo quanti e di che entità siano i beni ereditati, il numero e le caratteristiche degli eredi ed ovviamente le condizioni economiche degli stessi, (in tal senso Cass. n° 9185/02).
Il disposto normativo in esame non può che riguardare il coniuge, in quanto la prole parteciperà ovviamente alla distribuzione della massa ereditaria in forza della normativa in tema di successione legittima.
È capitato che il coniuge divorziato ritenga che la norma vada interpretata nel senso di una modifica della disciplina preesistente in tema di successioni, ammettendo una ultrattività dei diritti ereditari in favore anche del coniuge divorziato.
Sul punto tuttavia la giurisprudenza si è sempre espressa in modo negativo.
Anche la Cassazione, in un caso in cui non vi erano ulteriori eredi, se non potenzialmente il coniuge divorziato, con sentenza 24/02/2004 n° 3647 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 della Costituzione, in rapporto all’art. 583 c.c. nella parte ove non si prevede che, in assenza di altri successibili, l’eredità si devolva al coniuge divorziato.
Infatti l’art. 42 ultimo comma della Costituzione ha rimesso la determinazione delle categorie dei chiamati alla successione legittima alla valutazione discrezionale del legislatore e questi ha escluso il coniuge divorziato.
Va tenuto peraltro conto che in suo favore, ove si trovi in stato di bisogno, opera proprio l’istituto dell’assegno periodico a carico dell’eredità di cui alla legge 898/70 e successive modifiche.
Ben potrà questi richiedere un contributo a carico degli eredi, ma non richiedere lo status di erede.
Nella pratica giudiziaria (il procedimento relativo è riservato al Tribunale in Camera di Consiglio) in genere una volta presentato il ricorso le parti tendono a raggiungere un accordo non stabilendo un assegno periodico bensì ricorrendo all’altra possibilità prevista dalla legge e cioè ad una liquidazione una tantum in favore del coniuge divorziato con diritto all’assegno mensile.
Da molte parti si è criticata la norma sotto un profilo di giustizia sostanziale laddove accade che l’ex coniuge divorziato finisca con attaccare gli eredi legittimi (in genere i figli), nei confronti dei quali non sussiste alcun rapporto giuridico e quindi non essendo spiegabile su un piano di diritto perché si debba accollare un onere a questi senza alcun rapporto giuridico o obbligazione preesistente.
Sul tema non è ravvisabile una giurisprudenza significativa, tant’è che numerose problematiche sono rimaste aperte, cioè per esempio se siano tenuti all’assegno i soli eredi sia legittimi che testamentari o se l’obbligo debba estendersi anche ai legatari o donatari.
È pacifico comunque che la corresponsione dell’assegno debba avvenire in proporzione alle rispettive quote ereditarie e ovviamente l’assegno a carico dell’eredità non è certamente trasmissibile agli ulteriori eredi dell’avente diritto.