Nel procedimento di separazione, accanto alla tutela offerta attraverso i normali mezzi di esecuzione forzata previsti dall’ordinamento, l’art. 156 del codice civile prevede espressamente una serie di mezzi di protezione a favore del coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento e all’assegno alimentare.
Fra questi, uno dei più importanti è senz’altro quello che concerne la possibilità per il giudice di ordinare ai terzi debitori del coniuge obbligato di versare le somme dovute direttamente al coniuge creditore.
I mezzi di tutela previsti dalla normativa dunque consistono:
A) Nella possibilità di costringere l’obbligato a prestare idonea garanzia reale o personale;
B) Nella possibilità di sequestro dei beni dell’obbligato ovvero di ordinare ai terzi debitori di quest’ultimo di versare le somme dovute direttamente al coniuge creditore;
C) Nell’attribuzione alla sentenza di primo grado di titolo valevole per l’iscrizione di ipoteca sui beni del coniuge obbligato.
Nella pratica giudiziaria, tenuto conto che la possibilità di iscrivere ipoteca sui beni del marito (onerato del mantenimento) non può essere esercitata con i provvedimenti temporanei ed urgenti statuiti all’udienza presidenziale, ma soltanto con la sentenza definitiva, resta il problema di come proteggere il coniuge nel corso del processo.
La tutela più utilizzata nella pratica è proprio la possibilità di richiedere al giudice l’ordine diretto al terzo, in genere il datore di lavoro, di provvedere al pagamento dell’assegno dovuto a moglie e figli.
Per far ciò deve sussistere la prova di un pregresso inadempimento o comunque un ritardo nel pagamento del mantenimento.
Va ricordato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 144/83 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non estende il beneficio anche ai figli dei coniugi consensualmente separati, ed ha attribuito con la sentenza n. 278/94 anche al giudice istruttore il potere di ordinare ai terzi datori di lavoro, o comunque debitori del marito, di versare l’assegno direttamente al coniuge avente diritto.
IL PRESUPPOSTO DELL’INADEMPIMENTO
La richiesta al giudice presuppone tuttavia la dimostrazione di un inadempimento e quindi il magistrato richiede sempre la dimostrazione del ritardo nonostante l’intimazione e cioè in pratica richiede la produzione dell’atto di precetto di pagamento o dell’eventuale successivo atto di pignoramento nei confronti del marito.
Una volta dimostrato tale inadempimento il giudice ordinerà, in genere al datore di lavoro, di pagare parte della retribuzione direttamente alla moglie avente diritto.
La Corte di Cassazione sotto questo profilo (sent. 23668/2006) ha precisato che comunque non è necessario dimostrare un inadempimento rilevante, ma è sufficiente anche una modesta irregolarità nei pagamenti.
IL VANTAGGIO DELL’ORDINE NEI CONFRONTI DEL TERZO
Come ben sanno gli operatori del diritto, il vantaggio di tale mezzo di tutela consiste nell’evitare per il futuro qualsiasi discussione, in quanto dal momento dell’ordinanza del giudice in poi, il pagamento proviene direttamente dal datore di lavoro o dal terzo obbligato nei confronti del coniuge avente diritto.
Quindi si evitano contestazioni in tema di inesatto inadempimento, scadenza del termine di pagamento, rivalutazione dell’assegno, compensazione illegittima con altre prestazioni, ecc.
IL PAGAMENTO A CARICO DEI CONDUTTORI
Recentemente il Tribunale di Roma con ordinanza del gennaio 2013, ha esteso l’applicazione dell’istituto dell’ordine al terzo di pagare il mantenimento direttamente alla moglie anche nei confronti del conduttore del marito.
In pratica, nel caso in cui il marito sia proprietario di una casa data in affitto, i suoi inquilini devono pagare il canone direttamente alla ex moglie, almeno per la parte corrispondente all’assegno al quale lei ha diritto.
Nel caso in essere la donna era titolare di un assegno di mantenimento per sé e per il proprio figlio, e dato il perdurare dell’inadempimento del marito aveva già provveduto a notificare precetto ed a far eseguire pignoramento presso terzi, relativamente ai canoni locativi che gli inquilimi del marito, proprietario di numerosi immobili, avrebbero dovuto a lui versare.
Tuttavia così come avviene in molti Tribunali, una volta notificato l’atto di pignoramento, l’udienza di assegnazione (quella in cui materialmente il giudice trasferisce le somme dal terzo pignorato al creditore) veniva fissata a distanza di oltre un anno, sicché di fatto la moglie, la quale era priva di ogni forma di sostentamento, si ritrovava in una situazione di estremo disagio.
Pertanto questa richiedeva al giudice l’emissione dell’ordinanza di pagamento, facendo rilevare la lontananza dell’udienza di assegnazione e la circostanza che una volta eseguito il pignoramento, questo avrebbe coperto le somme dovute dal momento del pignoramento indietro, ma non era possibile, stante la continuativa inadempienza del marito, dar corso ad una serie di pignoramenti successivi, quantomeno per il rilevante costo delle procedure.
Controparte eccepiva l’inammissibilità di una simile pretesa rilevando che le somme erano già sottoposte ad un pignoramento e quindi non poteva essere emessa una ordinanza di pagamento in sovrapposizione ad un pignoramento.
Il magistrato tuttavia era di diverso avviso e ordinava a tutti i conduttori del marito di versare le somme da loro dovute fino alla concorrenza del credito della moglie, direttamente in favore di questa.