VENEZIA. L’estremo nord del pianeta, le distese innevate, ma anche le temibili testimonianze dei cambiamenti climatici così come il lento e inesorabile processo di civilizzazione di immensi territori e la dura vita del popolo Inuit, sono al centro di una grande mostra fotografica aperta fino al 2 aprile a Venezia, negli spazi del centro espositivo Casa dei Tre Oci.
Proposti 120 scatti, realizzati dall’italiano Paolo Solari Bozzi, dall’islandese Ragnar Axelsson e dal danese Carsten Egevang, tre maestri della fotografia di reportage, capaci di offrire tre diverse narrazioni della sconfinata regione artica. Con il titolo Artico. Ultima frontiera, la mostra è stata curata dal direttore della Casa dei Tre Oci Denis Curti, che ha selezionato le immagini più adatte per dare vita a un progetto espositivo fondato sulla bellezza e sulle avversità, riportando al tempo stesso l’attenzione dei visitatori sui paesaggi naturali e le tematiche ambientali più attuali. La difesa di uno degli ultimi ambienti naturali non ancora sfruttati dall’uomo, il pericolo imminente del riscaldamento globale, la sensibilizzazione verso le problematiche della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, la dialettica tra natura e civiltà sono dunque i temi messi a fuoco da un percorso ideale, che spazia dalla Groenlandia alla Siberia, dall’Alaska all’Islanda, documentando la vita del popolo degli Inuit, costituito da soli 150.000 individui, costretti a gestire, nella loro esistenza quotidiana, la difficoltà di un ambiente ostile. “In queste immagini – sottolinea Denis Curti – l’imminenza del riscaldamento globale si fa urgenza, mentre si apre un confronto doloroso in cui l’uomo e le sue opere vengono inghiottiti dall’immensa potenza della natura”. La lotta con le difficoltà dell’ambiente, il passaggio, lento ma inesorabile, dallo stile di vita di una cultura millenaria a quella della civilizzazione contemporanea, cui si aggiunge il drammatico scenario del cambiamento climatico, figlio del surriscaldamento ambientale, vengono puntualmente descritti nelle splendide immagini. Si comincia con gli scatti di Paolo Solari Bozzi che per questa rassegna veneziana presenta un progetto inedito, frutto di un viaggio compiuto, tra febbraio e aprile dello scorso ‘anno, sulla costa orientale della Groenlandia, dove ha visitato numerosi villaggi, riportando la quotidianità di una popolazione da sempre pronta ad affrontare la durezza di quella terra selvaggia (il reportage sarà pubblicato da Electa Mondadori in edizione inglese, con il titolo Greenland Into White). Le popolazioni Inuit sono quindi al centro della ricerca di Ragnar Axelsson che, fin dai primi anni Ottanta, ha viaggiato nelle ultime propaggini del mondo abitato per documentare e condividere le vite dei cacciatori nell’estremo nord del Canada e della Groenlandia, degli agricoltori e dei pescatori della regione più settentrionale dell’Atlantico, degli indigeni della Scandinavia del nord e della Siberia. Ragnar Axelsson racconta anche di villaggi ormai scomparsi, di intere comunità ridotte a pochissimi anziani, che resistono in una grande casa scaldando una sola stanza. Nelle immagini del fotografo islandese rivivono la sparuta, coraggiosa umanità incontrata sulle lunghe piste delle regioni artiche, quei mestieri che nessuno fa più e soprattutto la lotta senza tregua per la sopravvivenza quotidiana. Carsten Egevang non è da meno dei suoi due colleghi. Forte di una formazione accademica in biologia, che lo ha portato dal 2002 al 2008 a vivere in Groenlandia e a studiare la fauna ovipara della regione artica, Egevang ha saputo documentare con la sua macchina fotografica la natura selvaggia e la tradizionale vita delle popolazioni Inuit. Accanto alle potenti immagini di un mondo dalle molte asperità e suggestioni, ma certamente al limite, la mostra dei Tre Oci presenterà tre documentari che arricchiranno questa narrazione delle regioni del Nord e delle popolazioni Inuit: Sila and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gama nel 2015, Chasing Ice, diretto nel 2012 dall’americano Jeff Orlowski e Ice Hunters, produzione ceco-statunitense del 2015.