Nella notte del 20 marzo il Sole è entrato nel Segno dell’Ariete.
Appartiene, l’Ariete, all’Elemento Fuoco. Fuoco, in questo caso, primigenio, urgente, scatenato, dirompente; come dirompente, focosa è la passione erotica; quella del montone che si scaglia sulla pecora per possederla e fecondarla. Ma questo discorso ci conduce lungo le vie del mito…
Quanti, quanti pretendenti alla mano di Teofane, la bellissima figlia di Bisalte, re di Tracia! E tra essi ce n’è uno di natura divina, Poseidone, signore del mare, che rapisce la fanciulla nascondendola in un’isola. Lo vengono a sapere gli altri spasimanti e la cercano. Ma il dio, per ingannarli, muta la bellissima Teofane in pecora e, assunto l’aspetto di montone, si unisce a lei, generando un mirabile ariete, un ariete dal vello d’oro…
La città di Orcomeno, in Beozia, langue per la carestia. Ne è causa l’inganno di Ino, seconda moglie del re Atamante: ha persuaso le donne a tostare i chicchi di grano da seminare e, naturalmente, non v’è stato raccolto. E ancora, la crudele, falsifica il responso dell’oracolo di Delfi: perché cessi la carestia bisogna sacrificare Frisso ed Elle, i figli che il re ha avuto dalla prima moglie, Nefele. Il rogo è pronto; le fiamme già lambiscono i fanciulli. Ma ecco, una nube cala sulla pira e, all’interno di essa, inviato da Nefele, è l’ariete dal vello d’oro. Montatigli in groppa i giovinetti, l’animale si innalza in volo verso oriente. E lungo il viaggio, la mano della piccola Elle, stanca, non più si tiene al dorato pelame. E cade in mare, la tenerella; in quel mare che, da allora, è detto Ellesponto. Giunge, invece, Frisso, alla misteriosa terra della Colchide e là, benignamente accolto dal re Eeta, ne sposa la figlia Calciope. L’ariete dorato, sacrificato a Zeus, viene da questi posto in immagine nel cielo; e il suo vello, consacrato ad Ares, è appeso ad una quercia e custodito da un orribile drago…
E’ Esone il legittimo re della città di Iolco. Ma lo spodesta il fratellastro Pelia. E il bimbo Giasone, che di Esone è figlio, è inviato nelle foreste del montr Pelio, dove degnamente lo alleva Chirone il centauro. Cresce il ragazzo e, giunto alla maggiore età, torna a Iolco. Strano il suo abbigliamento: una pelle di pantera lo copre, ha una lancia per mano, il suo piede sinistro è scalzo. Pelia, che sta celebrando un sacrificio, trasalisce. E ricorda un oracolo: – Guardati dall’uomo con un solo calzare! – . Giasone, infatti, reclama il regno di suo padre. – Il trono sarà tuo – dice Pelia – non appna mi avrai portato il vello d’oro dalla lontana Colchide -. Appronta, Giasone, la nave Argo e parte con cinquanta compagni. Dopo mille avventure è davanti al re Eeta a pretendere il vello. – Aggioga questi due tori dagli zoccoli di bronzo, ara il campo di Ares e séminavi i denti di drago contenuti in questo elmo. Solo così avrai quanto chiedi -. Un mortale pericolo si cela dietro queste prove. Ma la figlia del re, la bruna Medea, col cuore sconvolto dall’amore per l’eroe, lo aiuta con le sue magiche arti, dietro promessa di matrimonio. Un prodigioso unguento protegge Giasone dall’infuocato alito dei tori. E l’elmo di Eeta, gettato in mezzo al campo arato, spinge i guerrieri, nati dai denti del drago, a uccidersi tra loro. E ancora sono i filtri di Medea che, insieme al canto di Orfeo, addormentano il drago custode del vello il quale, finalmente, è involato e portato a Iolco. E poi uccide, Medea, padre e fratello per fuggire con Giasone. Ed anche Pelia e le sue figlie sono sue vittime; come pure quella che avrebbe dovuto essere la nuova sposa di Giasone, Glauce, e suo padre Creonte; e – orrore! – cadono sotto i suoi colpi anche i suoi stessi due figli, avuti dall’eroe che l’ha tradita. Un carro di fuoco, poi, la rapisce in cielo. E fine ingloriosa ha pur Giasone: un pezzo della nave Argo, ormai in secca, gli rovina addosso e l’uccide. E il vello? Riportato a Orcomeno, riposa nel tempio di Zeus. Ne resta il ricordo, ancor oggi, nell’onorificenza, della Repubblica francese, del Toson d’Oro.