Il litorale laziale è caratterizzato da un patrimonio storico che correttamente valorizzato potrebbe diventare una grande attrattiva turistica e quindi rappresentare un’importante risorsa economica. Questa occasione è invece puntualmente sprecata. Siti archeologici non visitabili, abbandonati al degrado e all’incuria, siti visitabili solo su prenotazione per mancanza di personale, siti mai aperti al pubblico, musei chiusi da decenni.
Una situazione generale a cui ben si adatta il commento espresso da un visitatore della Villa di Nerone ad Anzio: “Un patrimonio inestimabile che va sbriciolandosi sempre più”. Facciamo un giro tra alcuni di questi importanti siti.
Il castello di Santa Severa chiuso (definitivamente) per restauri
Il Castello di Santa Severa sorge sul sito dell’antica Pyrgi, città portuale etrusca che si sviluppava intorno al porto per una estensione di circa 10 ettari, e comprende non solo l’area oggi occupata dal borgo castellano ma anche quella santuariale sita all’estremità meridionale. Nel III secolo a.C., a seguito della conquista romana, viene creato un castrum circondato da possenti mura in opera poligonale. Il sito viene abitato con continuità fino alla tarda antichità (IV – V sec. d.C.) ed è proprio sui resti del castrum romano che in epoca medievale si forma il borgo di Castellum Sanctae Severae. Il Castello vero e proprio risale al XIV secolo ed il borgo si formerà nel corso dei due secoli successivi. La sua proprietà è passata tra vari proprietari fino al 1482, quando divenne possedimento dell’ Ordine del Santo Spirito fino al 1980. Oggi il complesso monumentale appartiene alla Regione Lazio che ne ha affidato la gestione al Comune di Santa Marinella.
“Il castello è chiuso si può fare solo un giro dalla spiaggia per vedere le torri e l’esterno… è tutto in degrado anche per colpa dell’inciviltà della gente che lascia immondizia a terra”. Siamo a Santa Severa, frazione di Civitavecchia, a Nord della capitale. La vicenda inizia otto anni fa, nel 2005, quando la Provincia di Roma avvia i lavori di restauro. Intervento del valore di 8 milioni di euro. Sul sito della Provincia si legge: “Grazie ai recenti lavori di restauro finanziati dalla Provincia di Roma e dalla Regione Lazio il Castello di Santa Severa si avvia a diventare uno dei più importanti poli culturali sul litorale a nord di Roma”. Ebbene il castello, che fino a quell’anno vantava 15 mila visitatori l’anno, non è più stato riaperto. La sua difesa è nella mani del sindaco Roberto Bacheca e del “Comitato cittadino per il Castello di Santa Severa”, composto da 41 associazioni del territorio che si battono per restituire il monumento ai cittadini e garantirne una pubblica fruizione per scopi culturali e turistici. La paura infatti è che il bene venga privatizzato così come è successo alle spiagge libere a Sud del castello, considerate ultimo tratto di costa ancora intatto e naturale, che quest’estate sono state affidate in concessione per farne stabilimenti balneari. Le associazioni, dopo aver sostenuto la battaglia contro la passata giunta regionale (presieduta da Renata Polverini) rea di voler dare in concessione il bene a privati per “fare cassa” ai fini del ripianamento del bilancio della sanità, ha elaborato una proposta progettuale di uso pubblico che è stata fatta propria dall’intero Consiglio Comunale di Santa Marinella e che costituisce le linee guida della mozione recentemente approvata anche dal Consiglio Regionale. “Il Castello è un patrimonio storico e turistico della nostra Regione e una risorsa sociale e culturale per il litorale, la sua valorizzazione non è più rinviabile. La battaglia condotta da cittadini e sindaco non può più rimanere inascoltata, il presidente Nicola Zingaretti si faccia carico delle richieste fatte dal Consiglio regionale a apra un tavolo dove discutere del futuro del monumento”, questa la dichiarazione di Fabrizio Santori, capogruppo de La Destra alla Regione Lazio, all’indomani dell’approvazione. Ebbene i primi di ottobre Zingaretti si è recato a fare visita al castello “in forma privata”, accompagnato dal suo staff. “Credo che sarebbe stato opportuno quantomeno fare una telefonata al sottoscritto, che lo avrebbe senza dubbio accompagnato, magari alla presenza dell’Assessore Marongiu e dei membri della Commissione Castello, vista la delicata questione che da anni ci portiamo dietro rispetto al futuro utilizzo del Castello di Santa Severa”, questo il commento dell’amareggiato Bacheca. Il sindaco si augura che il presidente “abbia osservato attentamente il degrado in cui versa il maniero e che abbia valutato diligentemente il da farsi per la sua promozione e valorizzazione. Non possiamo perdere altro tempo e mi auguro che in breve tempo la Regione si esprima in tal senso, garantendo quello che da anni chiediamo per la crescita culturale ed occupazionale del nostro territorio”. Ebbene dopo questo sopralluogo, il comitato è stato ricevuto dall’assessore al Bilancio e Patrimonio Alessandra Sartore che si è dichiarata favorevole all’apertura del tanto agognato tavolo di lavoro tra Regione, Comune e Ministero per i Beni Culturali, richiesto dal 2012 e mai attivato. E’ stata portata a conoscenza dell’assessore sia la situazione di totale abbandono in cui versa il castello sia l’inaccettabile richiesta effettuata dal dirigente del Patrimonio regionale Mecci al Comune di Santa Marinella per togliere locali al Museo Civico, oggi destinati alle ricerche archeologiche subacquee del Centro Studi Marittimi, per ospitare una centralina di videosorveglianza. Altri incontri sono stati fatti con esponenti dell’assessorato alla Cultura della segreteria del presidente Zingaretti che stanno seguendo da vicino la “Questione castello”. Il bene è infatti inserito in un ampio progetto denominato “Progetto ABC, Arte, Bellezza, Cultura” che comprende altre importanti eccellenze della nostra regione in attesa di valorizzazione. Il Comitato spinge per una riapertura anche solo parziale del castello alle visite guidate, un tempo condotte dal personale del Museo Civico. Si tratterebbe di un primo piccolo ma significativo segnale della volontà della nuova giunta regionale. Le 41 associazioni si battono anche per la creazione di un parco archeologico-natauralistico terrestre e subacqueo, compreso tra il Castello di Santa Severa e la Riserva Regionale di Macchiatonda, lungo un tratto di costa ancora miracolosamente integro.
La villa “in bilico” di Nerone
Ad Anzio si trova la celebre villa indicata da Tacito come il luogo da cui Nerone ammirò l’incendio di Roma (Annales, XV, 39). E’ lo stesso autore ad indicare la città come luogo natale dell’imperatore, tanto che forse fu per questo motivo che decise di costruirvi un porto e la sua dimora (nella foto in apertura). La struttura, a picco sul mare, si estendeva lungo la fascia costiera a partire dalla punta di Capo d’Anzio per più di 800 metri fino al capo dell’Arco Muto. Possedeva una ricca biblioteca con scaffali in legno, adornati da borchie d’oro, mentre negli ambienti più segreti doveva esserci un museo domestico con immagini di centauri e amazzoni. Da questo museo provengono l’Apollo del Belvedere, il Gladiatore Borghese e la Fanciulla di Anzio. Nerone distrusse l’impianto originario per costruire una dimora più estesa, articolata in padiglioni, terme, giardini, fontane, terrazzi. La villa passò nelle mani dei diversi imperatori che si succedettero. Alla fase adrianea appartengono una serie di padiglioni distaccati, mentre fu in età Severiana che vennero realizzate le terme di cui oggi è visibile solo il calidarium. La villa fa parte del parco archeologico che si estende per quasi tutta la via Fanciulla d’Anzio e comprende il porto, l’area dei magazzini portuali noti come “le grotte di Nerone”. Già alcuni anni fu lanciato un inquietante allarme: la villa di Nerone era in balia degli agenti atmosferici e dell’erosione del mare, la cui azione era resa più incisiva dal degrado della costa e dall’assenza di una manutenzione adeguata. Si parlò anche di spazzatura abbandonata accanto ai cancelli del sito archeologico, scatolette di tonno dentro gli ambienti della villa, mura antiche usate per prendere il sole. Eppure nel 2007 era stato definito un accordo tra il governo e la Regione per lo stanziamento di un milione di euro da utilizzare per la costruzione di opere di difesa dell’antico porto neroniano. Negli anni invece la situazione è andata peggiorando tanto che a dicembre del 2011 una parte della falesia, dietro la zona delle cosiddette “pendiche”, è crollata portando giù una parte della villa. Ad accorgersi del crollo sono stati dei canoisti. Arriviamo a quest’anno. Ad inizio estate i cittadini, indignati per il degrado e i rifiuti sulla spiaggia delle Grotte, attraverso una petizione della Pro Loco hanno chiesto che l’area sia chiusa e inglobata così nel Parco archeologico. I commenti di quanti hanno visitato il sito quest’estate sono deprimenti, si dice che “il sito risulta abbandonato a se stesso, gli orari di apertura sono poco chiari”, “i ruderi sono mal conservati ed esposti agli agenti atmosferici e all’erosione del mare”, “si sono portati via anche i gradini della scala di legno che portava alla spiaggia e che ora è ricoperta di erbacce”. In poche parole, “un patrimonio inestimabile che va sbriciolandosi sempre più”. Ebbene circa un mese fa l’ultimo crollo: a cedere è stata una parte dei terrazzamenti della villa. Immediato è stato l’invio, da parte del sindaco Luciano Bruschini, di dirigenti del Comune per effettuare un sopralluogo. L’autorità ha voluto subito precisare che “è oltre un anno che sollecito il commissario straordinario per il rischio idrologico sulla necessità di effettuare interventi per mettere in sicurezza l’area. E ora sembra che le nostre richieste finalmente verranno ascoltate: a breve infatti dovrebbero iniziare i lavori di consolidamento”. Sino adesso l’unica buona notizia è che in nessuno dei crolli susseguitisi in questi anni siano mai rimasti coinvolti turisti, bagnanti o abitanti.
Torre Astura
Poco più a Sud, a Nettuno, c’è un altro monumento in balia del degrado: Torre Astura. La sua storia inizia al tempo dei romani, quando Cicerone decise di costruire qui la sua villa marittima. E’ stata accostata agli imperatori giulio-claudi, sicura è la presenza di un porto e di un imponente sistema di peschiere tuttora ben visibile. Nel medioevo la zona fu disabitata fino al XII secolo quando i Frangipane costruirono la Torre sul sito della villa romana. Il baluardo fu proprietà delle famiglie più importanti del tempo e fu qui che nel XIII secolo i D’Angiò catturarono Corradino di Svevia per venderlo allo Stato Pontificio. Gli ultimi proprietari furono i Borghese fino al 1984, quando il ministero della Difesa acquistò l’intera area per garantire la sicurezza del vicino poligono militare. La Torre oggi è sotto la gestione dell’Uttat con il quale il Comune ogni anno sottoscrive una convenzione che permette a turisti di poter accedere ad una delle aree più incontaminate del litorale. Nonostante l’attenzione mostrata dal Ministero, moto ondoso, agenti atmosferici, rifiuti abbandonati, atti vandalici sono causa di degrado. Risalgono al 1999 gli ultimi lavori di ristrutturazione, eppure oggi a necessitare di nuovi interventi sono le mura della cinta, della cannoniera e dei bastioni, pari ad una superficie muraria di 1800 metri quadrati. Ma è tutta la zona circostante a versare nel più totale e imperante degrado: la villa settecentesca antistante la torre è abbandonata, il ponte romano è fatiscente e necessiterebbe di importanti interventi di consolidamento, l’area archeologica dell’antica Satricum è chiusa ai visitatori.
La Mecca dei tombaroli
Ad affliggere i siti archeologi abbandonati non sono solo agenti atmosferici, incuria e vandali. Esiste un altro acerrimo nemico: il tombarolo, anche detto “ladro di storia”. Quest’estate da Torvaianica Lucia Campese, del Comitato Campo Ascolano, ha denunciato dei saccheggi compiuti in due ville romane. E’ notizia di due mesi fa il tempestivo intervento della Guardia di Finanza che ha sventato il saccheggio di un sito nell’agro di Lanuvio. Si tratta di un sito collegato al vicino santuario romano dedicato a Giunone Sospita, finora sconosciuto alla Soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio. Le Fiamme gialle hanno subito posto sotto sequestro il fondo agricolo e messo in sicurezza le strutture murarie, di età repubblicana e imperiale, messa in luce dagli scavi clandestini. Questa volta è stato evitato che migliaia di reperti venissero introdotti nel mercato illegale.
Siti vietati al pubblico e musei chiusi a oltranza
Altro problema è costituito dall’impossibilità di visitare liberamente alcuni importanti siti archeologici. Facciamo degli esempi. La Necropoli di Porto a Fiumicino, considerata una “città dei morti” unica al mondo per conservazione, è aperta solo due volte al mese tanto che nel 2012 sarebbero stati solo 700 i visitatori. Il porto di Claudio e Traiano, unico esempio imperiale conservato alla perfezione tanto da “rivaleggiare per maestosità con il Colosseo” (Andrew Wallace Hadrill), è visitabile solo su prenotazione. Così anche la tomba di Cicerone a Formia, sua città natale, dove invece è difficile riuscire a visitare la villa in quanto sita in zona privata. La Villa cosiddetta “di Plinio”, forse in realtà residenza estiva dell’oratore Ortensio rivale proprio di Cicerone, fu scoperta nella pineta di Castel Fusano nel lontano 1713. Sul sito della Sovrintendenza Capitolina ai beni culturali è scritto che “attualmente il monumento non è accessibile al pubblico per restauro”. Il Museo delle Navi di Fiumicino, dove sono conservati i resti di una “piccola flotta” costituita da sei imbarcazioni di età romana, è chiuso da 11 anni. Sul sito della Soprintendenza di Ostia Antica si legge “chiuso al pubblico per lavori di ristrutturazione”. I ninfei di Colagrosso, residenza sul mare del I secolo a.C. nota per degli stucchi definiti “unici” da alcuni studiosi, è sommersa dai rifiuti. E ancora, il Villaggio delle Macine, insediamento palafitticolo della Media età del Bronzo (XVIII-XVII secolo a.C.) emerso lungo la riva settentrionale del lago di Castel Gandolfo. E’ famoso per il ritrovamento di macine usate per lavorare il frumento e per essere considerato il più grande sito preistorico d’Italia. Se i reperti rinvenuti sono oggi custoditi nel Museo Nazionale delle Navi romane di Nemi, sulla riva del lago rimangono invece i resti dei pali che, semi incustoditi, rischiano di essere distrutti sia dall’azione dell’aria che da quella dei vandali.
(22./Continua. Le precedenti puntate sono leggibili negli articoli correlati)