“Quando tornai a Roma dalla Gallia e dalla Spagna, sotto il consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, portate felicemente a termine le imprese in quelle province, il Senato decretò che si dovesse consacrare un’ara alla Pace augustea nel Campo Marzio e ordinò che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero ogni anno un sacrificio”.
Così Augusto nelle Res Gestae ricorda la volontà del Senato di dedicargli un altare alla Pace, a seguito delle vittoriose imprese compiute tra il 16 e il 13 a.C. che sancirono l’assoggettamento dei Reti e dei Vindelici, il controllo dei valichi alpini, la pacificazione della Spagna, e permisero sia la fondazione di nuove colonie che l’imposizione di nuovi tributi. L’Ara Pacis fu inaugurata il 9 a.C. nel Campo Marzio settentrionale, luogo a cui Augusto aveva già scelto di affidare la sua memoria facendovi costruire la sua tomba, il Mausoleo, e un grande orologio solare, il Solarium Augusti. Ristrutturata negli scorsi anni suscitando lunghi strascichi polemici, il monumento si è ritrovato completamente bagnato in seguito alle piogge torrenziali che una settimana fa si sono abbattute sulla capitale.
Il Mausoleo di Augusto, una piscina a cielo aperto
Il Campo Marzio era un luogo molto importante per i romani in quanto legato al culto del dio Marte ma soprattutto perché qui secondo la tradizione era avvenuta la morte e apoteosi di Romolo. Era inoltre il luogo deputato alle manovre dell’esercito e della cavalleria. Eppure questo monumento, eretto alla Pace, di pace ne ha avuta ben poca. Nei decenni successivi nell’area si determinò infatti un inarrestabile innalzamento di quota, dovuto in gran parte agli straripamenti del Tevere, che causò l’interramento dell’intera area e quindi anche dell’Ara Pacis. Per più di un millennio del monumento se ne perse la memoria. La prima notizia dell’altare, riaffiorato dalle fondamenta di palazzo Fiano-Almagià di via in Lucina, è costituita da un’incisione di Agostino Veneziano del 1536. Da questo momento inizia il recupero dell’Altare che, tra ritrovamenti fortuiti e scavi mirati, si conclude solo nel 1938. Quattro lunghi secoli per ricomporre il monumento. Fu durante lo scavo che si decise di ricostruire il monumento. Scartata l’ipotesi di ricomporlo in situ, scelta questa che avrebbe comportato la demolizione di palazzo Fiano-Almagià, Mussolini ne ordinò la ricostruzione nei pressi del Mausoleo di Augusto, “sotto un porticato” tra via di Ripetta e il Lungotevere: la teca progettata da Morpurgo. La ricostruzione durò un anno e mezzo. Il progetto definitivo della teca fu semplificato, in fase esecutiva, a causa di un ritardo nella realizzazione dei lavori. Morpurgo accettò la variazione con la promessa, da parte del Governatorato, che dopo l’inaugurazione si sarebbe rimesso mano alla teca. La promessa rimarrà irrealizzata.
Il progetto Meier e le polemiche
Durante la guerra le vetrate furono rimosse e il monumento protetto da sacchetti di pozzolana, sostituiti in seguito da un muro paraschegge. Solamente nel 1970 il muro fu smontato e la teca ripristinata. Negli anni Ottanta si è proceduto al primo restauro sistematico del monumento ma già a metà degli anni Novanta l’insorgere di nuovi problemi causati da escursione termica e inquinamento da traffico ha convinto il Comune di Roma, e l’allora sindaco Francesco Rutelli, a costruire un nuovo padiglione dal momento che fu ritenuto impossibile adeguare la teca esistente. Nei fatti è stato costruito un nuovo complesso museale il cui progetto è stato redatto dallo studio statunitense Richard Meier & Partners Architects. I lavori sono durati sette anni. Il 21 aprile del 2006 il sindaco Valter Veltroni inaugura l’opera proclamando: “Oggi restituiamo ai cittadini romani e di tutto il mondo questo splendido monumento finalmente messo in sicurezza. Un progetto molto discusso, così come sono molto discusse tutte le grandi opere architettoniche ma che si inserisce in un più ampio piano di riqualificazione di questa parte della città”. Del vecchio padiglione di Morpurgo è rimasto solo il muro delle Res Gestae, su via Ripetta. Sul sito ufficiale del monumento si legge che per il nuovo complesso sono stati utilizzati “materie prime e impianti di assoluta qualità. Il vetro temperato che racchiude l’Ara è composto da due strati separati da una intercapedine di gas argon e dotati di uno strato di ioni di metallo nobile per il filtraggio dei raggi luminosi. La sua tecnologia si spinge al limite delle attuali possibilità tecniche”. La copertura è un gioco sopraffino di pannelli di vetro. E ancora, sofisticati impianti di climatizzazione e di circolazione dell’aria, un sistema a pannelli radianti Seppelfricke SD, illuminazione con accessori anti-abbagliamento, filtri per la resa del colore e lenti che circoscrivono e modulano la distribuzione del fascio luminoso in relazione alle caratteristiche delle opere esposte. Eppure da subito sono state mosse feroci polemiche. “L’opera non ci piace assolutamente” aveva dichiarato Adriano Angelini, presidente del comitato di quartiere «Il Tridente» “Lo abbiamo detto fino dall’inizio. Il lavoro dell’architetto americano è di stampo troppo moderno, non si integra assolutamente con il centro di Roma”. Dello stesso parere Italia Nostra che definì il progetto “fuori scala nel contesto, per di più nasconde sia il Mausoleo di Augusto che le chiese di San Rocco e San Girolamo”. Sotto accusa anche i costi dell’opera che dagli iniziali 6 milioni di euro sarebbero lievitati “ufficialmente” a 13 milioni, Italia Nostra ha invece parlato di circa 17 milioni. Sarebbero stati i ritrovamenti archeologici a costringere a numerose e costose variazioni in corso d’opera. Per molti, solo soldi buttati per costruire “una pompa di benzina”, “uno scempio e fare contento l’ennesimo architetto straniero”. Marco Marsilio, attuale portavoce di Fratelli d’Italia, denunciò che i lavori erano stati affidati da Rutelli senza un regolare concorso e che il sindaco aveva garantito che sarebbero durati uno o due anni.
Sette anni dopo, l’acqua piovana
A distanza di sette anni, in questi giorni si sono riaccese le polemiche intorno all’Ara Pacis. Questa volta ad accendere gli animi sono stati i danni causati dalle piogge della scorsa settimana. La copertura sembra non aver retto all’impeto della pioggia. Le infiltrazioni sono cadute sui preziosi rilievi marmorei, allagando sia gli spazi interni del recinto che la sala esterna. L’allarme è scattato la mattina. Il museo è stato subito chiuso. Sul monumento sono stati attaccati dei teli impermeabili per far scolare l’acqua direttamente dentro secchi, scelta questa che ha fatto inorridire i puristi del restauro, mentre l’acqua sul pavimento è stata asciugata con aspiratori e stracci. La Sovrintendenza capitolina ha subito inviato uno staff di restauratori e tecnici del servizio di manutenzione di Zetema per valutare la situazione. Ai sopralluoghi ha partecipato Nigel Ryan, l’architetto dello studio Meier che ha diretto i lavori di realizzazione. Per gli americani la causa del disastro è da imputare alla negligenza nella manutenzione ordinaria, se si fosse monitorata sistematicamente la copertura ci si sarebbe accorti per tempo di eventuali falle. In questo caso la responsabilità sarebbe in parte di Zetema, deputata alla manutenzione del monumento, in parte della Sovrintendenza che ha il compito di vigilare che i controlli siano fatti. Per Comune e Sovrintendenza è invece un’altra la causa. La si legge nel comunicato inserito sul sito dell’Ara Pacis: “Le infiltrazioni di pioggia sulla copertura del tetto sono state causate dall’otturazione di alcuni tubi di scolo a causa delle foglie trasportate dal forte vento. Si tratta di tubi discendenti di 4 cm di diametro, quindi è facile immaginare come le eccezionali piogge e il forte vento degli ultimi giorni abbiano messo a dura prova gli interventi di manutenzione ordinaria che non sono mai mancati alla struttura. Inoltre il silicone strutturale che tiene uniti due pannelli è risultato in parte asportato (probabilmente a causa dell’opera di alcuni gabbiani) e con il forte vento dei giorni scorsi una parte della lamiera si è divelta contribuendo così al ristagno dell’acqua. Il tetto è stato messo in sicurezza, il silicone fissante è stato immediatamente ripristinato e non sono state riscontrate nuove infiltrazione d’acqua. Tutti gli interventi sono stati condotti in accordo con la Sovrintendenza Capitolina”. Rassicurati che “l’Ara Pacis non corre alcun pericolo e non ha subito alcun danno” apprendiamo che, due giorni dopo il nubifragio, “è stata regolarmente aperta alla visita per turisti e cittadini”. I detrattori del complesso di Meier fanno notare che la teca di Marpurgo, pur di non eccelsa fattura, aveva protetto in maniera valida il monumento per tanti anni. “Mai era accaduta una cosa simile nei settant’anni di esposizione successivi al 1930” tuona Marco Marsilio “la teca di Morpurgo non aveva mai ceduto a un’acquazzone”. A questo punto sono in molti a chiedersi se era proprio necessario distruggerla. Non sarebbe stato più opportuno restaurarla e renderla più funzionale alle nuove esigenze? Ora non solo si dovranno spendere nuovi soldi per ripristinare ciò che non ha funzionato nella copertura di Meier ma si fa notare che è necessario intervenire su un altro monumento vittima di queste piogge e di cui da anni se ne denuncia il degrado: il Mausoleo di Augusto. In questi giorni il suo aspetto era impietoso: una piscina a cielo aperto. La situazione della tomba di Augusto era grave già al tempo in cui si decise la costruzione del padiglione Meier. In molti fanno notare che forse sarebbe stato più opportuno finanziare il suo restauro che la sostituzione della teca di Morpurgo. Bel modo di festeggiare il bimillenario della morte di Augusto, evento per il quale sono in corso e in programma eventi celebrativi in tutta Italia. Magari qualcuno avrà pensato che l’acqua fosse di buon auspicio, d’altronde si sa “imperatore bagnato, imperatore fortunato”.
Oriazi e Curiazi in umido
Tra le illustri vittime delle piogge della scorsa settimana figurano anche i Musei Capitolini. E’ piovuto nel nucleo più antico dello stabile, Palazzo dei Conservatori, dove nel 1471 furono collocate le statue bronzee donate da papa Sisto IV al popolo, atto che sancì la nascita del più antico museo pubblico al mondo. E’ piovuto nella prestigiosa sala degli Orazi e Curiazi, la stessa dove nel 1957 furono firmati i Trattati di Roma che istituirono la Comunità economica europea e dove nel 2004 fu sottoscritta la Costituzione per l’Europa. Qui sono conservati i famosi affreschi del Cavalier d’Arpino (1568-1640), raffiguranti i momenti salienti della prima storia di Roma, e alcuni busti di pontefici eseguiti da Bernini e Algardi. Il rischio ora è l’effetto dell’umidità su questi capolavori. Ad essere allagate anche le fondamenta del Tempio di Giove Capitolino, oggi visibile dalla grande aula progettata da Carlo Aymonino. Voluto dai re della dinastia dei Tarquini, fu inaugurato nel 509 anno dell’istituzione della Repubblica. Del tempio oggi si conservano solo le fondazioni in colossali blocchi di cappellaccio, un imponente podio alto dieci metri. Ora il tempio è un acquitrino: nell’acqua, che ristagna da più giorni nell’area di rispetto tra le strutture antiche e il muro moderno, si è riprodotta un’erbetta selvatica. A rischio di umidità i blocchi di 2500 anni fa ma anche le luci allestite sul fondo. Si è parlato di un problema di drenaggio e riassorbimento delle acque del colle Capitolino, che sarebbe stato aggravato dall’accentuato flusso delle piogge della scorsa settimana. I Musei Capitolini dipendono dal Comune di Roma e si sa che anche qui, come nel resto del paese, il settore dei Beni culturali ha negli anni subito continui tagli e decurtazioni di fondi. Non va dimenticato però che “in Italia sono decenni che si è perduta l’antica virtù della manutenzione”. Ed infatti anche in questo caso, mancanza di manutenzione e di verifiche periodiche sembrerebbe la causa delle infiltrazioni.