L’Associazione Nazionale Avvocati Italiani si è sempre dichiarata a favore delle specializzazioni, ma non condivide il regolamento ministeriale che stravolge la innovazione ordinamentale, non garantisce la qualità e penalizza specialmente i giovani avvocati.
Di qui il ricorso al TAR Lazio notificato ieri 16 novembre dall’ANAI, assistita dal prof. avv. Giulio Prosperetti e dall’avv. Isabella Stoppani.
“Nell’atto viene denunciata la violazione di legge e l’eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta derivante, anzitutto, dalla previsione quantitativa e non qualitativa degli incarichi per conseguire la specializzazione e il mantenimento della medesima” ha dichiarato il presidente Anai Maurizio De Tilla.
“Non risulta inoltre rispettata – ha aggiunto De Tilla – l’esigenza di creare una certificazione di eccellenza nell’esercizio professionale, in determinate materie, cadendo nello stesso errore dall’inflazione degli avvocati cassazionisti i quali, fino alla riforma del 2012, potevano conseguire l’accesso alle giurisdizioni superiori con il mero decorso del tempo.
La genericità e la incongruenza del regolamento sulle specializzazioni sarà certamente elemento di forte inflazione. Così che gran parte dei 250 mila avvocati è già pronta a candidarsi al ruolo di avvocati specialisti, vanificando l’intento del legislatore, teso invece a introdurre un importante discrimine qualitativo.
In tutti i principali Stati europei il titolo di avvocato specialista può conseguirsi solo all’esito di accurate valutazioni per titoli ed esami, rimesse a commissioni di esperti della singola materia, cosa che rende il titolo di avvocato specialista un riconoscimento limitato a un ristretto numero di avvocati molto qualificati.
I criteri adottati dal regolamento impugnato conducono piuttosto alla specificazione dell’area di abituale esercizio della professione da parte del singolo avvocato, quando invece il titolo di specialista dovrebbe essere appannaggio non già di chi riceve molti mandati in un singolo settore, ma al contrario di chi svolge in quei settori un lavoro professionale di alta qualificazione”.
Il ricorso ANAI denuncia anche la illegittima previsione regolamentare del percorso formativo universitario per conseguire il titolo di specialista.
“Sembra infatti – ha continuato De Tilla – che l’accesso ai corsi universitari non preveda nemmeno l’aver conseguito il titolo di avvocato, sicché il neolaureato all’esito di un successivo master biennale potrebbe aver superato l’esame di Stato, diventare, ipso facto, avvocato specialista, senza aver mai patrocinato un giudizio.
Tutto il contrario di quanto accade nel settore sanitario, dove la specializzazione si consegue con un titolo universitario post laurea, dove viene anche previsto un numero chiuso ed è noto come gli specializzandi in discipline sanitarie costituiscano la principale risorsa operativa delle cliniche universitarie.
Non è certo un ulteriore biennio all’università che insegna ad esercitare con eccellenza la professione di avvocato, per di più specialista.
Il percorso formativo avrebbe dovuto essere disciplinato con la previsione di un mix di attività didattiche e di esercizio di attività professionale“.
Il regolamento, infine secondo Anai viola il principio di razionalità di cui all’art. 3 Cost. ed anche la normativa a tutela del consumatore, anche nel rispetto della concorrenza tra professionisti.