Ormai la quasi totalità dei giudici chiede ai difensori una copia cartacea imposta ipocritamente come di cortesia in quanto il processo è frequentemente “bifronte” e sempre più ambiguo.
Il digitale doveva costituire una semplificazione delle attività processuali e si è invece rivelato una complicazione. L’Associazione Nazionale Avvocati Italiani ha più volte denunciato che, sul piano strutturale, si è fatta una scelta costosa e di corto respiro.
“Le reti ed i sistemi si sono rivelati piuttosto lenti; si riscontrano, inoltre, continue interruzioni dei servizi. E tutto avviene senza la dovuta informazione e senza l’attivazione di procedure di urgenza” ha dichiarato il presidente Anai Maurizio De Tilla.
“Si è chiesta perentoriamente la previsione di sistemi di ridondanza e lo sviluppo di sistemi di “disaster recovery” che purtroppo mancano del tutto. Mancano un po’ dappertutto “sale server” – ha continuato De Tilla – Le infrastrutture sono diffuse a macchia di leopardo sul territorio e la normativa vigente è spesso disapplicata, determinando così disuguaglianze nell’accesso alla giustizia. Il Tribunale di Velletri ha dichiarato inammissibili gli atti introduttivi inviati via telematica senza il decreto DGSIA. Altri Tribunali hanno avuto il decreto autorizzativo, ma non ne hanno dato puntuale informazione. Nelle Corti di Appello, dove non c’è ancora il processo telematico e si decidono cause che hanno avuto in primo grado atti telematici, la situazione è disastrosa. Ed infatti l’entrata in vigore della cd. obbligatorietà del processo civile telematico in primo grado e, quindi, la progressiva creazione del fascicolo telematico pone, per il processo di appello, il problema relativo alla trasmissione alla Corte di merito dei fascicoli telematici”.
ANAI sottolinea anche che da un sondaggio effettuato dal CSM è risultato che su 116 uffici di primo grado, per più di 50 uffici la trasmissione non viene in alcun modo garantita, altri 39 trasmettono in forma cartacea, solo 32 uffici assolvono alle proprie funzioni. Ci si chiede, laddove il sistema non funziona, come i giudici di appello possono esaminare gli atti processuali e se – anche in questo caso – gli avvocati devono produrre gli atti in forma cartacea, magari fotocopiando (con le ricevute) gli atti inviati in primo grado in via telematica.
“Il fantasma del cartaceo è diventato paradossalmente uno dei problemi fondamentali del processo telematico. – ha dichiarato il presidente Anai – In quasi tutti gli uffici si pretende la consegna informale di una copia cartacea di cortesia che avviene senza alcuna registrazione e talvolta in busta chiusa. Gli atti cartacei potrebbero, per altro, essere difformi dagli originali telematici. Ed i giudici, almeno quelli che non hanno dimestichezza con i computer e le consolle, si affidano molto alle copie c.d. di cortesia”.
“Il Tribunale di Monza – ha segnalato ancora De Tilla – ha stabilito che il giudice potrà sempre richiedere agli avvocati, ove ne ravvisi la necessità, copia cartacea di cortesia e di documenti già depositati telematicamente. Di tale richiesta non dovrà essere fatta menzione a verbale. Il che equivale ad affermare che il deposito deve essere fatto “di nascosto” e senza alcuna garanzia formale. Seguendo la linea opposta il Tribunale di Salerno ha invitato i difensori a depositare copia telematica (di cortesia), in formato PDF nativo, del ricorso e della comparsa di costituzione.
Gli avvocati si devono, quindi, far carico di un duplice processo (telematico e cartaceo) anche in uffici giudiziari lontani dal proprio studio. Mentre i giudici lamentano motivazioni per rifiutare il processo telematico”.
Da parte dei magistrati si segnala ancora la difficoltà nell’approvvigionamento e sostituzione delle smart card necessarie ad accedere ai software per i magistrati ed alle funzionalità del p.c.t..
Il CSM ha, altresì, chiesto (perché in gran parte mancanti) la fornitura di stampanti veloci individuali a tutti i magistrati, un’adeguata fornitura di materiali di consumo, la dotazione di scanner veloci, un piano di rinnovo costante del pacco attrezzature, il rinnovo automatico delle smart card, l’allestimento di aule di udienze con dotazioni informatiche idonee allo svolgimento di udienze telematiche, quanto meno ai magistrati che ne facciano richiesta, la fornitura di doppi monitor (di adeguate dimensioni), di più tastiere di webcan e microfoni (eventualmente anche in dotazione domestica). Sono, inoltre, carenti i servizi di help desk telefoniche, manca del tutto una piattaforma che consenta un adeguato monitoraggio delle richieste formulate e del loro esito.
“Il processo telematico è certamente in fase primitiva e sperimentale – ha concluso De Tilla – ma l’arcaicità è ancora più forte delle previsioni. In realtà un compiuto e funzionante processo telematico non c’è ancora. E dubitiamo che possa esserci se si considera l’attuale situazione di decozione della giustizia.
Infine, il caos telematico, è assoluto laddove manca del tutto un collegamento normativo tra norme tecniche, che impongono determinati formati per gli atti processuali inviati dagli avvocati, e norme processuali di atti non inviati nel formato prescritto o di atti introduttivi o di diverso tipo inviati telematicamente in uffici non autorizzati o di atti depositati in modo cartaceo in caso di obbligatorietà.
I giudici sono molto disorientati, ma quel che è ben più grave è che alcuni giudici sono orientati a stabilire inammissibilità, improcedibilità e nullità degli atti sanzionando così l’incolpevole comportamento dei difensori. Vi è la palese violazione dei diritti di difesa, sanciti dagli articoli 24 e 111 della Costituzione. Il ministro Orlando non può non tenere presente tutto questo!”.