Psiche è una giovane fanciulla la cui unica colpa è di essere bella. Cupido è il dio dell’amore, un dio dispettoso e disubbidiente, figlio di Venere e Giove. I due giovani si innamorano perdutamente, scatenando l’ira di Venere. La bella Psiche dovrà superare difficili prove per potersi ricongiungere a Cupido, suo sposo, ma alla fine sarà l’amore a trionfare. Chi si sente amato e sa amare può riuscire a compiere ciò che sembrerebbe impossibile anche solo pensare.
“…Quando dunque remirando la bellezza d’un giovane, l’anima riceve le particelle che da quello partono e scorrono, se ne nutre, se ne riscalda, cessa l’affanno e gioisce. Ma quando sia separata da quella bellezza l’anima inaridisce e le aperture dei meati attraverso i quali spuntano le penne disseccandosi si contraggono sì da impedire i germogli dell’ala. Ma questi, imprigionati dentro, insieme all’onda del desiderio amoroso, palpitando… urgono ciascuno contro la propria apertura sicché l’anima, trafitta da ogni parte, smania per l’assillo ed è tutta affannata. Ma riassalendola il ricordo della bellezza, ringioisce… Questo patimento dell’anima… è ciò che gli uomini chiamano amore… Gli uomini lo chiamano Amore che vola, Alato gli dèi, perché fa crescere l’ali”, scriveva Platone nel Phedro.
In occasione della fine dei restauri del fregio di Perin del Vaga, raffigurante la storia di Amore e Psiche, a Castel Sant’Angelo è stata allestita una mostra celebrante questa favola, definita da Voltaire “la più bella che gli antichi ci abbiano lasciato”.
Le quattro sezioni
La mostra è divisa in quattro sezioni: la prima indaga sull’origine del mito, sul concetto di Amore inteso come perdita di sé e lo fa esponendo reperti dal periodo egizio fino all’età romana. Nella seconda si parla della grande diffusione che ebbe la favola nel Rinascimento, anche grazie alle incisioni del Maestro del Dado che ne ripercorrono la storia. La terza parte è incentrata sul tema della scoperta di Amore da parte di Psiche, episodio molto amato dai pittori del Seicento per gli arditismi luministici che suggeriva. Nell’ultima è analizzata la ripresa in chiave romantica della favola tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, grazie al Neoclassicismo. L’esposizione vuole evidenziare come l’interpretazione della favola cambi a seconda delle correnti culturali che si succedono. “Sulle ali del sentimento” queste le parole di Dino Gasperini, assessore alle politiche culturali e centro storico “la mostra propone un viaggio nel mito e nei linguaggi che ne hanno accompagnato la diffusione”.
Sono cento i reperti esposti, provenienti da diversi musei italiani e stranieri, tra i quali dipinti, sculture, gessi, terrecotte, cammei, vasi, avori, papiri, anelli e altri monili. Ognuno di questi oggetti presenta una raffigurazione tratta dalla favola. Ciò che cambia da un oggetto e l’altro è la finalità di questa raffigurazione, il motivo per cui quella determinata immagine è stata posta proprio su quel determinato oggetto. La mostra è stata allestita dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed etnoantropologico e del polo Museale della città di Roma.
“Le Metamorfosi” di Apuleio
La favola di Amore e Psiche ci è stata tramandata da Apuleio, autore del II secolo d.C., che l’ha inserita nel suo romanzo Le Metamorfosi di cui occupa ben tre degli undici libri di cui è composta l’opera. Opera che parla della trasformazione in asino di Lucio, giovane appassionato di magia, e di tutte le peripezie che deve affrontare prima di riacquistare la forma umana grazie a Iside. È durante il suo girovagare che il ragazzo ascolta la storia di Amore e Psiche raccontata da una vecchia a una fanciulla di nome Carite. Anche la storia di Amore e Psiche parla di una trasformazione, quella di Psiche da donna mortale a divinità.
C’era una volta…
In un regno lontano vivevano un re e una regina con tre figlie, delle quali una, Psiche, era talmente bella da essere osannata quale nuova Venere. Di conseguenza la legittima dea dell’amore, mossa dall’invidia, ordinò al figlio Cupido di scoccare la sua freccia affinché Psiche si innamorasse di un uomo brutto. Intanto Psiche era triste perché nessuno osava chiedere la sua mano. Il padre decise allora di consultare l’oracolo del dio Milesio affinché svelasse che cosa era in serbo per la figlia. L’oracolo predisse non un genero umano, ma un feroce “drago alato” temuto dallo stesso Giove. Tutti si rattristarono per il destino della fanciulla che, arresasi al volere divino, si incamminò su una rupe in attesa del suo sposo. Ma Cupido, intento a compiere il volere materno, non appena vide Psiche se ne innamorò e ordinò a Zefiro di portarla a palazzo.
Psiche al risveglio si trovò in un giardino incantato, pieno di fiori, ruscelli e alberi. Vide uno splendido palazzo. Decise di entrarvi e dopo aver mangiato a uno squisito banchetto, accompagnato da musiche celestiali, si recò nella camera da letto dove la raggiunse Cupido, invisibile, che la possedette.
Nonostante la tenerezza del misterioso sposo, Psiche si sentiva sola e così ottenne il permesso di ricevere la visita delle sue sorelle. Motivò l’assenza dello sposo dicendo che aveva preso parte ad una battuta di caccia. Le sorelle gelose di tanta ricchezza decisero di tessere un piano contro di lei. Cupido mise in guardia Psiche che però volle ricevere un’altra volta le sorelle. Queste convinsero la giovane a dir loro tutta la verità e Psiche, oltre a raccontare ogni cosa, rivelò di essere incinta. Le sorelle allora le insinuarono il dubbio che il suo sposo fosse mostruoso e che dopo il parto si sarebbe liberato di lei. La convinsero che la cosa migliore da fare era ucciderlo. Psiche una sera, armata di coltello, mentre Cupido dormiva, prese una lampada e lo illuminò. Ma quello che vide fu un bellissimo giovane, il più bello che avesse mai visto. Il coltello le cadde dalle mani. Quando vide ai piedi del letto l’arco con le frecce capì che il giovane era Cupido, il figlio di Venere. Si avvicinò all’arco e inizio a toccarlo continuando a guardare il dio dormiente quando si punse e cadde in preda a una passione travolgente. Involontariamente fece cadere una goccia dell’olio della lampada su Cupido che, svegliatosi, irato volò via. Psiche era disperata. Cupido l’aveva abbandonata. Cercò di buttarsi nel fiume ma questo, devoto al dio, la ripose sulla riva. Incontrò Pan che le suggerì di chiedere perdono al dio. Psiche nel suo cammino incontrò le sue sorelle e decise di vendicarsi: disse ad ognuna che Cupido voleva sposarla e che si sarebbe dovuta recare sulla rupe dove Zefiro l’avrebbe trasportata dal futuro sposo. Così fecero ma quando si lanciarono dalla rupe non trovarono Zefiro pronto a raccoglierle e trovarono la morte.
L’ira di Venere
Venere intanto era venuta a conoscenza dell’accaduto. Dopo aver rimproverato il figlio si recò da Giunone e Cerere affinché l’aiutassero a trovare la giovane. Rifiutarono. Decise allora di andare da Giove, padre di Cupido, il quale ordinò a Mercurio di portare Psiche al cospetto di Venere. Così fu. Venere, dopo aver fatto torturare la fanciulla dalle sue ancelle Tristezza e Angoscia, decise di sottoporla a quattro dure prove. Nella prima, in cui dovette separare in base alla tipologia tutti i chicchi da un grande mucchio, Psiche fu aiutata da migliaia di formichine che lavorarono con lei tutta la notte. Nella seconda prova avrebbe dovuto raccogliere i fili di lana d’oro da pecore ferocissime che pascolavano libere, ma una canna le suggerì di scuotere le fronde degli alberi a cui rimanevano attaccati numerosi fili di lana. Venere furiosa allora le ordinò di portarle un’ampolla contenente l’acqua dello Stige. Ma Giove, intenerito, ordinò alla sua aquila di prendere l’acqua e consegnarla a Psiche. Non paga Venere ordinò alla fanciulla di recarsi negli inferi e farsi regalare da Proserpina una scatola con una crema di bellezza. Anche questa volta Psiche fu aiutata dalla torre su cui era salita per gettarsi, con l’intento di porre fine alle sue disgrazie, che le suggerì come riuscire nell’impresa. E così fu, ma mentre risaliva sulla terra, incuriosita aprì la scatola. Cadde in un sonno profondo. La scatola infatti non conteneva una crema, ma il sonno. Cupido ripresosi e accortosi del pericolo in cui si trovava Psiche, andò a svegliarla. Si recò poi da Giove a supplicarlo di porre fine alle pene della sua amata moglie. Il sommo dio allora ordinò che tutti accettassero Psiche come moglie di Cupido perché l’avrebbe resa immortale. Per festeggiare le nozze fu allestito un banchetto a cui parteciparono tutti gli dèi, compresa Venere che, soddisfatta della divinizzazione della nuora, perdonò i due giovani.
L’anima, l’amore e l’immortalità
Psiche in greco vuol dire anima, respiro vitale, soffio. La storia di Psiche è quindi il cammino che l’anima umana deve affrontare per raggiungere il divino. Cupido è invece l’amore divino. L’amore giocoso, l’amore irato, l’amore violento, l’amore innocente, l’amore che travolge ogni cosa, l’amore che trionfa. Punto di partenza è la bellezza, causa sia della furiosa gelosia di Afrodite che del folle amore di Cupido e Psiche. La bellezza d’altronde “è la più amabile delle essenze, perché l’unica percepibile dai sensi”.
È una storia complessa, ricca di significati allegorici, che alterna il tragico al comico, il magico all’epico. Cupido, signore dell’amore e del desiderio, si unisce a Psiche, l’anima, per donarle l’immortalità. L’umana Psiche è combattuta da due forze, l’istinto (qui sentimento) e la razionalità. È la paura dell’errore e della sofferenza che può seguire a un’azione dettata dal sentimento, a spingere verso la razionalità. Ragionando si aggira l’errore. O forse ci si illude di aggirarlo perché, come sostiene Pascal, “il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”. L’uomo vive di contrapposizioni: vita e morte, amore e odio, felicità e tristezza. Ognuna cerca inutilmente di prendere il sopravvento. Tutte concorrono a rendere l’uomo un essere mai scontato. Catullo scriveva: “Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato”.
Iconografia di Amore e Psiche: conflittualità, abbracci e baci
Cupido è rappresentato come un bambino con le ali di uccello, munito di arco e frecce. Le ali ricordano l’appartenenza all’aria e la capacità di raggiungere il cielo per poi tornare sulla terra. L’arco e le frecce sono gli strumenti con cui svolge il suo compito, quello di fare innamorare gli umani. Ha il dono della bellezza sovrannaturale. Quando viene rappresentato con Psiche spesso assume le fattezze di un adolescente. Psiche è poco più che una bambina, anche lei spesso è dotata di ali il più delle volte di farfalla, forse per la diffusione della dottrina Platonica che definiva l’anima una farfalla. Come Cupido, anche lei è dotata di una bellezza sovrannaturale.
I reperti più antichi mostrano la sofferenza e le pene di Psiche. In uno scarabeo etrusco (V sec. a.C.) è rappresentata seduta, afflitta, davanti a un arco, secondo uno schema artistico usato per Penelope, della quale Psiche condivide la grande pazienza e l’intelletto. In altri reperti è rappresentata come Nike (Vittoria), con grandi ali di uccello, a indicare la vittoria dell’anima immortale sulla fisicità. Molte volte Psiche è una farfalla afferrata da Cupido. Il dio è spesso rappresentato in atteggiamento crudele verso l’amata, in quanto allusione alle lotte dell’anima contro le passioni mondane.
Numerosi gli oggetti su cui sono raffigurate le prove e i tormenti subiti dai due innamorati: Cupido mentre tira i capelli a Psiche o le trafigge le ali, Psiche che tenta di legare Cupido. Numerose sono altresì le rappresentazioni in cui la coppia è colta in un momento di tenerezza. Ci sono statuine e terracotte (III\I sec. a.C.) in cui Cupido carezza l’amata o le poggia una mano sul fianco o sul seno, forse riferibili a nozze o promesse amorose, magari sciolte da una morte improvvisa.
La scena più consueta è quella in cui i due giovani si abbracciano. Sono sempre rappresentati di pari altezza, in quanto Amore è un sentimento paritario. Dall’abbraccio si passa al bacio, ossia dall’avvicinamento erotico si arriva all’unione più intima (II sec. d.C.). Il bacio serve ad annullare la distanza tra la sfera divina e quella umana: è il gesto più naturale che ci si scambia nella vita quotidiana. La conflittualità si scioglie nell’abbraccio e culmina nel bacio. La scena del bacio avrà grande fortuna anche nei secoli successivi, compare su affreschi, mosaici, sarcofagi, rilievi. Nel IV secolo compare in una catacomba cristiana, forse a indicare il ricongiungimento d’amore minacciato dalle forze del male. In età tardo antica l’immagine è usata come simbolo di unione eterna, un augurio di un rapporto felice oltre la vita. Nell’iconografia antica Cupido e Psiche si cercano, si torturano e si amano.
Rinascimento: amore coniugale e purificazione dell’anima
La cultura umanista rinascimentale, che pone le virtù morali alla base della vita civile, vede la favola di Amore e Psiche come il trionfo dell’amore coniugale e della purificazione dell’anima umana. Gli umanisti sono interessati allo svolgimento della storia e per questo ne realizzano cicli ad affresco che ne ripropongono il cammino. Ogni trionfo infatti si ottiene solo dopo un lungo cammino. L’amore contrastato vince su tutto. Il motivo si trova frequentemente sui cassoni nuziali dal momento che il matrimonio è visto come condizione necessaria per poter amare. Deve servire da esempio alla novella sposa, affinché capisca l’importanza di alcuni valori quali la castità, la pazienza e l’obbedienza. Gli stessi valori a cui esortano umanisti come Salutati e Alberti. È con l’intento di esaltare il vincolo matrimoniale che in questi anni Agostino Chigi chiede a Raffaello di dipingere la storia di Amore e Psiche nella Loggia della sua villa in onore dell’amata moglie (1519). È sempre per lo stesso spirito moraleggiante che la favola, in occasione delle nozze del principe Paolo Giordano Orsini (1560), viene realizzata nel castello di Bracciano. Rinascimentali sono le 32 incisioni eseguite dall’ignoto Maestro del Dado, che rappresentano il veicolo più potente per mezzo del quale la storia si diffuse in tutta Europa.
La favola è anche una esaltazione della bellezza. Il bello per gli umanisti è manifestazione della divinità “…l’essenza del mondo è amore, e suo aspetto è bellezza…” (Garin), la bellezza avvicina l’uomo all’amore e all’armonia divina. “La favola di Amore e Psiche… rappresenta la naturale vocazione dell’anima umana all’amore, a cominciare dall’amore corporeo” (Neppi). È in questa prospettiva che va letto il fregio di Perin del Vaga realizzato a Castel Sant’Angelo.
Il Seicento, la natura e l’ansia dell’uomo
Nel Seicento trionfa l’aspetto fiabesco, avventuroso e drammatico della storia di Amore e Psiche, in sintonia con lo spirito spettacolare e teatrale di quella società. Della vicenda si ama rappresentare soprattutto la scena della scoperta di Amore da parte di Psiche attraverso la lampada, immortalata in numerosi dipinti perché carica di forti emozioni e foriera di tristi peripezie per i due innamorati. Questa scena inoltre da ampie possibilità agli artisti di sperimentare nuovi effetti luministici giocati sul contrasto luce-ombra dovuto alla lampada. Ma ancora più interessante, essa ha un forte simbolismo. Può infatti alludere alla bramosia umana nella ricerca della verità, nel capire la realtà, o all’impossibilità dell’uomo di conoscere Dio, o all’esaltazione della bellezza che fa innamorare e consente così di amare Dio. Tutte letture che ben rispondevano alla nuova ansia dell’uomo del Seicento, consapevole della sua piccolezza nei confronti di una natura imponente e potente. Tra i dipinti in mostra va segnalato quello di Jacopo Zucchi.
In questo periodo vengono dedicati al mito numerosi melodrammi, tragicommedie, opere in prosa, rappresentazioni teatrali e i famosi arazzi conservati al palazzo del Quirinale.
Neoclassicismo, il momento dell’abbandono
Tra la fine del Settecento e gli inizi del Ottocento abbiano una rinascita del mito di Amore e Psiche dovuta ad un nuovo interesse verso l’arte classica. Piace l’aspetto melanconico e nostalgico. Piace quindi il momento dell’abbandono, del sonno, del bacio. Piace quest’esile fanciulla malinconica per le sue pene d’amore, solitaria protagonista di un turbamento. A questo interesse, quasi ossessivo, contribuì sicuramente la scoperta nel 1749 del gruppo romano di Amore e Psiche (II sec.), oggi ai Musei Capitolini. Contribuì parimenti il canone teorizzato da Winckelmann che raccomandava agli artisti di usare l’allegoria, ossia personificare i pensieri per mezzo di figure. Psiche diventa una di queste allegorie, proprio per la complessità della sua storia.
Il fascino di Psiche era penetrato talmente in fondo alla società che in Francia si diffuse l’espressione “colorito à la Psyché” e “psyché” fu il nome dato al primo specchio a figura intera. Basti pensare che quando Napoleone, nel 1798, celebrò l’ingresso a Parigi dei monumenti sottratti all’Italia, tra di essi vi era proprio il gruppo scoperto nel 1749.
La favola è stata omaggiata e immortalata da numerosi artisti, ispirando uno dei massimi capolavori della storia dell’arte, l’Amore e Psiche stanti di Antonio Canova. Sebbene lo scultore abbia dedicato a questo mito diverse creazioni, secondo Fernow questa è l’”opera che ha segnato il trionfo di Canova e l’unica che meriterebbe un posto accanto ai capolavori antichi”. Amore nelle fattezze di un fanciullo dodicenne si appoggia con intima tenerezza a un’adolescente Psiche con ali di farfalla. Psiche è colta nell’atto di donare ad Amore una farfalla, ossia se stessa, la sua anima. E lo fa con somma grazia, la stessa con cui Amore l’accoglie. “Le due figure si legano dando vita ad un unico corpo, solo e perfetto come l’amore”.