Da qualche giorno un anonimo hashtag in lingua tedesca spopola su Twitter: #Gefahrengebiet. A vederlo così potrebbe sembrare l’ennesima tendenza del momento (trend topic) pronta a invadere, temporaneamente, il popolare social network. Ma la realtà che si cela dietro questa parola tedesca è ben più inquietante.
Gefahrengebiet, tradotto dal tedesco, significa letteralmente zona a rischio e, nel caso specifico, si riferisce allo stato di emergenza proclamato dalla polizia di Amburgo, in Germania. Dallo scorso 4 gennaio, in una vasta area della seconda città teutonica, vige uno stato di allerta che assomiglia molto ad un coprifuoco tipico degli stati di guerra. L’area in questione si estende da St. Pauli a Sternschanze e a tutti i quartieri limitrofi . Da una settimana a questa parte possono accedere alla zona di pericolo solo i residenti che sono tenuti a spostarsi rigorosamente a piedi e in orari prestabiliti. Fotografi e giornalisti sono tutt’altro che benvenuti mentre la polizia può fermare, identificare e perquisire chiunque si trovi a transitare all’interno della zona rossa. Se non si tratta di legge marziale è qualcosa che gli somiglia davvero molto.
Cosa succede ad Amburgo?
Cosa sta succedendo realmente ad Amburgo e perché è stata dichiarata la zona di pericolo? Tutto ha inizio il 21 dicembre scorso quando, nel quartiere – ghetto di Sternschanze, arriva l’ordine di sfratto per una serie di edifici occupati da migranti e famiglie in difficoltà. La scintilla che fa esplodere gli scontri fra attivisti e polizia è lo sgombero del Rote Flora, un ex teatro divenuto, nel 1989, un centro sociale. Il livello della tensione fra forze dell’ordine e i manifestanti sale inesorabilmente fino al 28 dicembre scorso, quando un gruppo di manifestanti, secondo la polizia, assalta una caserma causando una dura reazione da parte delle autorità cittadine che decidono di optare per la misura estrema, nota come gefahrengebiet. Fin qui la versione ufficiale che però non convince del tutto. In realtà fermi di polizia, controlli a tappeto e perquisizioni vanno avanti, nel quartiere Sternschanze, da almeno 3 mesi, da quando cioè, ad ottobre, sono arrivati in città ben 300 migranti, 70 dei quali provenienti da Lampedusa, senza permesso di soggiorno e senza un riconoscimento giuridico del loro status di rifugiati. Da quel momento fino ad oggi, le persone fermate sono state 400, 100 quelle arrestate. Nei quartieri interessati dalle misure di pubblica sicurezza vige il divieto di manifestazione e di aggregazione in strada mentre gli autobus di linea, cui è interdetta la circolazione, vengono usati come vere e proprie questure a 4 ruote nelle quali effettuare riconoscimenti, identificazioni e interrogatori. Posti di blocco, coprifuoco, controlli di massa e procedure restrittive: sembra un film ispirato a un romanzo di George Orwell, invece si tratta di fatti che si stanno verificando, proprio in questo momento, nella civilissima Europa e proprio nel Paese che si considera faro e guida del Vecchio Continente.
Le vecchie abitudini tedesche
La Germania di Angela Merkel e della grosse koalition si trova a dover fronteggiare un reale problema di ordine pubblico, ma lo fa usando metodi che ricordano molto da vicino quelli usati nelle pagine più buie della storia del ‘900, sempre in Germania, sempre per applicare una legge. Se oggi si tratta di applicare la legge sull’immigrazione, durante il Terzo Reich si trattava di persecuzioni razziali anch’esse basate su una legge in vigore al tempo, una legge che oggi ci sembra assurda e folle ma che nella Germania nazista aveva valore legale. Per questo oggi non ci si può nascondere dietro l’esigenza di far rispettare la legge e tutelare l’ordine pubblico: ciò che sta avvenendo, nel silenzio più totale dei media mainstream (almeno d i quelli italiani), è davvero inquietante, tanto inquietante che gli Stati Uniti hanno consigliato, tramite una nota dell’ambasciata inviata agli americani presenti ad Amburgo, di lasciare al più presto la città. In realtà sembra che non sia la prima volta che in Germania viene imposta la gefahrengebiet. Negli ultimi anni le forze dell’ordine tedesche hanno istituito “zone di pericolo” nelle città in parecchi casi: partite di calcio ad alta tensione, eventi di piazza potenzialmente pericolosi ecc. In questi casi però si è trattato di un’emergenza durata poche ore e circoscritta a spazi molto limitati. Questa volta invece ad essere militarizzati sono interi quartieri di una grande città che per ora restano “sotto assedio” a tempo indeterminato. Secondo le opinioni che circolano in rete, la facoltà di istituire “zone di pericolo” controllate dalle forze dell’ordine deriverebbe alla Germania dal famoso trattato di Velsen, firmato da alcune nazioni europee nel 2004, che istituisce eurogendorf, ovvero la gendarmeria europea. Tuttavia la Germania è uno dei pochi Paesi, a differenza dell’Italia, a non aver firmato il trattato: con ogni probabilità dunque la gefahrengebiet è tutta farina del sacco tedesco.
Un assordante silenzio
Uno degli aspetti più impressionanti della vicenda è sicuramente il silenzio dei media e delle istituzioni: le televisioni, le principali testate di informazione e i relativi siti internet sembrano ignorare completamente la questione. Né, a quanto risulta fino ad oggi, qualche parola a commento dei fatti di Amburgo è venuta da parte di esponenti politici di spicco. Se i politici italiani sono notoriamente troppo presi dalle questioni nostrane per guardare a ciò che avviene oltre confine, sembra che neanche le istituzioni europee, sempre pronte a stigmatizzare i comportamenti negativi dei “Paesi dell’olio d’oliva”, abbiano osato criticare una gestione così “disinvolta” dell’ordine pubblico e del problema dell’immigrazione clandestina. Quando lo scorso dicembre le immagini, poco edificanti, del centro di accoglienza di Lampedusa fecero il giro del mondo, la commissione europea non esitò, a ragion veduta, a esprimere forti critiche nei confronti dell’Italia e delle sue politiche di accoglienza: “La nostra assistenza e sostegno alle autorità italiane nella gestione dei flussi migratori può continuare solo se il paese garantisce condizioni umane e dignitose nel ricevimento di migranti, richiedenti asilo e rifugiati”- dichiarò la commisaria europea Cecilia Malmstrom dopo aver visto il video dei migranti denudati e “disinfestati” nel Cie di Lampedusa. Ora, dopo l’annuncio dell’indagine europea, il Ministero degli interni ha deciso di chiudere il centro di accoglienza dell’isola in attesa di allestirne altri più conformi alle normative europee. Bene, anzi benissimo, tuttavia sarebbe opportuno che la stessa pressione delle istituzioni europee si verificasse ora nei confronti della Germania per mettere la parola fine ad un episodio dai contorni inquietanti. Immaginiamo cosa sarebbe successo se un caso del genere si fosse verificato nel nostro Paese. Se invece di Amburgo si fosse trattato di Castel Volturno, se una gefahrengebiet all’italiana fosse stata istituita fra Napoli e Caserta invece che nella seconda città della Germania: sarebbe, letteralmente, venuto giù il mondo, con l’Europa pronta a condannare l’ennesima pessima condotta italiana e i media nazionali e internazionali a puntare l’obbiettivo, e non solo quello, contro le malefatte italiche in salsa meridionale.
Tuttavia, al di là delle differenze di attenzione mediatica sui vari Paesi, quello che emerge con forza da questa brutta vicenda è la dimensione che sta assumendo il fenomeno dell’immigrazione clandestina in Europa. Dopo i fatti di Amburgo è chiaro ormai che non si tratta solo di un problema italiano o dei Paesi che affacciano sul Mediterraneo. Spesso le frontiere naturali dell’Europa non sono la meta finale dei flussi migratori ma solo la porta d’ingresso verso le ricche democrazie del nord Europa. Dei 300 migranti che hanno messo in crisi la seconda città tedesca, ben 70 provengono da Lampedusa: dopo lo sbarco sull’isola siciliana sono riusciti ad arrivare in Germania alla ricerca di quel benessere che sapevano di non poter trovare in Italia. Gli sbarchi a Lampedusa costituiscono, dunque, un problema europeo di cui l’Italia non può accollarsi tutti gli oneri. Un concetto detto e ripetuto dal quale però ancora non si traggono le giuste conclusioni. L’Italia è dunque soprattutto approdo logistico, terra di passaggio per i tanti migranti che sbarcano sulle nostre coste. Da qui il fattore di instabilità sociale che inevitabilmente deriva dal dover gestire tante etnie diverse. Proprio a causa di questa complessità molti Paesi europei, Germania in testa non sono disposte a supportare fino in fondo l’Italia nella gestione dei flussi migratori. È in atto uno scontro tra Italia e Germania per la distribuzione dei profughi in Europa: il nostro Paese vorrebbe che i migranti sbarcati sulle coste dei Paesi del sud Europa venissero equamente distribuiti all’interno di tutti i Paesi U.E. La Germania continua a dire no a qualsiasi prospettiva di questo tipo, tuttavia una legislazione unitaria dell’Unione Europea in materia di immigrazione è ormai improrogabile. C’è da sperare che i fatti di Amburgo servano almeno a far comprendere questa urgenza anche a Berlino.