Costretti ad andare via dall’Italia per essere trattati come lavoratori veri. Tra i tanti cervelli in fuga dal nostro Paese c’è una categoria in costante espansione: quella degli allenatori.
Sì, perché accanto ai vari Carlo Ancelotti, Alberto Zaccheroni o Fabio Capello, abituati agli stipendi milionari del calcio, c’è gente come Giampaolo Medei, classe 1973, da Treia (provincia di Macerata), coach di pallavolo che ha deciso di trasferirsi in Francia per godere di diritti che in Italia – a lui come alla maggior parte degli sportivi – non vengono riconosciuti.
Già secondo allenatore alla Lube Banca Marche Macerata e alla Sparkling Milano, Medei, dopo esperienze sulle panchine di Latina e Modena, ha scelto di varcare le Alpi e accasarsi al Narbonne (con cui ha concluso la stagione del massimo campionato francese al quinto posto). Ecco le ragioni per cui ha scelto di andare via.
Medei, perché ha lasciato l’Italia?
Alla base della decisione di fare le valigie e andare a lavorare all’estero ci sono diverse motivazioni: prima di tutto il desiderio di cambiare, avevo la necessità di confrontarmi con un sistema diverso da quello italiano.
Quindi?
Ho pensato che il trasferimento Oltralpe sarebbe stata un’occasione per mettermi in luce, visto che in Italia non è così facile avere delle opportunità: anche se ho quasi quarant’anni, per molti sono considerato un allenatore giovane, e assumere un under 40 equivale a rischiare. Anche se poi alleno da praticamente vent’anni. All’estero si fa meno caso all’anagrafe, sia per l’età che per il cognome.
Solo desiderio di cambiare, dunque?
No, c’è anche il fatto che in Francia siamo considerati dei professionisti: insomma, siamo tutelati e considerati lavoratori a tutti gli effetti. Per esempio, abbiamo i contributi per la pensione, a differenza di quel che accade in Italia.
Una differenza in apparenza banale, rispetto al nostro Paese, ma in realtà fondamentale per chi lavora.
Sì, in Italia si firmano contratti di prestazioni sportiva dilettantistica, il che significa che non esistono contributi per la pensione, ma soprattutto che, nel caso in cui il contratto non venga rispettato (cosa che purtroppo accade spesso), non si è tutelati: adire le vie legali richiederebbe troppo tempo, senza nemmeno la garanzia di ottenere un risultato.
In Francia, invece, come funzionano le cose?
Qui si è assunti regolarmente: la categoria di istruttore sportivo è riconosciuta e tutelata come tutte le altre. Si versano i contributi e i contratti vengono onorati sempre; inoltre se un allenatore o un giocatore rimane senza squadra ha diritto a ricevere un sussidio di disoccupazione e continua a ricevere i contributi per la pensione.
E’ per questo motivo che sempre più allenatori decidono di andare via dall’Italia? Per restare alla pallavolo, è il caso di Marcello Abbondanza, Angiolino Frigoni e Gianni Caprara, solo per citare i più famosi.
C’è da considerare, prima di tutto, che complice la crisi che sta falcidiando il numero di squadre del nostro campionato ci sono sempre meno posti di lavoro. Poi c’è la motivazione economica: accanto a coach che vengono chiamati in campionati ricchissimi come quello russo o quello turco, c’è chi invece sceglie la Francia, la Germania o i Paesi dell’Europa centrale dove, a dispetto di stipendi non altissimi, ci sono garanzie lavorative che in Italia mancano.
Si rischia, però, che il sistema sportivo italiano in questo modo si impoverisca.
Sì, perché sono sempre di più gli allenatori e i giocatori che scelgono di andare in altri campionati. Il livello tecnico, nel volley, per il momento si sta abbassando soprattutto in serie A2, mentre la serie A1 è salva grazie a cinque o sei club che continuano a spendere per avere i migliori giocatori al mondo. Ma, se sciaguratamente dovessimo perdere questi club, il nostro diverrebbe un campionato di basso livello.