Lo si legge nel rapporto annuale della ONG
Almeno 280 attivisti e manifestanti sono ancora detenuti in Algeria alla fine del 2022. Durante lo scorso anno le autorità hanno intensificato la repressione della libertà di espressione e di riunione pacifica. Hanno represso ogni forma di dissenso.
A denunciarlo è Amnesty International (AI). Nel suo rapporto annuale, Amnesty mette in guardia contro la nuova legge sulle associazioni. Legge che l’Algeria sta preparando. Condanna la sospensione di almeno un partito politico e la minaccia di scioglimento altre due organizzazioni. Nonché le “inventate accuse di terrorismo” nei confronti di esponenti dell’opposizione.
AI ha evidenziato la decisione del governo algerino di rinviare nuovamente a settembre la prevista visita del Relatore Speciale sulla libertà di riunione pacifica e di associazione. Ciò avviene per l’ottava volta dal 2011. Tra gli esempi citati nel rapporto c’è la condanna di cinque giovani dell’Hirak (movimento di protesta antigovernativo). Condannati per aver pubblicato un video in cui una ragazza accusava la polizia di violenza sessuale. Il rapporto evidenzia anche la condanna a tre anni di reclusione dell’attivista ambientalista Mohad Gasmi. Questo per scambi di email sullo sfruttamento del gas di scisto in Algeria.
La mancanza di libertà di movimento è segnalata come un’altra violazione dei diritti umani. Ci sono almeno cinque attivisti e giornalisti a cui è vietato lasciare il paese senza un permesso del tribunale.
“A febbraio, Lazhar Zouaimia, cittadino canadese di origine algerina e membro di Amnesty International Canada, è stato accusato di “terrorismo”.
Questo a causa dei suoi presunti legami con il Movimento per l’autodeterminazione di Kabylia e Rachad. La ONG internazionale ritiene inoltre che il diritto a un giusto processo è compromesso. Le autorità hanno arrestato arbitrariamente gli avvocati della difesa. Anche gli abusi contro la popolazione migrante fanno parte del rapporto. Si afferma che migliaia di persone – 14.000 tra gennaio e maggio – sono state “espulse violentemente” dall’Algeria al “punto zero” al confine con il Niger.