C’è Palermo in Moderna, la personale museale che consacra Alessandro Bazan alla sua città, al suo vespro, ai suoi fumetti d’avventura e alla sua anima orientale. Francesco Gallo Mazzeo, curatore della mostra, ne scrive come di un cantore ottocentesco, o un viaggiatore urbano, e non sbaglia.
Il catalogo, e solo quello, ritrae le gradi tele in bianco e nero, quasi per essere fedele al titolo che si torce a ritroso e, precisamente, occhieggiando l’atmosfera ufficiale di un omaggio in patria; vissuto quasi in senso parodistico. Parodia del museo e dei suoi tanti equivoci. «Il museo, afferma Brian O’Doherty, si riduce a un White Cube il cui potere è quello di sopravanzare la percezione dell’arte stessa, producendo un bizzarro ribaltamento in cui gli stessi oggetti artistici introdotti nello spazio dell’esposizione sono chiamati ad ‘incorniciare’ la galleria e le sue leggi», scrive Michele Costanzo in un breve saggio dal titolo esplicativo: La musa inquieta. E ancora: «Diversi sono gli esperimenti realizzati durante il secolo trascorso che meritano di essere richiamati alla nostra memoria: finalizzati a rompere questa sorta di ‘prigione’ in cui il museo moderno si è rinchiuso credendo di costruire un proprio rifugio».
Esperienza o interpretazione
Moderna è stata inaugurata il 16 marzo e finirà il 30 aprile. La personale avrà come scudo, o meglio come scenario Ostranenie, defamiliarizzato, proprio il realismo dell’Ottocento. Un tema flagrante perché la Storia, quella con la “S” maiuscola, non procede in linea retta, come aveva capito Wassilly Kandinsky prima e Nicolas Serota poi, il per la Tate Gallery di Londra seguì un modello allestitivo e curatoriale provocatorio, dall’andamento tematico, piuttosto che la consolidata strategia cronologica e progressiva. Serota in Experience or Interpretation (trad. it. Esperienza o interpretazione. Il dilemma del museo d’arte moderna, Kappa, Roma 2002) riattualizza la lezione di Kandinsky, che indicava di lasciarsi guidare dalle analogie suscitate dalla pura fenomenologia formale, tecnica ed espressiva, dei materiali artistici a disposizione, o di basarsi sui caratteri propri delle diverse rappresentazioni, evitando lo schema delle periodizzazioni e delle scuole. Il curatore propone ciò che in parte, e non saprei dire in quale misura con una volontà precisa, ha generato una sorta di cortocircuito vivificante tra Moderna e l’Ottocento pittorico e scultoreo esposto nel percorso principale della GAM.
L’arte e la critica devono darsi questo obiettivo: una continua attualizzazione del passato, attraverso fili intrecciati in modo reticolare e discontinuo.
La lente rovesciata
E Bazan rivisita, fra le altre cose, l’immaginario filmico mediante la lente rovesciata dell’inconscio ottico; qualcosa di noto, che appartiene all’epicentro delle nostre visioni, eppure non possiamo più attingervi se non per eco. D’altronde, anche la naïveté filologica occupa la sua parte nei dipinti dell’autore, e inerisce la pittura stessa nel suo specifico esecutivo, nelle sue pennellate esibite e nelle sue cromie. Egli non vuole rompere con la tradizione quanto rigenerarla, così riprende, infatti, il Funerale a Ornans (1849-50), detto anche Quadro di figure umane, di Gustave Courbet. Nell’enorme tela di Courbet è stato ritratto un folto gruppo di persone che si estende ipotatticamente per l’intera superficie orizzontale del dipinto, mentre Bazan lo trasforma in un’arringa: una folla disciplinata intenta ad ascoltare un leader.
Bazan cita, ancora, Les Bagneuses, le bagnanti come tropo, figure care a tutta la tradizione pittorica dell’esotico e del lontano, per l’appunto ottocentesca, e le immerge in una selvatichezza acida prossima al film Zabriskie Point (1970) di Michelangelo Antonioni. I suoi corpi filanti e insieme muscolosi, presi da attività senza finalità precise, talvolta disturbano. Sbilanciano lo spettatore verso un senso compiuto irravisabile, per quanto la tavolozza psichedelica soddisfi il sogno e l’immaginazione. Questi grandi lavori funzionano alla maniera di un farmaco psicotropo: ne hai bisogno per quanto quest’ultimo ti lasci parzialmente infelice.
Alessandro Bazan introduce, con la sua pittura schizzante, ironica, solipsistica, costruita sempre sulla estraneazione di una memoria storica riemersa e declinata al participio presente, un vocabolario di fragmenta (ironici, feticisti, masochisti, sensualisti) colti al volo come performances di esperienze letterarie, teatrali, cinematografiche, ma anche di vita sulla strada. Ricordi, o semplici istantanee, che diventano archivio esteso; Instagram (un’applicazione usata per trasformare le foto digitali in immagini dal viraggio anni Settanta) come filtro che rende omogeneo e appena distanziato il rutilante scenario dell’Occhio.
La nostalgia del post modernista
Alessandro Bazan è un post modernista che ha nostalgia della modernità; egli non tiene più insieme l’inganno della Storia su cui poggiarsi e mutua dai suoi lacerti “in situazione” una compattezza che gli viene dalle prospezioni nella memoria pittorica storica, dalle incursioni nell’illustrazione editoriale, dal fumetto e da Palermo; la città da sola costruisce, difatti, un arazzo realista così stratificato che chi vi risiede non può evitarne il contagio.
Con la personale di Alessandro Bazan la Galleria d’Arte Moderna di Palermo, in collaborazione con ArsMediterranea, prosegue il suo progetto espositivo dedicato all’arte contemporanea.
La mostra si articola in un percorso di circa sessanta opere, tutte inedite, frutto degli ultimi anni di lavoro e che rappresentano un punto di svolta rispetto alla ricerca precedente di Bazan.
Il catalogo edito da Flaccovio Editore oltre al testo di: Francesco Gallo Mazzeo e Francesco Galluzzi, contiene inoltre un’intervista di Vincenzo Profeta.