Per la prima volta nella sua storia anche la cellula saudita di al Qaeda ha deciso di puntare su una donna per uscire fuori dalla crisi in cui si trova.
E’ salita alla ribalta della cronaca dei paesi arabi in questi giorni la storia di Arwa Baghdadi, donna jihadista e moglie di un detenuto di al Qaeda, fuggita dall’Arabia Saudita per unirsi ai capi del gruppo terroristico del suo paese nascosti nel vicino Yemen. La Baghdadi è stata la capofila di un nuovo fenomeno, che è quello della fuga delle mogli e delle donne di al Qaeda dall’Arabia Saudita allo Yemen. La sua vicenda è venuta fuori dopo l’arresto di due donne e tre bambini avvenuto due settimane fa lungo il confine tra i due paesi arabi, che tentavano di raggiungere lo Yemen attraversando illegalmente il confine saudita, e dopo lo smantellamento della cellula jihadista scoperta a Riad.
Al momento della fuga in Yemen la al Baghdadi era fuori dal carcere su cauzione, in attesa di processo con l’accusa di terrorismo. Sua madre si svegliò di mattina nella casa di famiglia il 6 aprile 2013 per scoprire che la giovane figlia e i suoi due nipoti non erano più in casa. Da allora sia i familiari che i membri di al Qaeda nel mondo hanno avuto suo notizie solo tramite un account Twitter creato col nome di Arwa dal quale la donna ha inviato dei tweet propagandistici considerati una minaccia per la sicurezza regionale. Questi tweet si sono fermati a metà gennaio, non prima di esprimere gioia per l’adesione al gruppo di “mujaheddin” in Yemen .
Arwa Baghdadi è stata accusata di essersi unita ad al Qaeda dopo la morte di suo fratello Mohammad nel 2010 e, secondo suo zio Hisham Baghdadi, aveva sposato un sospetto membro di del gruppo terroristico, Yassin al Barakati, in segreto mentre quest’ultimo era detenuto in carcere. Arwa è stata in prigione per terrorismo nel 2012 quando è stata scarcerata dopo gli accorati appelli delle Ong locali che difendono i diritti umani, per evitare che partorisse uno dei suoi figli in cella. L’anno successivo, il 2013, è invece quello della fuga. Si tratta della terza donna di al Qaeda che dall’Arabia Saudita è fuggita in Yemen: prima di lei hanno seguito lo stesso percorso che porta per i monti che dividono i due paesi arabi Wafa al Mohammed Yahya nel 2006 e Wafa al Shihri, moglie del leader di al Qaeda Said al Shihri, la quale è fuggita per unirsi al marito.
La vicenda di Wafa è diversa perché, piuttosto che da legami familiari o affettivi, la al Baghdadi è fuggita per evitare l’arresto essendo stata individuata dalla polizia di Riad come uno dei capi di una nuova cellula che stava costruendo nel paese. Il suo nome rientra infatti nel filone dell’indagine che ha portato nei giorni scorsi ad annunciare la scoperta di una nuovacellula terroristica dalle autorità di Riad. Si tratta della prima ad essere scoperta in Arabia Saudita con collegamenti diretti alle milizie qaediste dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis). Ad annunciarlo è stato il ministero dell’Interno saudita in riferimento all’arresto di 62 persone avvenuto di recente con l’accusa di terrorismo. Secondo quanto riferisce il ministero di Riad, le persone fermate sono accusate di aver tentato di rifondare la cellula saudita di al Qaeda, pianificato attacchi contro obiettivi istituzionali e stranieri nel paese e aiutato le mogli dei miliziani a lasciare il paese.
La cellula sgominata dava molta importanza all’invio di persone e armi in Yemen. Una delle sue priorità era quella di permettere una via di fuga alle donne saudite attraverso il confine meridionale. E’ così che ha aiutato a fuggire le mogli di molti terroristi e anche delle donne come la al Baghdadi e Rima al Jarish. Il gruppo era riuscito a riunire un gran numero di seguaci tramite Facebook ed era presente sul web attraverso diversi siti internet. Aveva, secondo la ricostruzione delle autorità di Riad, diverse basi in Yemen, ma soprattutto forti legami con le milizie qaediste dell’Isis in Siria. L’obiettivo era quello di creare il caos anche in Arabia Saudita attraverso una campagna di omicidi mirati. La novità rispetto al passato è che questa volta la cellula terroristica aveva deciso, per motivi di sicurezza, di utilizzare le donne come tramite per il reclutamento di giovani da inviare all’estero per il Jihad.
Secondo l’esperto saudita di anti-terrorismo Fares Bin Hazem, “è normale che l’Isis avesse come obiettivo quello di arrivare in Arabia Saudita, considerato il fatto che in Siria lo Stato islamico conta tra le sue fila centinaia di sauditi. L’obiettivo prioritario dell’Isis non è salvare il popolo siriano o far cadere il regime di Bashar al Assad, ma allargarsi a tutta la regione per istituire uno Stato islamico. Sono cose che si evincono dagli stessi discorsi e comunicati del gruppo. Leggendo i messaggi dei sauditi presenti tra le fila dell’Isis, spesso pubblicati su Facebook o Twitter, ricorre sempre il tema del ritorno in Arabia Saudita per condurre anche in patria attività jihadiste”.