Il versamento di 54 milioni di euro all’anno per l’affitto degli uffici parlamentari, a canoni infinitamente superiori  a quelli di mercato, è un fatto gravissimo che disorienta i cittadini, non tanto per la facilità con cui il denaro viene dilapidato, né perché   gli affitti sono di gran lunga superiori a quelli del mercato immobiliare o  perché, con cifre più basse, lo Stato  avrebbe potuto acquistare gli immobili e neanche  perché buona parte di tali somme (apparenti canoni) in realtà sono state rigirate sotto forma di donazioni ai politici che hanno approvato le locazioni, mostrando evidente la collusione fra tutte indistintamente le forze  parlamentari governative.

Il problema è che lo Stato non  può pretendere sacrifici con una imposizione fiscale che non trova eguali in Europa, sia per i metodi di riscossione, sia per l’entità delle percentuali pretese con sanzioni,  interessi e penali  al di fuori di ogni ragionevolezza, se poi, non solo manca l’esempio, ma la concussione e la corruzione tra tutte le forze politiche appaiono così evidenti e diffuse.

La conseguenza  è che il contribuente rimane, a dir poco nauseato ed adirato, dal cattivo uso  che lo Stato fa del danaro, tanto faticosamente versato e sottratto alla propria famiglia e si sente legittimato a difendersi contro quella che percepisce come una ingiusta vessazione.

MANCA UN CORRISPETTIVO

E’ singolare che se il cittadino si comporta disonestamente nei confronti del Fisco, egli giustamente è soggetto alle sanzioni previste, ma non altrettanto avviene ex  adverso.

I PROVENTI FISCALI DILAPIDATI

E’ evidente che lo Stato viola il patto sociale e diventa scorretto se la spesa pubblica, cioè l’utilizzo del danaro che i contribuenti versano all’Amministrazione tributaria, viene gestita in modo dissennato, o peggio in modo interessato.
A nessuno sfugge che qualsiasi appalto o acquisto effettuato dalla Pubblica Amministrazione riporti singolarmente prezzi sempre molto al di sopra di quanto ciascuno di noi spende nel libero mercato per quella medesima prestazione.
Di fronte a tale malcostume, al di là dei reati, che tuttavia non vengono mai ravvisati, quando la torta viene divisa in parti eguali tra tutti, il maggior senso di impotenza del cittadino-contribuente deriva proprio da questa evidentissima collusione tra tutti i partiti al di là del colore politico e delle apparenti lotte ideologiche, in rapporto da un lato ad una eccessiva pressione fiscale e dall’altro  all’amministrazione del danaro dei cittadini in   modo a dir poco disinvolto.

UN SISTEMA FISCALE CHE E’ SFOCIATO NELL’OPPRESSIONE

A fronte della pessima amministrazione del danaro ottenuto dai contribuenti e dell’altrettanto non adeguata qualità dei servizi, sussiste un sistema di imposizione fiscale privo di ogni equilibrio e finalizzato al solo scopo di ottenere il massimo profitto.
Ciò   deriva dal fatto che fino a poco tempo fa, la mancanza di danaro per lo Stato non era così avvertita e, diciamolo apertamente, vi era un lassismo diffuso sia da parte dei cittadini nel far fronte correttamente ai propri obblighi fiscali, sia da parte dell’Amministrazione nel ricercare ”i distratti”.
Con l’avvento della crisi economica e della disperata necessità dello Stato (che la maggioranza percepisce come un soggetto estraneo ed ostile) di trovare rapidamente il danaro, si sono innescati dei sistemi borbonici a carattere inquisitorio, partendo dalla presunzione juris et de jure che il cittadino per definizione sia un evasore fiscale.

LA PRESUNZIONE DI COLPEVOLEZZA

Tutto il meccanismo ha un carattere vessatorio che invero non ha eguali.
Basti dire, per parlare solo di alcuni punti, che le cartelle esattoriali emesse dall’impiegato dell’Agenzia delle entrate  costituiscono automaticamente titolo esecutivo, senza alcun controllo del magistrato.
Per opporsi mediante ricorso è necessario versare una parte rilevante delle somme richieste, nel presupposto che il ricorrente sia comunque presuntivamente colpevole.
Il ricorso, se non viene concessa la sospensione, viene deciso dopo notevole lasso di tempo e cioè dopo aver subito l’esecuzione forzata da parte dello Stato e l’iscrizione di ipoteca sulla casa e il blocco amministrativo della propria autovettura.
Le sanzioni tributarie raddoppiano, si triplicano o peggio, dopo poco tempo, costringendo il contribuente ad accettare transazioni inique.
Non è possibile dar corso nel merito all’opposizione dell’esecuzione così come avviene a fronte di un qualsiasi pignoramento, in quanto è vietato dalla disciplina fiscale.
Alla fine, pur di evitare le abnormi lungaggini processuali del processo tributario ed i rischi connessi, al contribuente non rimane che accettare di pagare, almeno con le sanzioni ridotte, facendo fronte alle pretese dell’Agenzia delle entrate, pur se totalmente ingiuste ed infondate.
Pochi in realtà sono in grado come Sofia Loren di seguire e sostenere oneri di avvocati e commercialisti per ottenere l’annullamento di un accertamento dei redditi del 1974, deciso dalla Cassazione nel 2013.

COMPORTAMENTO VERGOGNOSO DI EQUITALIA

 Per completare il quadro è necessario dedicare un cenno all’ente creato dallo Stato per il recupero dei presunti crediti fiscali: Equitalia.
Premesso che non si possa imputare all’ente di recupero tassi di interessi usurari o pretese fiscali che in dieci anni aumentano in progressione geometrica, fatti che trovano la loro ragion d’essere nelle normative, non attuali, persecutorie e che devono essere per forza corrette, tuttavia Equitalia è riuscita in pochi anni a focalizzare l’ostilità di tutta la nazione, a causa di una gestione e di una aggressività che purtroppo ha minato l’equilibrio psichico di molti fino a gesti estremi.
L’ente creato per recuperare i crediti dello Stato, agisce, sia pure con le recenti limitazioni legislative adottate a furor di popolo, in modo a dir poco sconsiderato.
Tralasciando il fatto che buona parte delle abitazioni degli italiani sono gravate dall’ipoteca di Equitalia iscritta a fronte di pretese lontane nel tempo da innumerevoli anni, sono rilevabili comportamenti assurdi ed inspiegabili, come quando i funzionari di Equitalia sono andati a notificare una ingiunzione di 60mila euro per il triennio 2005/2007 alla vedova del Sig. Giuseppe Campaniello, artigiano in crisi economica vessato da costoro “dimenticando” che per la disperazione il Sig. Campaniello  si era suicidato dandosi fuoco davanti la Commissione Tributaria di Bologna il 28 marzo 2012.

I PREMI DI PRODUZIONE

Se si vuole dare una spiegazione a simili atteggiamenti persecutori, bisogna trovare la soluzione nel contratto dei dipendenti di Equitalia che statuisce premi e bonus per coloro che riscuotono più cartelle esattoriali.
Il contratto di assunzione di Equitalia prevede infatti una serie di premi incentivanti per i lavoratori, cioè in sostanza denaro extra in busta paga per tutti i dipendenti di Equitalia che riescono a riscuotere il maggior numero di cartelle esattoriali.
In un recentissimo documento pubblicato su un quotidiano, relativamente alla sola  Equitalia Marche,  si fa riferimento ad un montepremi di 314mila euro da suddividere tra i 170 dipendenti che sarebbero risultati i più produttivi nella regione”.
Cioè in sostanza viene preventivato un aumento di retribuzione direttamente proporzionale alle riscossioni secondo i parametri fissati dall’Ente.
Tale situazione   è venuta alla luce soltanto in quanto l’Ente ha deciso di cercare di tagliare gli incentivi alla produzione poiché l’enorme macchina burocratica creata, presenta dei costi rilevanti ed il danaro da riscuotere è sempre meno, mentre molti Enti locali hanno deciso, dati i sistemi, di tornare ad una gestione autonoma per il recupero dei tributi.
Ricordiamo che una situazione similare (i premi di produzione ai Vigili Urbani che producevano maggiori multe per i Comuni), era stata moltissimi anni or sono ampiamente sanzionata dalla Magistratura ed altrettanto confidiamo avvenga ora, dal momento che normativamente il Parlamento sembra disinteressarsi della questione.
Sembra naturale a tutti infatti che  vada esclusa qualsiasi forma di incentivazione, per un compito che è squisitamente istituzionale e che diversamente sarebbe privato, così come avviene, di qualsiasi criterio di oggettività e di giustizia nel recupero delle pretese fiscali.

LA COMPRESSIONE DELLA LIBERA INIZIATIVA

Certo la sensazione del cittadino è che lo Stato non possa comprimere il tenore di vita   con un prelievo fiscale forzoso e sproporzionato, quando manca ogni garanzia circa il corretto uso dei proventi.
Tra l’altro l’eccessiva tassazione unita alla insicurezza,  imprecisione e superproduzione di norme, l’esibizione dei muscoli da parte del fisco con continue minacce di controlli  rende impossibile  lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali anche modestissime.
E taciamo, per non aprire un capitolo che meriterebbe ben più ampio esame, sul diritto dell’Agenzia delle Entrate di leggere gli estratti conto bancari di 30 mila italiani con buona pace della normativa sulla privacy e gettando nel cestino della spazzatura la Costituzione.
Fatto è che nessuno si sogna di iniziare una attività commerciale, se non ci sono poche e comprensibili norme fiscali, tantomeno se  immediatamente diviene il bersaglio di ispezioni, controlli e multe.
E non dimentichiamo che la depressione del mondo del lavoro è la conseguenza immediata e diretta della scomparsa della piccola imprenditoria privata che costituisce oltre il 90% delle attività totali in Italia, impedendo così qualsiasi forma di sviluppo.

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