È un lungo, lento, assiduo e costoso percorso a ostacoli (pubblico e privato) quello che deve affrontare una coppia italiana che desidera adottare un bambino straniero. In media occorono tre anni – in alcuni casi ne possono trascorrere anche otto – e circa 12 mila euro di spese. Le coppie che hanno richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia di bambini stranieri, dal 16 novembre 2000 al 30 giugno 2011, ossia le coppie in possesso del decreto di idoneità per l’adozione internazionale che hanno concluso con successo l’intero iter, sono state 27.547. Di queste, quelle che hanno realizzato un’adozione nel corso dei primi sei mesi del 2011 sono state 1.641, soltanto il 6%.
Le difficoltà sono di tipo burocratico, ma anche – molte volte – dovute alla relativa professionalità in cui ci si può imbattere fin dal principio, quando si viene per esempio a contatto con gli assistenti sociali. “È chiaro che questo è un momento molto delicato nel quale gli aspiranti genitori adottivi possono sentirsi come sottoposti ad un esame – tiene a precisare il sito della Cai, la Commissione per le adozioni internazionali istituita dalla Presidenza del Consiglio per sovrintendere alle attività -. I servizi però devono cercare di sondare la loro capacità di prendersi cura di un minore, l’apertura di entrambi all’adozione, la loro situazione socio-economica – in maniera discreta- ponendosi ‘a fianco’, e non di fronte agli aspiranti all`adozione”. Sono proprio i modi e la professionalità a fare la differenza tra il ritrovarsi gli assistenti sociali (pubblici impiegati, vale la pena ricordarlo) “a fianco” oppure “di fronte”. Ma facciamo un passo indietro. Una volta verificati i requisiti richiesti (almeno tre anni di matrimonio, età dei coniugi… sono quelli previsti dall’art. 6 della legge 184/83 modificata dalla 149/2001), si può iniziare l`iter presentando la richiesta al Tribunale dei minori.
La lunga lista dei documenti
Oltre alla dichiarazione vanno allegati una serie di documenti in carta semplice (in linea di massima si tratta di certificato di nascita dei richiedenti; Stato di famiglia; dichiarazione di assenso all’adozione da parte dei genitori degli adottanti, resa nella forma della dichiarazione sostitutiva di atto notorio davanti al segretario; oppure, qualora fossero deceduti certificato di morte dei genitori dei richiedenti; certificato rilasciato dal medico curante; certificati economici: mod.101 o mod.740 oppure busta paga; certificato del Casellario giudiziale dei richiedenti; atto notorio oppure dichiarazione sostitutiva con l’attestazione che tra i coniugi adottanti non sussiste separazione personale neppure di fatto), ma la documentazione può variare da sede a sede del Tribunale dei minori. Entro quindici giorni la richiesta dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere inoltrata ai servizi sociali che hanno quattro mesi di tempo per effettuare una valutazione della coppia attraverso incontri e colloqui. A questo punto la pratica ritorna al Tribunale dei minori che ha due mesi di tempo per decidere se approfondire l`esame dei coniugi oppure rilasciare subito il decreto di idoneità. In teoria, nella migliore delle ipotesi trascorrono quindi sei mesi e mezzo per la prima parte che – sempre in teoria – dovrebbe essere quella più delicata in quanto, oltre a verificare la capacità della coppia ad adottare e quindi crescere un bambino, fornisce anche un identikit degli aspiranti genitori che servirà a individuare il bambino più affine. Dalla teoria alla pratica il passo è decisamente lungo. Così, a questo punto, la coppia si ritrova “idonea” e può intraprendere la seconda parte del percorso, interamente affidato a strutture private. I servizi sociali (pubblici), chiamati a sostenere e seguire la coppia, ultimata la mera pratica di verifica invece si congedano. Gli aspiranti genitori hanno un anno di tempo, dalla data di notifica del Tribunale, per dare l`incarico ufficiale a uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali: sarà questa struttura a gestire l`adozione vera e propria.
Dal pubblico al privato
Gli enti, la maggior parte di area cattolica, sono nati per contrastare ed evitare la compravendita di minori, svolgendo così un ruolo da intermediario riconosciuto istituzionalmente con le autorità straniere e le strutture locali a cui sono stati affidati i bambini in attesa di essere adottati. La trasparenza in un ambito così delicato è fondamentale. Ciò che suscita qualche perplessità invece è il fatto che sono questi enti a organizzare corsi di preparazione (a pagamento) per la coppia invece di occuparsi esclusivamente di svolgere le pratiche internazionali necessarie. Il passaggio è comunque obbligatorio, per cui si è costretti a procedere in questo modo. E allora, tra incontri formativi di ogni genere (chissà perché quando una coppia attende un figlio naturale non c`è nessun ente che obbligatoriamente e a pagamento spiega alcunché sull`accudimento dei neonati) viene istruita la pratica da inviare all`estero. Ad ogni modo, appena ricevuta dall’autorità straniera la proposta di incontro con il bambino da adottare, gli aspiranti genitori partono. Se gli incontri si concludono con un parere positivo, l’ente trasmette gli atti alla Commissione per le adozioni internazionali in Italia che autorizza l’ingresso e la permanenza del minore. Dopo che il bambino è entrato in Italia, e sia trascorso l`eventuale periodo di affidamento preadottivo, la procedura si conclude con l’ordine, da parte del Tribunale per i minorenni, di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile. I tempi per quest`ultima procedura, a detta della stessa Cai, “non sono quantificabili”. Ma a questo punto, il peggio è effettivamente passato. Nel caso in cui dall`estero arrivi un parere contrario, la Commissione dovrà comunque essere messa al corrente con una relazione che sarà presa in considerazione per eventuali, possibili abbinamenti successivi. Può accadere inoltre che sia l`ente a non accogliere una proposta di adozione avanzata dall’autorità straniera. In questo caso gli aspiranti genitori possono ricorrere alla Commissione che può non confermare il diniego dell’ente e procedere direttamente, sostituendosi all’ente stesso, oppure affidare a un altro ente l’incarico di condurre a termine la procedura. Insomma, se alle difficoltà ordinarie si dovessero aggiungerne altre straordinarie una via d`uscita c`è sempre. Basta non perdere la calma.
Una catena tutt’altro che efficiente
In un recente rapporto stilato dal Cea (leggibile in allegato) – il Coordinamento degli enti autorizzati che raccoglie un terzo delle strutture operanti in Italia – vengono denunciate proprio le lungaggini burocratiche: all`attività preparatoria nel Paese (almeno un anno), si sommano l`attesa media per l’autorizzazione della Cai e la successiva attesa di accreditamento presso le autorità straniere (almeno un altro anno). Occorrono quindi tre anni “per diventare operativi”. Inoltre, secondo gli operatori, le autorità italiane all’estero “offrono appoggi estremamente limitati. Sarebbe auspicabile un chiaro status giuridico degli enti autorizzati nello svolgimento delle loro funzioni all’estero, e un ruolo diverso di ambasciate e consolati, che potrebbero portare nelle pratiche adottive un ampio contributo di conoscenze ed esperienza locale”.
A detta di chi ne fa parte, quindi, la catena non è efficiente. Le colpe ricadrebbero interamente sulla struttura pubblica. La Commissione però sull`argomento non si pronuncia, ma si limita a rendere noti annualmente i dati (in allegato il rapporto 2011) da cui si evince che dal gennaio 2000 al 30 giugno 2011 sono 33.672 i bambini stranieri adottati. Dallo studio si possono avere inoltre informazioni dettagliate sull`età delle coppie, la professione, i titoli di studio e la dislocazione regionale. E anche i primi dieci Paesi di provenienza dei bambini adottati, che nel primo semestre 2011 sono stati: Federazione Russa (17,15%), Colombia (13,26%), Ucraina (8,48%), Etiopia (6,68%), Vietnam (6,48%), Brasile (5,95%), India (4,87%), Bielorussia (4,82%), Polonia (4,68%) e Cina (3,61%). Cosa si vuole di più?
In allegato:
Dati e prospettive nelle adozioni internazionali CAI 2011
Rapporto Cea 14 dicembre 2011
Dati e prospettivve nelle adozioni internazionali CAI 2011
Rapporto Cea 14 dicembre_2011