ROMA. L’arte come modello di libertà, l’uguaglianza contrapposta al divismo, l’impegno politico non espresso ma “leggibile”, come diceva lui stesso nel suo volume ‘Musica sopra Berlino’, “dagli ascoltatori particolarmente attenti, nei pezzi che scelgo e nel modo in cui li dirigo”. Sono alcune delle peculiarità di Claudio Abbado, il direttore d’orchestra, tra i più grandi di tutti i tempi, scomparso oggi a Bologna all’età di 80 anni. L’ultimo riconoscimento che ha ricevuto è stato, il 30 agosto del 2013, la nomina a Senatore a vita da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Abbado però, già colpito dalla malattia, non ha mai messo piede a Palazzo Madama in quanto senatore. Musicista dal repertorio sconfinato – ha diretto da Claudio Monteverdi a Luigi Nono – auspicava una stretta collaborazione tra le varie arti, riteneva deprecabili i tagli alla cultura in nome della crisi (“si deve colpire il vero spreco ed eliminare le speculazioni”), e aveva un sogno nel cassetto: “Vorrei che si affermassero sempre più le convinzioni che ispirano il nostro modo di lavorare: studiosi,politici, artisti, organizzatori, responsabili e semplici cittadini possono, insieme, determinare una reale collaborazione tra arte, scienza ed etica”. Abbado nasce a Milano il 26 giugno del 1933 da una famiglia della borghesia colta. Il padre Michelangelo è insegnante di violino e poi vicedirettore del Conservatorio ‘Giuseppe Verdi’ del capoluogo lombardo. La madre, Maria Carmela Savagnone, palermitana, è pianista e scrittrice. Il fratello Marcello, di sette anni più grande di lui, è pianista, compositore e poi direttore del Conservatorio milanese, l’altro fratello, Gabriele, è architetto, mentre la sorella Luciana è la fondatrice del Festival MilanoMusica. Abbado si diploma in pianoforte, specializzandosi con Friederich Gulda, e in direzione d’orchestra, perfezionandosi con Antonino Votto, al Conservatorio di Milano. Grazie a una borsa di studio, tra il 1955 e il 1958, va a Vienna dove segue i corsi di Hans Swarovsky, riuscendo a farsi ammettere al coro della Gesellschaft der Musikfreunde, assistendo così alle prove dei maggiori direttori d’orchestra del mondo, fra i quali Bruno Walter, George Szell e Herbert von Karajan. Partecipa anche ai corsi dell’Accademia Chigiana a Siena e nel ’58 vince il concorso Koussevitzky della Boston Symphony Orchestra a Tanglewood. Un traguardo che gli consente di dirigere la prestigiosa New York Philharmonic Orchestra. Nel ’59 debutta in Italia, al Teatro Verdi di Trieste e l’anno dopo esordisce alla Scala di Milano. Da questo momento per il giovane Abbado inizia l’ascesa: nel ’63 vince il prestigioso ‘Premio Mitropoulos’ messo in palio dalla New York Philharmonic Orchestra e il suo nome inizia a girare tanto che Karajan lo chiama a dirigere i Filarmonici di Vienna nella complessa Seconda Sinfonia di Mahler al Festival di Salisburgo. Mahler diventerà uno dei compositori preferiti e magistralmente diretti da Abbado, che subito dopo l’esecuzione della Seconda a Salisburgo, dirige la stessa sinfonia alla Scala, stavolta alla guida della London Symphony, un’orchestra con la quale avvierà una stretta collaborazione. Ma l’impegno e la passione del giovane direttore d’orchestra milanese si rivolgono anche alla musica contemporanea, e Abbado nel ’65 dirige alla Piccola Scala l”Atomtod’ di Giacomo Manzoni. Ormai è una star e, nella stagione ’66-’67 del tempio della lirica milanese, dirige ‘I Capuleti e i Montecchi’ di Bellini, con Renata Scotto e Luciano Pavarotti. Capolavoro che porta in tourne’e a Montreal e a Edimburgo e che dirige, sempre nel ’67, al Teatro dell’Opera di Roma. Il 7 dicembre dello stesso anno dirige la sua prima apertura scaligera con ‘Lucia di Lammermoor’ di Donizetti, firma il contratto con la prestigiosa etichetta discografica Deutsche Grammophon, due anni dopo, è nominato direttore musicale della Scala. Per il Teatro milanese si apre la ‘stagione Abbado’, una delle più felici della sua storia. Accanto al soprintendente Paolo Grassi, che arriva nel ’72, Claudio Abbado attua una vera rivoluzione, ampliando enormemente il repertorio della Scala, con opere di Berg, Schoenberg e Stravinsky, ma anche con commissioni di nuove opere come ‘Samstag aus Licht’ di Stockhausen nel 1984, a 60 anni dall’ultima prima mondiale che era stata la ‘Turandot’ di Puccini. Non solo: Abbado impone anche un rinnovamento nell’approccio all’esecuzione, con la ricerca di partiture originali e una lettura piu’ ‘filologica’. E’ il caso di Rossini, le cui esecuzioni abbadiane restano un punto fermo nella storia della musica, come il ‘Barbiere di Siviglia’ con Teresa Berganza e Luigi Alva, con la regia di Jean-Pierre Ponnelle, andato in scena alla Scala nel ’69 e ripreso nel ’72 a Salisburgo, inciso per la Dg, che resta uno dei punti fermi dell’interpretazione di quell’opera. Quelli di Abbado alla Scala sono anche gli anni della maggiore internazionalizzazione dei cartelloni del Teatro, con l’arrivo sul podio dei più grandi direttori del mondo, da Georg Solti a Carlos Kleiber, da Herbert von Karajan a Karl Boehm, Leonard Bernstein, Riccardo Muti, e con l’ampliamento del repertorio sinfonico che porta il maestro milanese a fondare, nel 1982, l’Orchestra Filarmonica della Scala. Accanto all’intensa attività scaligera, prosegue quella internazionale di Abbado che nel 1971 diventa direttore principale dei Filarmonici di Vienna e l’anno dopo è nominato primo direttore ospite della London Symphony. Sono anni febbrili in cui collabora con registi del calibro di Ponnelle, Giorgio Strehler, Franco Zeffirelli, Ottyo Schenk, Luca Ronconi, con i maggiori cantanti dell’epoca, affidando ai dischi la testimonianza di gran parte della sua attività. Oltre al ‘Barbiere’, arrivano ‘Cenerentola’, il ‘Requiem’ di Verdi, ‘Macbeth’, ‘Un ballo in maschera’, ‘Carmen’, ‘Simon Boccanegra’ e molti altri titoli. Nel ’78 fonda l’Orchestra Giovanile Europea e allarga il suo repertorio spingendosi all’indietro fino a Johann Sebastian Bach. L’anno dopo, con il nuovo sovrintendente Carlo Maria Badini (Paolo Grassi ha lasciato la Scala nel ’77 per diventare presidente della Rai), attiva una collaborazione tra la Scala e l’Opera di Parigi, in occasione del festival dedicato ad Alban Berg, del quale dirige ‘Wozzeck’ e porta sul palcoscenico milanese la ‘Lulu’ nell’edizione integrale diretta da Pierre Boulez. Dopo la direzzione di ‘Pelléas et Mèlisande’ di Debussy e un ciclo di concerti dedicati al compositore francese, nel 1986 la collaborazione tra Abbado e la Scala finisce, spaccando in due la comunità musicale italiana divisa tra i sostenitori di Abbado e quelli che invece preferiscono il nuovo direttore musicale, Riccardo Muti. Il maestro milanese, che nel frattempo diventa direttore musicale della Staatsoper di Vienna e fonda la ‘Gustav Mahler Jugendorchester’, non dirigerà mai più l’orchestra scaligera. Vienna accoglie Abbado aprendogli tutte le porte – lo nomina generalmusikdirektor della città – e dandogli piena libertà d’iniziativa e di azione. Dirige il Concerto di Capodanno dell”88 e poi del ’91 e avvia una serie di esecuzioni e incisioni discografiche con i Wiener Philharmoniker, a partire dall’integrale dei concerti per pianoforte di Beethoven insieme con Maurizio Pollini. Ma la sorpresa arriva nel 1989, dopo la morte di Herbert von Karajan: i membri dei Berliner Philharmoniker lo eleggono direttore principale della prestigiosa orchestra, considerata la migliore del mondo. Abbado è il primo direttore non di lingua e cultura tedesca ad essere eletto direttamente dagli orchestrali, e assume sulle sue spalle l’ingombrante eredità di una delle più grandi bacchette di tutti i tempi, Karajan, che aveva guidato da vero padrone l’orchestra dal 1954, anno della morte del mitico Wilhelm Furtwaengler. Da culla della musica romantica e classica, con l’arrivo del direttore milanese, i Berliner diventano uno dei fulcri della vita culturale della nuova Germania unificata, e iniziano a commissionare nuove composizioni aprendosi alla musica contemporanea, già dalla prima stagione, incentrata sulla figura di Prometeo, spaziando da Beethoven a Nono. Gli anni berlinesi (1989-2002) costituiscono un periodo di intensa attività nella musica contemporanea, con prime mondiali come quella di ‘Stele’ di Gyorgy Kurtag, ma anche di collaborazioni con il teatro di Ferrara, il Festival di Aix-en-Provence, con la Fenice di Venezia e il Regio di Torino, dove nel ’97 dirige ‘Otello’ di Verdi con la regia di Ermanno Olmi. Sempre nel ’97 dirige i Berliner nel concerto inaugurale per la riapertura del Teatro Massimo di Palermo, città alla quale è legato per via della madre, e dove tornerà a dirigere altre volte. L’esperienza a Berlino si chiude nel 2002, anno in cui riceve la ‘Bundesverdienstkreutz mit Stern’, la più alta onorificenza tedesca, dalle mani del Presidente della Repubblica Federale, Johannes Rau. Sempre nel 2002, il 13 maggio, dirige l’ultimo concerto al Musikverein di Vienna che si conclude con 4mila fiori lanciati sul palco e 30 minuti di applausi. In quella sala avrebbe dovuto dirigere la sua Orchestra Mozart lo scorso 5 e 6 dicembre, con Pollini al pianoforte, ma le condizioni di salute glielo hanno impedito e al suo posto sul podio c’era Bernard Haitink. Gli anni del dopo-Berlino sono stati caratterizzati da una altrettanto intensa attività, che ha visto Abbado principalmente impegnato con la nuova Orchestra del Festival di Lucerna, composta principalmente dalla Mahler Chamber Orchestra (il nuovo nome della Gustav Mahler Jugendorchester), da alcune prime parti dei Filarmonici di Berlino e di Vienna e da solisti di fama internazionale come la clarinettista Sabine Mayer, Natalia Gutman e tanti altri. La kermesse di Lucerna diventa così una delle più prestigiose al mondo. Nel frattempo dal 2009 si trasferisce a Bologna, il cui Comune gli conferisce la cittadinanza onoraria, città dove nel 2004 aveva fondato la nascita dell’Orchestra Mozart di cui diviene direttore musicale e artistico. L’attività dell’Orchestra è stata sospesa il 10 gennaio scorso. Nel 2005 Abbado inizia a collaborare con l’Orquesta Simon Bolivar, che fa parte del famoso ‘sistema’ delle orchestre venezuelane portato avanti da 30 anni da José Antonio Abreu, che vede coinvolti 400mila giovani musicisti e da cui escono talenti come Gustavo Dudamel o Diego Matheuz, ormai vere star del podio anche grazie a Claudio Abbado e Simon Rattle. Nel corso della sua carriera, Abbado è insignito di numerose onorificenze e vari riconoscimenti. Oltre alla ‘Bundesverdiennstkreutz mit Stern’ ricevuta dal presidente tedesco, nel ’73 i Wiener Philharmoniker gli conferiscono l’Ehrenring e nel 1980 la Medaglia d’Oro Nicolai, la Mozart e la Mahler Medaille e l’Ehrenring della città di Vienna. In Italia nel 1984 riceve il titolo di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana, nel ’97 la medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte. Riceve inoltre diverse lauree ‘Honoris Causa’, dalle università di Ferrara, Cambridge, Aberdeen e della Basilicata.