Il re del Marocco, Mohammed VI, ha concesso la grazia alla giornalista Hajar Raissouni, condannata al carcere e ancora sotto processo per “aborto illegale”, secondo quanto ha annunciato il ministero della Giustizia di Rabat in una nota.
Si legge nel comunicato che “questa grazia reale fa parte della compassione e della misericordia riconosciute dal sovrano e della preoccupazione di preservare il futuro dei due fidanzati che progettarono di fondare una famiglia in conformità con i precetti religiosi e la legge, nonostante il fatto che un loro errore abbia portato a questa causa”, ha aggiunto la dichiarazione. Nello stesso contesto, il capo di Stato marocchino “ha ringraziato il fidanzato di Hajar Raissouni e il team medico perseguito in questa vicenda”.
La giornalista marocchina Raissouni e il fidanzato Rifaat al Amine sono stati condannati a fine settembre a un anno di prigione dal Tribunale di primo grado di Rabat per “aborto illegale” e “sesso non coniugale”. Il medico che ha eseguito l’aborto è stato condannato a due anni di carcere, non potrà esercitare le sue funzioni fino alla fine della pena detentiva ed è stato multato per 500 dirham (circa 50 euro). L’assistente del medico è stato condannato a otto mesi di carcere, ma con la sospensione condizionale della pena. L’anestesista, invece, è stato interdetto dall’esercizio della professione per un anno. Il decreto reale fanno sapere fonti locali “è stato motivato dalla dimensione umana di questa vicenda che ha colpito il monarca di Rabat”. L’opinione pubblica locale ha invece stigmatizzato nei giorni scorsi le critiche giunte dall’estero sostenendo che “il Marocco non è abituato a interferire nei fatti sociali che riguardano altri paesi”.
Il caso ha fatto riemergere in Marocco il problema della depenalizzazione dei reati legati alle libertà individuali. La donna ha denunciato che il suo arresto sarebbe un “atto politico” per i suoi articoli sul movimento di protesta contro la mancata realizzazione dei progetti di sviluppo nella regione di al Hoceima, nel nord del paese. Il pubblico ministero del tribunale di primo grado di Rabat, da parte sua, ha negato in una dichiarazione la natura politica di questo caso. L’arresto della giornalista “non ha nulla a che fare con la sua professione di giornalista, ma riguarda atti che costituiscono reati ai sensi del diritto penale, vale a dire la pratica dell’aborto, l’accettazione e la partecipazione a aborti da parte di terzi”.