Uomini e animali, sono tutti normalmente dotati di aggressività: si localizza nell’ipotalamo e il fatto che sia propria di ogni specie, ci fa comprendere che deve avere una qualche utilità.
L’aggressività infatti è ciò che ci fa andare avanti quando incontriamo ostacoli sul nostro cammino, è in pratica la parte di noi che risponde alle difficoltà e alle frustrazioni. E’ ciò che serve per abbatterle, per aggirarle, e a volte anche per comprenderle.
Ma seppur parte di ogni essere umano, l’aggressività può essere gestita in diversi modi, può essere espressa o inespressa, può essere incanalata o allo stato brado, può essere rivolta agli altri o a se stessi.
Utilità dell’aggressività
Facciamo degli esempi. Ci sono diversi modi per rispondere ad una frustrazione imminente: c’è chi decide di berci sopra, chi si dà tutte le colpe in modo così aggressivo da passare spesso a drastiche azioni, chi si “sfoga” sugli altri e chi decide di incanalare la sua aggressività per prendere atto del problema e trarne insegnamento.
Diversi modi per gestire la propria aggressività
Il modo in cui verrà gestita l’aggressività sarà determinato dalle esperienze (vissute, osservate e più o meno subite); da ciò che si è diventati nella società e dall’ambiente in cui ci si trova.
L’importanza di questi fattori esterni è stata verificata da alcune ricerche sulle scimmie: se veniva stimolata la zona dell’ipotalamo, quella che controlla l’aggressività, le scimmie reagivano in modi diversi. Quelle abituate a dominare sulle altre manifestavano aggressività violenta, mentre le scimmie abituate a subire si chiudevano in loro stesse rannicchiandosi in un angolo.
Ma ancora più determinante, soprattutto per l’uomo in quanto animale pensante, è il significato che si darà a ciò che viene appreso come rinforzo o punizione del comportamento aggressivo messo in atto, nonché l’apprendimento che si riceverà dall’osservazione del comportamento altrui.
E’ stato infatti studiato che l’apprendimento aggressivo viene appreso sia dalla sperimentazione personale che dall’osservazione del comportamento altrui e delle conseguenze che questo provoca; è inoltre stato dimostrato che vi è differenza tra l’osservare dal vivo, in… diretta, e in differita.
Aggressività come condizionamento operante
Il comportamento aggressivo può essere quindi appreso in modo operante: se attraverso comportamenti aggressivi la persona ottiene dei rinforzi graditi, imparerà a mettere in atto comportamenti aggressivi, mentre se otterrà punizioni i comportamenti aggressivi verranno pian piano abbandonati.
Un bambino che proverà a fare il prepotente con un altro bambino, se da questi riceverà sottomissione (rinforzo positivo) continuerà a comportarsi da prepotente; se invece otterrà a sua volta aggressività non continuerà a comportarsi male.
Ma in questo modo si può creare una situazione complessa e paradossale: sarà il bambino che all’inizio subiva il sopruso a ricevere un rinforzo positivo dalla sua reazione aggressiva, e quindi potrà essere lui adesso a diventare il prepotente.
Sicuramente in questi casi è il rinforzo neutro, la noncuranza, a ottenere l’effetto migliore, ovvero l’immediata estinzione del comportamento aggressivo da parte di entrambi i bambini.
Aggressività appresa dall’osservazione
Vediamo invece cosa produce l’osservazione. Anche i rinforzi osservati hanno il potere di indurre il comportamento aggressivo. Quindi, per assurdo, mentre subiamo un comportamento aggressivo una parte di noi osserva il rinforzo ottenuto dal nostro aggressore e impariamo, subendo, il piacere dell’aggredire.
Naturalmente l’osservazione è efficace anche nell’imitazione di modelli, soprattutto se desiderabili, anche lì dove non si veda una ricompensa correlata all’atteggiamento aggressivo. Per esempio un bambino che osserva un adulto mettere in atto comportamenti violenti, li apprenderà come una cosa da fare, una di quelle cose che fanno gli adulti.
Pensiamo a quei bambini figli di genitori violenti: apprenderanno a mettere in atto gli stessi comportamenti perché osservati in figure vissute come mete d’arrivo e oltretutto noteranno il rinforzo ottenuto dalla loro stessa sottomissione.
Purtroppo anche la televisione funge da modello. Del resto la televisione è sempre percepita come fornitrice di modelli, più o meno desiderabili; ma la differenza che vi è tra osservazione dal vivo e osservazione in differita è che l’osservazione diretta induce a comportamenti pedissequi (se osservo qualcuno gridare, griderò), mentre l’osservazione in differita induce a comportamenti carichi della stessa emotività, ma non per questo uguali. Se osserva qualcuno uccidere si potranno avere vari comportamenti aggressivi, ma non per forza si ucciderà qualcuno.
Per fare altri esempi che abbiano i bambini come protagonisti: un bambino che osserva un adulto maltrattare gli animali e farà la stessa cosa; un bambino che osserva in televisione un adulto maltrattare gli animali apprenderà l’aggressività ma la sperimenterà in diversi modi, ad esempio si rivolgerà in modo verbalmente violento alla madre.
E a questo proposito bisogna riflettere su un dato preoccupante risultato da alcuni studi fatti sull’osservazione dell’aggressività nei bambini: ciò che maggiormente provoca comportamenti aggressivi sono i cartoni animati.
Non è solo il modello desiderato a fungere da esempio: osservare induce comunque apprendimento. Osservare persone avere comportamenti scorretti in macchina induce a comportarsi male. In particolare si ritiene che ciò sia dovuto alla funzione dei nostri “neuroni specchio” (studi eseguiti con la risonanza magnetica hanno dimostrato che i medesimi neuroni attivati dall’esecutore durante l’azione, vengono attivati anche nell’osservatore della medesima azione). Ovviamente è possibile insegnare tramite l’esempio anche atteggiamenti positivi quali la dolcezza e l’affettuosità.
L’aggressività è provvista di effetto catartico?
Comunque la si manifesti e la si provochi, l’aggressività come si diceva all’inizio ha una base comune a tutti, ovvero la sua presenza in un’area del cervello, l’ipotalamo.
Ciò nonostante, non la si può paragonare a una pulsione come la fame, la sete e il bisogno di sesso; l’aggressività più che altro è paragonabile ad un’attivazione emotiva, e in quanto tale sprovvista di un reale effetto catartico.
L’effetto catartico vero e proprio si ha infatti quando si soddisfa un bisogno primario, mentre per le emozioni quali la tristezza o l’aggressività l’effetto catartico è una conseguenza degli eventi.
Per esempio l’effetto catartico che si ha nello sfogare la propria tristezza è sentirsi compresi da qualcuno sentendoci meno soli, nonché riuscire a ottenere punti di vista diversi dal proprio avendo così la possibilità di ridefinire la situazione deprimente.
Allo stesso modo vi può essere un indiretto effetto catartico dell’aggressività, ma non quando la si sfoga in modo casuale. Anzi, questo modo di sfogare l’aggressività può solo provocare altra aggressività, sia per i rinforzi esterni sia per l’esempio che offre.
L’aggressività gode invece di sfogo catartico là dove sia direzionata e incanalata. Per usare un termine tipico delle arti marziali: laddove sia tinta di assertività.
Infatti se usata come occasione di crescita personale l’aggressività può essere un modo per ridefinire se stessi e ridurre le frustrazioni. Essendo l’aggressività creata dalle frustrazioni, una volta ridotte queste, si diventa meno aggressivi.
Per rimanere in tema di bambini, un tipico esempio può essere quello del piccolo bulletto della scuola, tale per dimostrare qualcosa agli altri non sentendosi sicuro di se stesso. Spesso si consiglia ai genitori di iscrivere il figlio problematico ad arti marziali. Il bambino accetta credendo di poter dimostrare così ancora meglio la sua forza apparente. Poi però scopre di possedere realmente una forza dinamica interiore e quindi si sente meno frustrato tanto che il comportamento da bulletto scompare.
L’aggressività può quindi servire a sconfiggere la nostre frustrazioni ma se utilizzata male ne diviene la principale fonte. Canalizzata correttamente ne blocca il ritorno.