Dal 14 giugno il teatro Valle di Roma è occupato da maestranze, giovani universitari, attori, registi. Cittadini. (Il diario dell’occupazione, dell’organizzazione e delle attività è nel sito del Valle Occupato, con i video di interventi e degli spettacoli).
“Chi pagherà i danni alle persone e alle cose?”. Ha tuonato l’onorevole Gabriella Carlucci, ex soubrette televisiva, parlamentare Pdl e anche presidente del comitato bicamerale per l’infanzia.
E chi pagherà i danni del berlusconismo alla nazione? Basteranno venti o trent’anni? E se qualcuno prenderà il testimone del potere, o meglio di questa matassa inestricabile in cui ogni schieramento politico è imbrigliato all’altro, sarà in grado di capire che la cultura in Italia è un’urgenza, e che la rinascita del paese come la sua fine possono venire solo da lì? E se sarà in grado di capirlo, avrà i mezzi e la forza di tracciare una nuova strada?
Non si colgono segnali rilevanti in questo senso, se non quelli provenienti dalla società civile.
La destinazione e la nuova vocazione del teatro Valle è dunque l’oggetto della protesta che riporta centralità al dibattito sull’investimento culturale nazionale, in tempi in cui si aspira a privatizzare la Rai, a esautorarla definitivamente dal suo ruolo di servizio pubblico, come soluzione all’ingerenza della politica. E come se il privato acquirente non sarà poi di nuovo nelle mani della politica.
Il dibattito, in epoche populiste e presidenti bling- bling (così viene chiamato Sarkozy), è aperto anche in Francia che investe il 2, 8 % del pil in cultura (la cifra comprende anche la televisione pubblica) e il 20 % in educazione. Ed è esattamente l’investimento culturale del paese uno dei punti forti della campagna di Martine Aubry per le primarie del PS, per decidere i futuri candidati alle presidenziali.
In Italia, nell’ultimo anno, almeno tre episodi vanno nella stessa direzione sfociata poi nell’occupazione del teatro Valle: la grande manifestazione al cinema Adriano contro i tagli al Fus (fondo per lo spettacolo) del novembre 2010; il Nabucco, trasmesso dalla Rai in occasione dei 150 anni, in cui il maestro Muti ha diretto il pubblico unito al coro di “ Va’ pensiero” mentre dai palchi lanciavano volantini contro i tagli alla cultura; l’occupazione del cinema Palazzo ennesimo spazio pubblico che si vuole trasformare in casinò.
La cultura per sopravvivere ha bisogno di denaro, e ne deve incassare a sua volta. Considerato l’appiattimento sulla sottocultura televisiva berlusconiana il compito non è facile. La sperimentazione ha bisogno di investimento a perdere. I beni culturali hanno bisogno di denaro per la tutela. La strada dell’ attuale situazione italiana è lastricata dai danni di gestioni clientelari precedenti. Da cordate di intellettuali riuniti attorno al potere. Da potentati televisivi estesi nei teatri pubblici. Da soldi sperperati dall’assessore improvvisato direttore artistico. Da un’ apertura minima alla sperimentazione, avendo sempre come riferimento la comunicazione mediatica omologata.
Pertanto, se la politica attuale si esaurisce nell’occupazione di spazi televisivi per ripetere due o tre messaggi all’infinito, è anche ovvio che alla prima finanziaria si siano tagliati con disinvoltura enti come l’Eti ( Ente Teatrale Italiano, e quindi gestione di una serie di teatri in circuito, tra cui il Valle), elefantiaco e dispendioso nella sostanza, anche se funzionante.
In questo senso uno dei più grandi manifesti alla scientifica distruzione dell’identità culturale del paese è stato l’intervento di Brunetta a Venezia il 12 settembre 2009 che gridava in una sorta di orgasmo dell’impotente: “a lavorare!” a tutti coloro che producono arte e accendo luci sulle coscienze: “Registi che hanno ricevuto 30/40 milioni di euro di finanziamenti incassando in tutta la loro vita 3-4 mila euro. Questi stessi autori nobili, con l’aria sofferente, ti spiegano che questa Italia fa schifo…Solo che loro non hanno mai lavorato per avere un’Italia migliore”. La platea era in visibilio mentre il ministro declamava il suo disprezzo e le sue punizioni future: “ Bravo Bondi… che gira la chiave, e la gira, la gira..”
Il centro destra ha goduto di un immenso apparato di potere nell’industria culturale per dare vita a un solo unico discorso pornografico e imporlo ovunque. Invasione di corpi-supporto di messaggi osceni e politici al contempo. Pensieri complessi azzerati a poche parole. Disprezzo per i giovani e per le donne. Cioè la parte di paese che più sta reagendo, come hanno mostrato i risultati delle ultimi elezioni.
Gli occupanti del Valle, che ha aperto i battenti a Roma nel 1727, gestiscono l’allestimento di spettacoli ogni sera, la mattina ore di lezioni di teatro ai curiosi e a chi vuole apprendere offerte da artigiani e professionisti di primissimo piano. Si riparte dalle corde che legano le quinte e tengono insieme i meccanismi del gioco delle illusioni. Smontati e rimontati di nuovo: è importante sapere come si formano le illusioni.
E’ dunque in scena un processo di risimbolizzazione della società, di riappropriazione delle basi e delle parole della democrazia intendendo per questa, in particolare, la ricomposizione della cittadinanza, la partecipazione civile alla costruzione del bene comune, la trasmissione e l’accesso al sapere.
Soprattutto, la riabilitazione della percezione del “reale” e della “finzione” che deve prevalere sulla pornografia del reality. Per questa ragione, si tratta di uno degli episodi più intimamente politici degli ultimi dieci anni. Eccezionale laboratorio per il passaggio dal berlusconismo alla democrazia.
Il tratto più significativo è proprio la creazione di un nuovo spettatore. In un’epoca in cui il cittadino coincide con lo spettatore di un lungo e interminabile spot pubblicitario, si può scegliere di fare due cose: restituirgli una coscienza, o insistere sull’appiattimento.
Dagli anni ’80, dal dilagare della tv commerciale, che era parsa salvifica per il potenziale di novità e di svecchiamento della televisione pubblica, l’immaginario e la cultura del paese sono stati livellati allo spettacolo della vendita. E’ vero che la tv pubblica era soffocata da un pensiero conservatore e moralista, ma la tv commerciale ha saputo far convivere moralismo e perversione fino alla creazione di un tipo antropologico. Come osserva il filosofo Dany Robert Dufour: “il moralista perverso” è l’uomo contemporaneo frutto di questo disastro culturale.
La televisione commerciale deve garantire lo spettatore alle industrie che investono in pubblicità. E la vendita del “cervello disponibile dello spettatore ” – o meglio, della sua coscienza – alla pubblicità avviene portando al grado zero linguaggio e contenuti affinché il messaggio sia compreso dal maggior numero di persone, e poi rivolgendosi alle pulsioni, smontando progressivamente tutti i tabù dell’essere umano, dalla nascita alla morte, dalla vita privata, al sesso, all’accoppiamento compulsivo, col solo fine di consentire al messaggio pubblicitario di arrivare dritto al consumatore. Che peraltro non consuma più.
Così l’esistenza è passata dall’arte alla pubblicità e questa, tramite il reality ha finito per coincidere con la vita degli individui.
L’importanza della coscienza libera che si forma nella sua rappresentazione è uno dei nuclei della trilogia del teatro nel teatro di Pirandello, iniziata proprio al Valle. E’ con i Sei Personaggi che si sono capovolte le fondamenta del teatro borghese, facendo irrompere e poi coincidere la vita nel teatro.
Sul piano simbolico non è dunque né indifferente né casuale che si tenti di ristabilire lo spazio teatrale come spazio della coscienza e quindi della cittadinanza, esattamente nel luogo dove è avvenuta, con Pirandello, la rivoluzione epocale che ha messo in discussione il conformismo del teatro borghese.
Oggi, nello stesso spazio è in scena la democrazia contro la televisione.