La sera del 21 luglio 2001 la polizia fa irruzione nella scuola Diaz di Genova. Sono i giorni violenti del G8, della morte di Carlo Giuliani. 93 manifestanti vengono arrestati con l’accusa di detenzioni di armi (in luogo chiuso) e resistenza alla polizia. 62 di loro vengono ricoverati per le lesioni causate dagli agenti di polizia. Saranno poi tutti prosciolti. Christian Mirra era lì quella sera e per non dimenticare ha pubblicato un racconto a fumetti.

Christian, all’epoca avevi 24 anni e stavi a Benevento, perché hai deciso di andare a Genova?

Ero rientrato da Barcellona per dare un esame all’università di Napoli. Poi avevo in programma un viaggio con degli amici, e decidemmo di fare tappa a Genova per partecipare alla manifestazione, anche perché da Napoli partivano dei treni gratuiti per i manifestanti.

Tu parti la sera del 20 luglio, poche ore dopo l’uccisione di Carlo Giuliani. Non eri preoccupato per quel clima già così violento?

Sì eravamo preoccupati, ma pensavo che stando bene attenti a restare lontani dalla prima linea, quella dove era probabile che scoppiassero tafferugli, non avremmo corso rischi. Così, quando arrivammo a Genova prendemmo parte alla manifestazione restando in coda. Poi però iniziarono le cariche della polizia anche verso la coda del corteo e in un paio di occasioni siamo stati costretti ad allontanarci.

Come mai eri alla Diaz quella sera? Che clima c’era?

Nella scuola c’era il centro di comunicazione del Social Forum e io cercavo un luogo dove funzionasse internet per leggere le email e tenermi in contatto con David, un altro amico che veniva da Barcellona per unirsi a noi e proseguire verso l’Olanda. Inoltre, l’ambiente mi piaceva: tantissimi ragazzi provenienti da mezza Europa, tutti con grande voglia di socializzare. E’ stato così che ci siamo detti: passiamo qui la notte. Abbiamo lasciato gli zaini, siamo andati a mangiare una pizza e poi siamo rientrati. Nella palestra c’erano decine e decine di sacchi a pelo sistemati per la notte.

Poi cos’è successo?

Era quasi mezzanotte e noi eravamo da poco nei sacchi a pelo quando abbiamo sentito un gran trambusto e ragazzi urlare. Abbiamo cercato di fuggire, ma l’entrata era bloccata dai poliziotti che stavano cercando di sfondarla. Ci ha preso il panico e ci siamo dati alla fuga su per le scale, e lì Emiliano, l’amico che era con me, è riuscito a scappare da una finestra che dava su un’impalcatura. Io però sono rimasto bloccato, lo zaino mi si é impigliato nella finestra, e la polizia mi ha preso. Erano vari poliziotti, in divisa antisommossa e con il volto coperto da un panno. E subito mazzate. Non mi hanno mai chiesto i documenti, né fatto alcuna domanda: direttamente manganellate, calci e pugni e insulti. Non accennavano a smettere, era chiaro che si stavano divertendo. Una vera e propria furia che, dopo non so quanto tempo, si è placata: i poliziotti sono andati al piano di sopra lasciandomi lì sulle scale con un altro ragazzo piangente. Pensavo che il peggio fosse passato e invece non era così. Sono arrivati altri poliziotti e hanno ricominciato. Tra gli insulti, mi hanno spaccato gli occhiali, pestato con i manganelli, e uno di loro mi ha persino tagliato una ciocca di capelli “per ricordo”. Ho tentato invano di proteggermi con le braccia.

Chi ti ha portato all’ospedale? Cosa ti hanno diagnosticato i medici?

Ho otto gradi di miopia e senza occhiali non vedevo più nulla. Ricordo i pantaloni arancioni di un uomo, credo fosse un infermiere, che gridava ai poliziotti di smetterla. I poliziotti hanno smesso e l’infermiere mi ha sollevato e sostenuto accompagnandomi verso la palestra della scuola. C’erano persone stese a terra ovunque tra gemiti e pianti. Anche io ho cominciato a piangere, mi faceva male dappertutto e volevo un medico. Chiedevo aiuto. Ma ho sentito che dovevano prima soccorrere gli epilettici e chi aveva riportato delle fratture. Non so quanto tempo ho dovuto aspettare. Alla fine mi hanno messo su una lettiga per trasportarmi in ospedale, ma prima di uscire, un poliziotto mi ha perquisito stringendomi le palle e chiedendomi se “così mi piace”.
I medici mi hanno diagnosticato: trauma cranico, lesione ai polsi, alle ginocchia, tagli vicino all’occhio destro e traumi da percosse anche alla schiena.

Eri piantonato, perché?

Stavano cercando di dipingerci come dei criminali, così avrebbero giustificato la violenza accaduta. Ufficialmente, si era trattato di una “semplice perquisizione”. Quando mi sono ripreso in ospedale, ho scoperto di essere in stato di fermo, guardato a vista da un poliziotto che mi disse che era stato accoltellato un suo collega dai black bloc e che eravamo responsabili di aver distrutto Genova. Ho chiesto di contattare un avvocato e lui, ridendo, mi ha detto: “Hai visto troppi film, non puoi parlare con nessuno”. A quel punto sono andato in paranoia. Mi sono reso conto che non importava che non avessi fatto nulla: eravamo capri espiatori, avrebbero detto che eravamo noi i black bloc! Capii che sarei finito in galera.

È bastato un attimo perché la tua vita cambiasse, hai avuto l’impressione di finire in un incubo kafkiano?

Sì. Da un giorno all’altro i miei diritti non contavano più nulla. L’unica compagnia che mi era consentita erano i miei carcerieri. Mi trattavano con odio, come un pericoloso criminale. Durante la prima notte qualcuno mi accendeva e spegneva la luce in continuazione per non farmi dormire, e lo sentivo ridere. Mi sembrava di impazzire. Il giorno dopo un dirigente della Digos di Benevento è venuto nella stanza dell’ospedale e mi ha detto: “Abbiamo un’ampia documentazione fotografica. Se nessuna immagine ti ritrae a scagliare pietre o rompere vetrine, te la caverai”.

Poi ti spostano in una camerata con altri ragazzi feriti…

Si, il secondo giorno in ospedale andò un po’ meglio, soprattutto perché venne a piantonarmi un poliziotto che era una persona come si deve. All’inizio pensava anche lui che io fossi un criminale, ma mi trattava comunque con rispetto. E poi, quando abbiamo parlato un po’, secondo me ha capito che non sono il tipo da spaccare vetrine o quant’altro. É stato il primo contatto umano che ho avuto dopo le mazzate. Prima di finire il suo turno mi ha fatto cambiare stanza, così non restavo più da solo con la mia guardia. Nell’altra stanza c’erano altri ragazzi feriti alla Diaz, ma la situazione non cambiava granché in meglio. C’erano altri poliziotti che ci prendevano in giro e noi per la maggior parte del tempo siamo stati zitti. Avevamo paura.

È vero che quando tua mamma ti ha visto nel corridoio dell’ospedale non ti ha riconosciuto?

Sì. Il mio amico che era scappato aveva avvisato i miei e loro erano corsi a Genova. Ufficialmente non potevo avere visite, ma il poliziotto gentile mi ha permesso di vedere i miei in corridoio mentre mi accompagnava in bagno. Loro non potevano avvicinarsi, e quando ho chiamato mia madre lei ha incominciato a dire: “Ma quello non è mio figlio!” Ero così conciato che non mi aveva riconosciuto.

Com’è stata la convalescenza?

Lenta e lunga. Ho temuto di perdere l’uso del polso destro, ma a detta dei dottori ho avuto fortuna: avevo dei tagli piuttosto profondi a pochi centimetri da un occhio.

Hai avuto paura?

Sì, soprattutto quando mi sono saltati addosso. A lungo ho avuto anche incubi.

Nel maggio del 2003 tu e gli altri ragazzi che stavano nella Diaz siete stati prosciolti. Cos’hai provato?

Sollievo è dire poco! Volevano darci da 8 a 16 anni per “associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio”, e avevano cercato di incastrarci con prove false: due molotov che la stessa polizia aveva messo nella scuola. Però sono stati presi con le mani nella marmellata: c’erano riprese che mostravano i dirigenti della polizia davanti alla scuola proprio mentre portavano le molotov. Devo ringraziare questo colpo di fortuna e lo straordinario lavoro dei pm e degli avvocati del legal forum di Genova se non sono finito dentro.

Com’è nata l’idea di raccontare questa vicenda con le vignette?

Io credo molto nel potenziale comunicativo dei fumetti, e ho deciso di realizzarne uno su quello che mi è successo perché questa brutta storia non venga dimenticata, e anche per denunciare quello che è successo dopo. I poliziotti che ci hanno pestato hanno fatto tutti carriera! I dirigenti ripresi con le molotov in mano, quelli che hanno deciso, organizzato e gestito il massacro nella scuola, in questo momento occupano posizioni di grandissimo rilievo ai vertici della Polizia e dei servizi segreti. Neppure le condanne in primo e secondo grado hanno fermato le loro carriere: oggi De Gennaro coordina i servizi segreti, Canterini lavora con l’Interpol… l’ultima promozione in ordine di tempo è stata quella di Spartaco Mortola, condannato in appello a quasi 5 anni e all’interdizione dai pubblici uffici, e poi promosso questore. E come sempre, quando in Italia si difende un potente, si dice: “bisogna aspettare il terzo grado di giudizio”… Vedi un po’ tu come sono garantisti questi qua, gli stessi che volevano darci 16 anni solo per aver partecipato ad una manifestazione.

Sono trascorsi dieci anni, il tempo ha mitigato la sofferenza?

Sì, per fortuna, ho recuperato bene. Non ho piú incubi, anche se sono ancora un po’ teso quando partecipo a una manifestazione.

Sei rimasto in contatto con qualcuno dei ragazzi conosciuti alla Diaz?

Si, ho avuto il modo di conoscere alcune delle altre vittime negli eventi organizzati per mantenere viva la memoria. Almeno quelli che sono voluti venire: altri non hanno la minima intenzione di rimettere piede in Italia.

Qual è il tuo stato d’animo oggi?

Sono amareggiato, perché in questi anni non si è fatto nulla per evitare che ció che è accaduto a Genova si ripeta. I colpevoli, come dicevo, sono stati promossi, non si parla di introdurre il reato di tortura e nessun politico ha condannato apertamente l’azione dei poliziotti a Genova. E oggi vediamo ancora usare la scusa dei black bloc per pestare i manifestanti in Val di Susa. Per molti aspetti, mi sembra che l’Italia abbia toccato il fondo, e poi si sia messa a scavare per vedere quant’è profondo il baratro in cui prima o poi cadrà.

Che segno ti è rimasto?

Provo dei brividi quando vedo i poliziotti in tenuta antisommossa. E mi incazzo quando vedo i media criminalizzare i movimenti definendoli black bloc.

Sei più tornato a manifestare in strada?

Si, qualche volta… contro la guerra in Iraq, con gli Indignados a Barcellona… però sinceramente, poco.

Dei 29 imputati delle forze dell’ordine, in primo grado (novembre 2008) 13 sono stati condannati e 16 assolti. Il Tribunale di Genova ha inflitto pene per complessivi 35 anni e sette mesi di cui 32 anni e sei mesi condonati. L’accusa aveva chiesto condanne per un totale di 108 anni

La sentenza di secondo grado (maggio 2010, leggibile integralmente in allegato) emessa dai giudici della Terza sezione della Corte d’Appello del capoluogo ligure, riconosce invece la responsabilità dell’intera catena di comando. I vertici della polizia, assolti in precedenza, ricevono condanne comprese tra i 3 anni e 8 mesi e i 4 anni assieme all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Nel complesso le pene superano gli 85 anni e vengono condannati 25 imputati sui 27. Il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri viene condannato a 4 anni, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a 5 anni, l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi (passato poi all’Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna) a 4 anni, l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (nominato da poche settimane questore) a 3 anni e 8 mesi per per aver coperto i pestaggi alla Diaz e a 1 anno e 2 mesi per induzione alla falsa testimonianza, l’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi a 3 anni e 8 mesi, l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro a 1 e 4 mesi.

Altri due dirigenti della Polizia, Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, sono condannati a 3 anni e 9 mesi. Non vengono dichiarati prescritti i falsi ideologici e alcuni episodi di lesioni gravi. Sono invece stati dichiarati prescritti i reati di lesioni lievi, calunnie e arresti illegali. Per i 13 poliziotti condannati in primo grado le pene sono inasprite.
Contro la sentenza d’appello hanno fatto ricorso per Cassazione il prefetto Gianni De Gennaro e l’ex capo della Digos di Genova, Spartaco Mortola, prosciolti per insufficienza di prove in primo grado e condannati in appello per aver istigato alla falsa testimonianza l’ex questore di Genova, Francesco Colucci, durante il processo per l’irruzione della polizia nella Diaz. Qualora la Cassazione confermasse la sentenza d’appello per il neoquestore Mortola scatterebbe l’interdizione dai pubblici uffici.

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