Continua il nostro excursus tra gli avvocati, stavolta analizziamo i dati della Cassa forense che dicono che la professione si sta impoverendo ogni giorno di più. Le donne poi guadagnano mediamente la metà degli uomini.
È ancora in corso di invio il modello 5, a settembre la Cassa divulgherà i dati definitivi ma le prime stime dicono che i redditi degli avvocati non saranno buoni. Intanto, secondo i primi dati divulgati dal presidente uscente della Cassa Forense, Marco Ubertini, di 216.728 avvocati iscritti agli albi (dati aggiornati al 31 dicembre 2010), solo 156.934 risultano iscritti alla Cassa: il che significa che 59.794 sono “sconosciuti” e di questi circa 55.000 secondo il presidente Ubertini lo sono per mancanza del requisito del reddito minimo per l’iscrizione obbligatoria che nel 2009 era di 9.000 euro di reddito e 13.500 di ricavi.
Dei 156.934 iscritti, comunque, ben 38.087 hanno dichiarato un reddito pari a zero o comunque inferiore a 9.000 euro. Facendo la somma matematica tra i 55 mila desaparecidos e questi 38 mila iscritti, si deduce che più di 90 mila avvocati in Italia dichiarano di vivere con circa 750 euro al mese, praticamente sotto la soglia della povertà.
E qui le cose sono due: o c’è un’enorme evasione fiscale (e a volte può essere) oppure sono molte le storie di avvocati-proletari come quelle che Golem ha raccolto.
I numeri forniti dall’Istat fanno propendere per la seconda ipotesi: l’Italia cresce meno del resto d’Europa e gli avvocati non fanno eccezione. Negli ultimi dieci anni la professione si è tendenzialmente impoverita: i 49.800 euro dichiarati mediamente dagli avvocati italiani è infatti la cifra più bassa di questi ultimi anni.
Nel 1985, a fronte dei 48.327 iscritti agli albi, 37.495 erano iscritti alla cassa, e tra i circa 10.000 non registrati erano compresi «coloro che svolgono la professione a tempo limitato, insegnanti, quelli che mantengono l’iscrizione per motivi di prestigio o convenienza sociale». Non è pensabile che oggi siano quasi 60 mila gli avvocati che vogliono mantenere lo status di avvocato solo per prestigio.
Andando poi ad analizzare gli iscritti, emerge che le donne guadagnano sempre mediamente il 50 % dei colleghi maschi (vedi tabella allegata) in qualsiasi fascia d’età. Mentre nel 1985 la percentuale delle iscritte era del 9,2%, oggi è del 42% ma continuano ad essere sottopagate.
Un divario che purtroppo cresce con l’aumentare degli anni. Se infatti prima dei trent’anni la differenza tra uomo e donna è di poco meno di quattro mila euro (su importi molto bassi ovviamente), intorno ai 40 anni una donna arriva mediamente a guadagnare trentamila euro l’anno, mentre il collega uomo si attesta attorno ai 60 mila: la metà esatta del reddito.
Secondo Ubertini, ci sono domande che aleggiano dal lontano 1986, fatte a Bologna durante la Conferenza nazionale della Giustizia: gli iscritti erano 48 mila e i desaparecidos 10 mila: è il caso di programmare una limitazione del numero degli iscritti all’albo? Il numero degli avvocati incide sulla funzionalità della giustizia?
Dal 1986 ad oggi, ha affermato Ubertini, quelle domande restano ancora in piedi e di Conferenze sulla Giustizia non se ne sono più fatte.
In compenso, di riforma della professione forense se ne parla da dieci anni, in Parlamento c’è un testo pressoché fermo e la professione non solo si sta impoverendo ma sta perdendo prestigio e credibilità.
Nel frattempo le uniche riforme che escono sono provvedimenti fortemente contestati come la mediaconciliazione che hanno spinto la categoria a mobilitazioni e scioperi.