Proseguiamo il dibattito sulle fonti energetiche e sul nucleare pubblicando il secondo intervento dell’ingegnere Nino Calia
Se consideriamo gli impianti nucleari costruiti molti anni fa, essi hanno ormai ammortizzato le eventuali perdite iniziali e forse anche il capitale ed oggi beneficiano di un costo di produzione basso visto che quello che è rimasto è il costo del combustibile e i normali costi di esercizio, cioè la parte meno onerosa del costo.
Oggi, la Francia è ben lieta, dal punto di vista economico, di aver costruito tanti impianti nucleari i cui costi di produzione, con capitali ormai ammortizzati sono ben più bassi di quelli degli impianti termoelettrici.
Analoga situazione vale per gli impianti da costruire oggi, che, anche se dovessero essere in perdita nei primi anni, recupereranno abbondantemente in seguito, quando il costo dei combustibili fossili sarà ulteriormente aumentato (aumenterà anche il costo del combustibile nucleare, ma esso incide solo per una parte più piccola del costo di produzione di energia elettrica da questi impianti). Quindi dire oggi che l’energia nucleare prodotta dai nuovi impianti nucleari non è competitiva, non è una risposta giusta per impianti che rimangono in esercizio per 30/40 anni, con le aspettativa di grande inflazione dei combustibili fossili. D’altronde, se ci sono delle aziende disposte ad investire su questa forma di produzione, avranno ben fatto i loro conti! E, comunque, non dovrebbe essere un nostro problema, ma loro.
Il costo
Ma guardiamo, in particolare, alla situazione italiana! Mi risulta che il costo dell’energia elettrica prodotta con combustibili fossili è dovuto per una percentuale molto alta, diciamo l’80%, al costo del combustibile. Il contrario è vero per l’energia nucleare.
Se ipotizziamo, quindi, che l’80% dei costi di un impianto nucleare é il costo del capitale investito ed i costi di esercizio, essi sono costi domestici, mentre solo il costo del combustibile, cioè il 20%, sarebbe un costo importato: infatti, il costo di costruzione è, in prevalenza, costo di ditte e maestranze italiane (e altrettanto sarebbe per la tecnologia, se non l’avessimo abbandonata diversi anni fa) e italiani sono i costi di esercizio. In un paese con insufficiente capacità di assorbire tutta la sua manodopera e specialmente quella altamente specializzata necessaria per costruire e poi operare un impianto nucleare, è un costo paese molto, ma molto basso. Col nucleare, quindi, si sostituisce una parte del costo di importazione del combustibile con lavoro italiano. Ma non solo. perché l’Italia è avviata ad una ripresa molto lenta ed avrà grandi difficoltà ad assorbire la disoccupazione esistente: delle grandi opere quali la costruzione di impianti nucleari (con capitali quasi totalmente di provenienza non statale) avrebbero un benefico effetto sull’occupazione e sull’economia del paese, a costo addirittura negativo per lo Stato in quanto ridurrebbe i costi sociali della disoccupazione e genererebbe reddito fiscale, con beneficio, quindi, anche per noi contribuenti. Questo a differenza del fotovoltaico o di grandi opere infrastrutturali con analogo effetto benefico sull’occupazione e sull’economia, ma privi di un ritorno economico e che sono a carico del nostro Stato e quindi, in ultima analisi, a nostre spese: Stato che, tra l’altro, oggi ha notevoli difficoltà a fare dei grossi investimenti visto l’elevato carico fiscale e l’imponente debito pubblico.
Quindi, il costo delle centrali nucleari è qualcosa che dovrebbe preoccupare gli investitori e non noi cittadini, mentre dovrebbe attirarci immensamente il loro effetto sull’economia e sulle possibilità di occupazione, non necessariamente nelle centrali stesse, ma nel contesto di un’economia più florida e che crea più occupazione. Meraviglia, quindi, che tutti i sindacati italiani non procedano ad opportuni approfondimenti dei rischi, visto che, in linea di principio, dovrebbero essere i maggiori sostenitori del nucleare!
La dipendenza dalle importazioni
Tutto questo senza considerare gli effetti molto positivi di ridurre enormemente la nostra dipendenza dalle importazioni: oggi, se avessimo la percentuale di energia nucleare che ha la Francia, avremmo una bilancia dei pagamenti molto più florida e non esporteremmo, a compensazione, la nostra ricchezza ai ritmi attuali(*). Godremmo, inoltre, di una positiva diversificazione delle fonti energetiche sia per tipologia di materia prima, ma soprattutto per ubicazione delle fonti (il minerale di uranio, in buona parte, non proviene da paesi instabili e/o non democratici) e di una maggiore stabilità dei costi dell’energia elettrica, visto che i costi dell’energia nucleare sono principalmente costi fissi, quindi non soggetti a cambiare col mercato e visto che è possibile dotarsi di scorte di combustibile nucleare per periodi molto lunghi (non è facile con petrolio e carbone ed ancor più difficile col gas).
I problemi del nucleare
A questo punto, rimangono due grossi problemi: la sicurezza degli impianti e lo stoccaggio delle scorie.
Quello che è successo a Chernobil penso si possa dire con grande franchezza che non dovrebbe accadere nei moderni impianti nucleari (anche perché, a quel che ho letto, l’incidente di Chernobil è stato un incidente provocato dalla eliminazione di alcuni dispositivi di sicurezza, cosa che, visto i problemi che ha causato, è oggi praticamente impossibile). Altrettanto non si può dire di incidenti che dipendono da imprevedibili cataclismi naturali, come è accaduto in Giappone. Lì il il problema non è stato l’impianto ma la conseguenza di un cataclisma naturale di dimensioni enormi, che, tra l’altro, condurrà certamente ad un miglioramento dei criteri di sicurezza da applicare in fase di progettazione e, soprattutto, di ubicazione degli impianti.
Ciò mi spinge a credere che i nuovi impianti saranno più capaci di fare fronte anche a quel tipo di eventi. D’altronde, se un tale evento dovesse verificarsi in Italia, avremmo ben altro di che preoccuparci. Le nostre città sarebbero rase al suolo ed i morti si conterebbero a milioni e non migliaia: mentre in Giappone si è trattato di un grandissimo problema aggiunto ad un già grandissimo disastro, in Italia si potrebbe addirittura parlare di un aggravante relativamente minore. Non sono cinico, ma prospetto una realtà che non va ignorata e faccio notare che l’impianto aveva resistito ad un terremoto terribile e che la causa del disastro giapponese sembra essere dovuta principalmente allo tsunami: anche ammesso che uno tsunami possa colpire l’Italia, l’orografia del nostro paese ci dovrebbe permettere di costruire quegli impianti in località esenti da quel tipo di rischio che ha preso in contropiede i progettisti dell’impianto giapponese; inoltre, la sismicità del territorio italiano è molto inferiore a quella del territorio giapponese ed esistono anche aree con sismicità molto bassa. Un’altra soluzione potrebbe essere la realizzazione di un sistema di raffreddamento a prova di tsunami oltre che di terremoto. Teniamo conto anche del fatto che sono impianti costruiti 40 anni fa e io credo che la tecnologia e le misure di sicurezza ne abbiano fatti di progressi in questi 40 anni! Sono conclusioni personali, ma penso che, una volta chiarita la situazione, si dovrebbe essere in grado di porvi rimedio: l’esperienza, in questi casi, è la maggiore garanzia che disastri del genere siano contemplati nel progettare i nuovi impianti.
Rischi imponderabili
Un amico mi ha fatto rilevare che un problema potrebbe essere un attacco terroristico del tipo di quello delle torri gemelle. Può un tale attacco essere eseguito con tale precisione da colpire la struttura del reattore, quali conseguenze potrebbe causare e quali sono le probabilità che un tale evento possa effettivamente avvenire in Italia? É difficile dirlo ma le probabilità non dovrebbero essere superiori a quelle di un attacco terroristico con materiale radioattivo o addirittura con un ordigno nucleare! Siamo, cioè nel campo di quelle cose da contrastare con la massima energia, ma che non possono condizionare le nostre vite come non condizionano le vite di tanti altri paesi!
Ci saranno, forse, altri tipi di cataclismi mai accaduti finora e che con probabilità di una su un miliardo potranno accadere e che, come in Giappone, non sono prevedibili al momento della progettazione! Certo! Ma se le probabilità sono davvero insignificanti, possiamo veramente condizionare la sorte delle future generazioni basandoci su di esse! D’altronde, anche la ricerca, l’estrazione ed il trasporto dei combustibili fossili causano danni rilevantissimi (statisticamente hanno anche provocato più morti per unità di energia prodotta che non gli stessi impianti nucleari!), ovviamente danni e morti sparse e lontane e quindi che ci colpiscono poco. Ovviamente, la conclusione è che il problema della sicurezza debba essere una esigenza primaria da studiare a fondo e da mettere in conto nella progettazione di questi impianti, per cui una decisione sul farli o non farli debba essere basata su queste considerazioni e non rigettata a scatola chiusa. E se non abbiamo fiducia nel nostro sistema di controlli, chiediamo a gran voce la creazione di una efficace agenzia europea! E discutiamone senza rigettare una opzione che ha tanti altri vantaggi per il nostro paese. (**)
Le scorie
Il problema delle scorie è certamente grosso e ne vorrei poter sapere di più. Io ho sentito di stoccaggi in profondità in giacimenti salini a prova di eventi tellurici o in altre conformazioni geologiche adatte allo scopo: uno di questi è in corso di realizzazione in Finlandia e certo altri esisteranno nei paesi dotati di armi nucleari: in Italia si era parlato di una località in Basilicata la cui scelta è stata respinta a furor di popolo (con i capi popolo politici in prima fila, nessuno dei quali, ne sono sicuro, si è documentato abbastanza e si è formato delle opinioni che non siano semplicemente contro quelle sostenute dai loro avversari politici o che avessero altro scopo se non quello di acchiappare qualche voto, senza alcuna considerazione per l’interesse del paese. Ovviamente, quelli della parte a favore si sono immediatamente defilati per la paura che il subbuglio potesse costare a loro qualche voto, anch’essi senza considerazione per l’interesse del paese. Perciò, senza sapere se era giusta o sbagliata, quell’idea è stata abbandonata. Anche qui, mi pare che il problema non venga affrontato razionalmente. Ci spieghino con estrema chiarezza, a tutti e soprattutto a coloro che esperti non sono, quello che si intende fare e quali precauzioni si intende prendere per evitare tutti i prevedibili rischi. Si discuta anche dei benefici e poi degli incentivi che si intende offrire ai cittadini locali per realizzare questi siti, anche se essi potrebbero avere delle caratteristiche di rischio modestissime : impianti o opere del genere spaventano per principio e, quando si parla di radiazioni, questa paura è a livelli molto elevati: e va compensata!! Insomma, non si pretenda di calare le decisioni dall’alto e di farle accettare senza affrontare il problema con spiegazioni . . spiegazioni . . e spiegazioni a tutti, ma principalmente ad ogni singolo abitante della zona interessata: se, a quel punto, le spiegazioni saranno soddisfacenti e gli incentivi adeguati il problema potrebbe essere risolto, altrimenti no.
Conclusione
Il nucleare determina paure che, allo stato attuale delle conoscenze e della capacità di progettare, costruire e operare questi impianti, potrebbero anche essere ingiustificate. Occorre molta preparazione e molto sforzo per essere in grado di presentare il problema nella luce necessaria per una decisione ragionata e questo non può essere fatto sotto la pressione di un referendum che sarà certamente determinato dalla paura.
Il nucleare presenta enormi vantaggi per un paese come il nostro e nella situazione economico/sociale prevista nei prossimi decenni, ma presenta anche dei rischi che vanno analizzati e valutati con cura. Lo stoccaggio dei residui radioattivi non è un problema insormontabile e tanti paesi lo hanno risolto e non lo hanno considerato determinante (ci sono quasi 500 impianti nucleari in funzione per il mondo e altrettanti sono programmati per i prossimi 20/30 anni: che gli altri paesi molto impegnati nel nucleare non abbiano delle soluzioni a questo problema non è del tutto vero perché in qualche modo queste scorie sono stoccate, forse provvisoriamente, ma non a rischio; in Finlandia un deposito permanente è in costruzione.
L’ipoteca sul futuro
La decisione del nucleare si o nucleare no è una decisione che avrà un impatto immenso di qui a venti/trent’anni sulla competitività e sul benessere del nostro paese e, con le tante sfide che già ci attendono, è una decisione che non possiamo assolutamente sbagliare! Non lasciamoci ingannare dai nostri politici che la utilizzano per interessi del tutto contingenti e personali. Convinciamoci che non siamo più furbi o intelligenti di tanti altri paesi che ancora oggi hanno nuovi impianti in costruzione o programmati (anche intorno a noi) e quei paesi che non hanno rinunciato al nucleare in passato ne hanno certamente beneficiato. Anche il Giappone, quando il disastro sarà digerito e analizzato con cura, sono quasi sicuro che concluderà che occorreva maggiore sicurezza e che, probabilmente, impianti così vecchi avrebbero dovuto essere manutenuti meglio o rimodernati prima, ma che al nucleare, pur adottando più stringenti criteri di sicurezza e di controllo, non si può rinunciare a priori.
Purtroppo, siamo amministrati da gente incapace di affrontare obbiettivamente problemi così impegnativi e sostenuti da sindacati ideologici o altrettanto incapaci di sollevarsi all’altezza di questi problemi. Siamo anche un popolo superficiale che affronta le questioni importanti senza studiarle a fondo, che si affida alle decisioni dei nostri politici pur riconoscendone l’incapacità, per poi trovarsi nella condizione di dover stringere inesorabilmente la cinghia e guardare il resto del mondo andare avanti. Questi impianti non li vedrà una buona parte dei “decision makers” di oggi (il che spiega forse anche perché utilizzano questo argomento solo per i loro interessi contingenti), ma una decisione razionale e non emotiva la dobbiamo alle nuove generazioni, per fare a loro un prezzo elevatissimo per la nostra ignoranza, le nostre posizioni ideologiche e le nostre paure.
Note:
(*) Una bilancia dei pagamenti passiva, porta ad un progressivo indebitamente del paese con istituzioni e governi esteri: una parte della nostra ricchezza si trasferisce all’estero sotto forma di un progressivo indebitamento che, alla fine, può anche trasformato nell’acquisto di beni immobiliari, azioni si società: non è da meravigliarsi se la proprietà di intere aziende italiane è finita in mani straniere, tipo la più grossa industria chimica italiana, cioè la Montedison, e centinaia di altre quali la Wind, l’Algida e, ultimamente, la Parmalat.
(**)È pur vero che la Germania ha deciso l’abbandono del nucleare (in oltre 20 anni!!). Ma la Germania può permetterselo perché ha una dipendenza minima dalle importazioni in quanto copre il suo fabbisogno di energia elettrica per il 17 % con fonti rinnovabili (meno dell’Italia), per il 22% con le centrali nucleari e per il 60% con centrali a carbone, di cui dispone in abbondanza (ma che, tra l’altro, producono molta più anidride carbonica di quelle a gas o petrolio!). Insomma, dipende dall’esterno per il solo combustibile nucleare e per meno del 20% dell’energia elettrica che produce ( a differenza dell’Italia che ha una dipendenza esterna di quasi l’80%)! E poi, non hanno preso una decisione per referendum, per cui c’è la possibilità di un ripensamento nel tempo!