La questione se un soggetto possa, pur senza fregiarsi del titolo di Dottore Commercialista, tenere la contabilità per un’azienda, effettuare denunce dei redditi e svolgere tutte le altre attività di consulenza fiscale, senza essere iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti o equiparati, è stato un tema molte volte dibattuto in giurisprudenza e con sentenze spesso contrastanti.

Tuttavia il 16.04.2020 la Cassazione con la sentenza n. 12282 ha optato per la soluzione più rigida, respingendo il ricorso di una donna che prestava, senza titolo, assistenza legale e fiscale per un’azienda e condannandola ai sensi dell’art. 348 c.p. per abusivo esercizio di una professione.
Si noti che l’interessata non si era mai fregiata del titolo di Dottore Commercialista, né sulla carta intestata riportava tale caratteristica professionale, circostanza tuttavia ritenuta dai giudici non decisiva ai fini della commissione del reato.

ABUSIVO ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE

L’art. 348 del Codice Penale prevede espressamente che  chiunque abusivamente eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino ad € 516,00.
La questione è stata più volte affrontata dai giudici di merito e di legittimità spesso con sentenze contrastanti e ciò non soltanto con riferimento alle attività fiscali più frequenti, ma anche a quelle di consulenza legale.
Infatti soprattutto in questi ultimi anni vi è stato un profondo dibattito tra gli interessati, gli addetti ai lavori e ovviamente le aziende, al fine di rilevare in maniera chiara quali siano i soggetti abilitati ad esercitare attività di consulenza fiscale o di assistenza al contribuente e cioè se tale attività sia riservata agli iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti, dei Ragionieri abilitati, dei Periti Commerciali, dei Consulenti del Lavoro, oppure sia libera.
Ovviamente qui non stiamo parlando dell’amico che dà consigli o aiuta nel redigere la dichiarazione dei redditi o si presta a consulenze saltuarie gratuite al fine di aiutare un altro soggetto, bensì di quelle categorie che svolgano la medesima attività dei dottori commercialisti ed assimilati previo compenso.

LA TESI PERMISSIVA

Del resto la stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 8683 del 28/03/2019 dava ragione al professionista non iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialista ed esperti contabili, ritenendo che avesse diritto al compenso anche dopo l’istituzione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC) ex D.Lgs. n. 139 del 28/06/2005.
Ciò sulla base del principio della libertà di lavoro autonomo e della libertà di impresa e servizi, laddove l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non è iscritto all’apposito Albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, ma solo se la prestazione espletata rientra nell’attività riservata in via esclusiva ad una determinata categoria professionale.
In questa eventualità il soggetto non iscritto non ha azione legale per ottenere il pagamento del dovuto, neppure a quella sussidiaria per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.
Tuttavia la Cassazione, (a differenza della sentenza di recente richiamata), in genere ritiene che non rientri nell’ambito delle attività riservate solo a soggetti iscritti agli albi o provvisti di speciale abilitazione, la tenuta di scritture contabili, la redazione dei modelli Iva o fiscali, l’effettuazione di conteggi ai fini fiscali, la richiesta di certificati, la presentazione di domande presso la Camera di Commercio,  l’assistenza e consulenza aziendale nelle materie commerciali, economiche, finanziarie e di ragioneria, con ciò lasciando liberi tali compiti a chiunque.
In sostanza il prevalente orientamento era quello di lasciare le materie commerciali, economiche e di ragioneria, le prestazioni di assistenza e consulenza aziendale, non soltanto ai dottori commercialisti, ai ragionieri, ai periti commerciali abilitati, non rientrando tale attività in quelle esclusivamente riservate agli iscritti negli albi professionali.

L’ABUSO DI TITOLO

Ovviamente tutt’altra è la questione allorché il professionista che svolge l’attività di consulente usurpi il titolo di dottore commercialista abilitato o similare, traendo in inganno il cliente, configurandosi in tal caso la fattispecie penale di cui all’art. 498 c.p. se non addirittura il reato di truffa ex art. 640 c.p.
Al di fuori di tale ipotesi tuttavia il soggetto che eserciti l’attività di contabile per l’azienda senza essere iscritto all’apposito albo e senza abilitazione e senza vantare titoli inesistenti, secondo un precedente orientamento non commetteva alcun reato ed aveva diritto al compenso.
Ciò in linea con i principi di derivazione comunitaria che auspicano la piena liberalizzazione delle professioni con l’introduzione nel nostro ordinamento della Legge n. 4/2013 (recante disposizioni in materia di professione non organizzate), ovvero con il D.L. n. 193/2016 (c.d. Decreto Fiscale) novellando l’art. 63 comma 2° del D.p.r. n. 600/1973 estendendo rappresentanza e assistenza ai contribuenti anche ai professionisti di cui alla norma UNI 1151 certificati e qualificati ai sensi della Legge n. 4/2013 ed anche tenendo conto che per espressa disposizione normativa presso gli uffici fiscali ciascuno può farsi rappresentare da un proprio procuratore generale o speciale previo rilascio di una procura redatta per iscritto e senza necessità che il procuratore sia iscritto ad apposito albo.

CAMBIAMENTO DI ORIENTAMENTO

Dunque la recente sentenza della Cassazione del 16 Aprile si pone in netto contrasto con il precedente orientamento in modo innovativo ritenendo sussistente il reato allorché l’attività professionale venga svolta da soggetto non regolarmente abilitato, ritenendo irrilevante il consenso del destinatario della prestazione abusiva e la conoscenza della mancanza del titolo.

LA CONSULENZA LEGALE

Va detto che l’orientamento più elastico era ormai consolidato anche per ciò che riguardava la professione legale, non impedendosi ad alcuno di fornire consigli legali, suggerimenti o assistenza, anche senza la qualifica e l’iscrizione all’albo degli avvocati.
La tesi prevalente in tal senso è quella di riservare agli avvocati esclusivamente l’attività giudiziaria in senso tecnico, laddove nessuno può rappresentare un cliente di fronte all’autorità giudiziaria civile, penale o amministrativa, senza averne il titolo o l’iscrizione all’albo.
Di contro la prestazione d’opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli avvocati soltanto nei limiti della rappresentanza suddetta e comunque nella diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo.
Al di fuori di tali limiti l’attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti e quindi anche altri soggetti possono legittimamente prestare consulenza legale, assistere un cliente per esempio per una richiesta di risarcimento presso una compagnia assicurativa, o scrivere e riscontrare lettere, senza per questo rispondere del reato di esercizio abusivo della professione (ex multis vedasi anche Cass. n. 12840/2006).