La minaccia di rendere pubblica la relazione extraconiugale costringendo l’interessato a versare una somma di denaro è configurata a tutti gli effetti come un’estorsione.
La questione nasce da un rapporto decennale di una ragazza straniera con un uomo coniugato, rapporto durante il quale peraltro la donna aveva anche subito l’interruzione di una gravidanza.
A seguito della minaccia della donna di mettere a conoscenza la famiglia dell’amante della vicenda sentimentale extraconiugale, l’interessato versava prima 1.000 euro e successivamente altri 5mila, subendo ulteriori richieste al punto di essere costretto a denunciare i fatti.
Rinviata a giudizio la donna veniva condannata in primo grado ed avanti la Corte d’Appello, non avendo la stessa contestato il fatto di aver minacciato l’uomo. Ciò nel senso che sarebbe andata a casa sua informando la moglie del loro rapporto, se non avesse ottenuto il resto del denaro, che a suo dire, il compagno le aveva asseritamente promesso, ma poi le aveva dato solo in parte.
L’imputata, la quale si esprimeva peraltro non correttamente in italiano, riteneva in cuor suo, che la somma le spettasse di diritto, quantomeno quale contropartita per una dolorosa e problematica interruzione di gravidanza e comunque perché la somma le era stata promessa.
ACCORDO O ESTORSIONE
Avverso le sentenza ricorreva il difensore delle giovane straniera inquadrando la richiesta di denaro non in un’ottica estorsiva, bensì come una semplice pretesa del rispetto di un patto secondo il quale il denaro costituiva una contropartita per l’interruzione di gravidanza.
Inoltre evidenziava la scarsa consapevolezza della donna, l’incapacità di esprimersi in italiano nel modo corretto, la deficiente proprietà del linguaggio ed in più la mancata comprensione di commettere un reato, ritenendo viceversa di esercitare un proprio diritto.
LA CONFERMA DELLA CONDANNA
La Cassazione tuttavia con la sentenza n° 9750 depositata l’11/03/2020 disattendeva la richiesta del difensore della donna rilevando che la giurisprudenza sul punto era ormai da considerarsi consolidata.
Il ricorso veniva infatti dichiarato inammissibile, sia in quanto la Corte di Cassazione non poteva formulare valutazioni di merito già effettuate dal giudice di I e II grado, sia perché non esisteva alcuna pretesa della donna tutelabile.
Mancava infatti qualsiasi preventiva richiesta di riconoscimento di una somma di denaro relativamente alla gravidanza non portata a termine, mentre viceversa era stato provato chiaramente che il denaro costituiva il corrispettivo del silenzio della donna nei confronti dei familiari del compagno.
Né appariva meritevole di rilievo il tentativo del difensore che cercava di inquadrare la richiesta di denaro non in un’ottica estorsiva, ma quale pretesa del rispetto di un accordo contrattuale, obbligazione che non sussisteva affatto e comunque non appariva nè conforme, né tutelabile secondo legge.