Dopo aver rassicurato, in un rapporto sessuale,  il partner del proprio stato di infertilità e della mancanza di  necessità di adottare alcuna precauzione, una donna rimaneva in stato interessante dando alla luce un bambino, con tutte le conseguenze sul piano patrimoniale a carico del padre.

Questi, convinto di essere stato ingannato, proponeva contro la donna una causa per il risarcimento del danno, ritenendo che il comportamento doveva configurarsi come  una vera e propria truffa.
Il ricorrente lamentava che, prima del rapporto sessuale con il quale la controparte aveva concepito il loro figlio, la compagna gli aveva assicurato di essere in quel momento infertile avendo concluso proprio in quel giorno il suo ciclo mestruale.
Pertanto il partner escludeva la necessità di qualsiasi contraccettivo.
L’informazione era stata viceversa consapevolmente menzognera ed aveva indotto il ricorrente, pur non  volendo egli generare alcun bambino, al rapporto fisico e cioè a compiere l’atto sessuale senza alcuna precauzione.
Essendo evidente ed indiscusso l’inganno subito, il ricorrente rilevava di aver subito un danno rilevantissimo e non solo sotto un profilo patrimoniale per il sostentamento del minore fino all’autonomia economica e di un danno non patrimoniale di tipo esistenziale, ma anche perché l’evento  non gli permetteva più di ricostituire una famiglia regolare in quanto le sue successive compagne non sarebbero certamente state disposte a creare un rapporto sentimentale stante la preesistenza di un altro figlio.

LE ARGOMENTAZIONI IN DIRITTO

Su questa base dunque l’irritato padre ribadiva di essere stato vittima di un vero e proprio raggiro, non solo invocando il disposto di cui all’art. 640 del Codice Penale in tema di truffa, ma anche invocando la normativa in tema di diligenza e comportamento corretto nelle obbligazioni ex art. 1175 c.c. ed in sostanza rilevando che la compagna non si era comportata con la necessaria  buona fede dovuta nelle reciproche relazioni, senza contare che, a parere del ricorrente, vi sarebbe anche un violazione oltre che dei principi costituzionali di solidarietà altresì della legge 194/78 con cui “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”.
Accanto a tali principi di diritto civile e di diritto penale, il padre tradito nella propria fiducia rilevava che la Cassazione, peraltro in fattispecie del tutto diverse, aveva rilevato che deve sempre sussistere la buona fede ed in particolare che (Cass. n° 34/62 del 15/02/2007) “….l’obbligo di buona fede oggettiva e correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico espressione di un generale principio di solidarietà sociale applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale che impone di mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale…”, ed ancora (Cass. n° 10182/2009) “….la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra….”.
Poiché dagli inadempimenti suddetti ne derivava, sempre secondo il Codice Civile a detta del ricorrente, un danno risarcibile, senza dubbio egli a causa dell’inganno posto in essere, aveva subito un pregiudizio economico di estrema rilevanza del quale ne chiedeva il ristoro.

UN CASO FREQUENTE

In realtà la fattispecie esaminata dalla Cassazione non è affatto rara.
Anche al nostro studio sono capitate negli anni situazioni in cui il padre inconsapevole, lamentava di aver subito un pregiudizio dalla cattiva informazione fornita dal partner.
In molti casi, se  la sicurezza vantata dall’interessata non aveva alcun fondamento, tuttavia  mancava sicuramente alcuna maliziosità, né erano ravvisabili scopi reconditi.
In altri casi viceversa il sistema di rimanere in stato interessante, era sicuramente preordinato in modo da garantirsi un posto nella suddivisione del rilevante patrimonio del padre, tant’è (e pensiamo ad un caso in particolare) che subito dopo la sicurezza del concepimento, l’interessata aveva interrotto ogni rapporto con l’altro, avendo ottenuto il proprio scopo di garantirsi un adeguato mantenimento rapportato al patrimonio del padre ed un posto nella successiva successione ereditaria.

LE CENSURE DELLA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione esaminava la fattispecie con attenzione e rilevava innanzitutto che non era possibile trasportare la normativa in tema di contratti nell’ambito di un rapporto sessuale.
Infatti un rapporto fisico difficilmente poteva essere considerato al pari di una obbligazione  con diritto all’adempimento della prestazione pattuita contrattualmente, né appariva applicabile alla fattispecie il diritto alla procreazione cosciente e responsabile di cui alla legge 194/78 che riguarda le garanzie dello Stato e non l’obbligo del partner.
Tra l’altro rileva la Corte neanche sotto il profilo civilistico, come detto, si può assimilare  la fattispecie ad un rapporto contrattuale relativamente ad un incontro sessuale fra due persone consenzienti, (tra l’altro la giurisprudenza non riconduce tale fattispecie neanche all’attività di prostituzione).
D’altra parte anche la normativa penale  che riguarda l’obbligo del partner di rispettare la volontà della persona con cui si intende compiere un atto sessuale completo si rinviene  come tutela della libertà sessuale (art.li 609 bis e seguenti c.p.) e non come garanzia della fertilità o infertilità riferita all’atto sessuale e tantomeno come una scelta che l’uno possa imporre al’altro..
Al più si potrebbe ipotizzare una violenza privata nel comportamento di taluna che costringe l’altro ad adottare o non adottare mezzi che incidono sulla potenzialità procreativa.
Tuttavia l’art. 610 del Codice Penale prevede la “violenza o minaccia” o comunque una costrizione, ma non la menzogna.

IL RISCHIO LIBERAMENTE ASSUNTO

In ogni caso,  avevano già rilevato sia il Tribunale che la Corte d’Appello,  come, se il ricorrente avesse avuto “un così forte intenso desiderio di non  procreare, avrebbe dovuto adottare sicure misure precauzionali”: non facendolo, egli stesso ha “assunto il rischio delle conseguenze”.
Del resto sono nozioni di comune esperienza le possibilità di un ovulazione doppia o ravvicinata.

LA SEVERA CONDANNA

La Cassazione in ultima analisi, con la decisione n. 10906 del 5 maggio 2017 confermava le sentenze di primo e secondo grado, non solo rigettando il ricorso alla Corte Suprema, ma condannando lo sfortunato padre alla refusione alla controparte delle spese processuali liquidate in un importo molto rilevante: quasi 15 mila euro incluse spese generali, oneri fiscali ed accessori.

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