La stima delle perdite di Alitalia per il 2016 è di circa seicento milioni di euro, una cifra simile alle perdite del 2013, 2014 e 2015. Ora arriva un altro “prestito” di  seicento milioni di euro del Governo

Sarà che gli avvocati sono abituati a ragionare in termini estremamente pratici e concreti, ma è indubbio come appaia incomprensibile per il comune cittadino che senso possa avere continuare a gettare denaro in un’azienda priva di qualunque possibilità di recupero.

L’art. 5 del R.D. 16.03.1942 n. 267 solennemente statuisce che “L’imprenditore che si trova in stato di insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fattori esteriori i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Il problema ovviamente tocca tutti noi dal momento che i 600 milioni di euro derivano dai versamenti di tutti i contribuenti italiani e dunque si tratta in sostanza di danaro che viene tratto dalle nostre tasche, denaro che potrebbe essere ben diversamente utilizzato per aumentare le pensioni sociali o per migliorare la sanità, tanto per riferirci solo a due possibili ambiti di utilizzo di somme così ingenti e gettate al vento.

TROPPI PRIVILEGI

Appare irrazionale continuare a concedere prove di appello in continuazione ad una azienda che si trova una situazione ormai da anni senza via di uscita.
Ed è ancora più irrazionale ipotizzare la restituzione di ulteriori seicento milioni concessi alla Compagnia formalmente insolvente da oltre dieci anni.
E’ noto che l’Alitalia fino al 2008 è stata utilizzata come un possedimento politico per sistemare i favoriti del momento con retribuzioni sproporzionate e senza alcuna corrispondenza con le necessità effettive della Compagnia.
Basti dire che nel 2004 vi erano oltre 21.000 dipendenti, ora ridotti a poco più di 10.000; cosa tuttavia più grave è che le passività dell’azienda e le sistemazioni degli esuberi sono state poste a carico della collettività in maniera irrazionale.
Ricordiamo che per qualunque lavoratore che venga posto in Cassa integrazione, è previsto un periodo massimo per usufruire del beneficio di circa un anno, per taluni casi prorogabile a 24 mesi, con una retribuzione che per legge deve corrispondere all’80% dello stipendio globale percepito, ma con un massimo di 971,71 euro di importo lordo quando la retribuzione mensile di riferimento è pari o inferiore a 2.000 euro circa e di 1.177,91 euro quando la retribuzione mensile di riferimento risulti superiore a 2.100 euro.
Viceversa per i dipendenti e soprattutto per i piloti dell’Alitalia, è stata creata una normativa ad hoc, che ha permesso al personale di volo e di terra, di percepire per sette anni, prorogati fino al 2018, assegni mensili pari all’80% dello stipendio con retribuzioni versate dallo Stato dai 3.000 agli 11.000 euro al mese.
E tralasciamo le inchieste su taluni piloti che durante il periodo di trattamento di Cassa integrazione, volavano per altre compagnie.

STESSI DIPENDENTI MA CON RISULTATI OPPOSTI

Attualmente Alitalia impiega poco più di 10.000 dipendenti  e cioè più o meno lo stesso numero utilizzato da altre compagnie rivali, tra cui la Ryan Air, con la differenza che queste guadagnano ed Alitalia perde cifre gigantesche.
Dal nostro punto di vista pratico, non ci interessa più sapere di chi è la colpa di questo disastroso andamento.
Certamente ed in ogni caso non ha più alcuna ragionevolezza l’idea di continuare a versare i soldi dei contribuenti in un’azienda che non ha alcuna possibilità, come dimostrato in questi anni, di rientrare sul mercato con degli utili.
Tra l’altro andare ad inserire altro danaro in Alitalia non maschera altro che una specie di nazionalizzazione, assurda, se non ammettendo che il Governo debba intervenire ogni qualvolta un’azienda stia per fallire.
E in questi ultimi anni a causa della crisi economica, le aziende che sono fallite sono state tantissime e senza alcun aiuto da parte dello Stato.
Peraltro non crediamo che vi sia alcuna volontà della popolazione nel continuare a foraggiare l’Alitalia stornando danaro da altre iniziative di ben maggiore interesse per la collettività.

SALVARE I DIPENDENTI A SPESE DELLO STATO

Per ottenere una visione concreta della vicenda, forse bisognerebbe sollecitare un referendum tra i cittadini e non tra i dipendenti dell’Alitalia, se siano disposti ancora a detrarre somme dalla propria retribuzione per sostenere la Compagnia.
E sempre per attenerci ad un criterio sostanzialmente pratico rileviamo che, se avessimo regalato o volessimo regalare mille euro al mese a ciascun dipendente, pregandolo semplicemente di stare a casa, otterremmo un onere per la collettività di diecimila euro al mese pari a 120 milioni di euro all’anno (10mila dipendenti x mille euro mensili per i 12 mesi dell’anno).
Di contro ce ne stiamo rimettendo   600 di milioni all’anno!

Quindi regalando per qualche anno un contributo a carico della collettività in favore di ciascun impiegato, implorandolo di non andare a lavorare o di dedicarsi al golf, otterremmo un guadagno netto (si fa per dire) di 482 milioni di euro all’anno, cifra che potremmo utilizzare per ben altre necessità pubbliche.
Tutto questo senza considerare gli utili che otterrebbe lo Stato vendendo le partite attive dell’Alitalia e liquidandola una volta per tutte.

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