ROMA. Dipinti, ceramiche, sculture in ferro o in vetro, progetti architettonici e recuperi ambientali e urbanistici, abiti, oggetti design e gioielli, l’arte di Antonio Meneghetti è al centro di una mostra allestita fino al 26 giugno negli spazi del Complesso del Vittoriano di Roma.
Esposte circa 70 opere, tra le più significative realizzate dal maestro scomparso nel 2013, e di cui la Fondazione di Ricerca Scientifica ed Umanistica Antonio Meneghetti ha curato una ponderosa monografia (pubblicata da Gli Ori-Editori Contemporanei). Scopo della rassegna, presentata oggi alla stampa, è quella di offrire, attraverso l’accurata selezione messa a punto dal curatore Ermanno Tedeschi, una sorta di assaggio dell’intera produzione dell’artista e filosofo, che si è misurato con numerosi linguaggi espressivi e tematiche. ”Il filo rosso tra questi differenti lavori e discipline – ha spiegato Tedeschi – è uno solo, ma capace di accumunare i paesaggi o le astrazioni agli abiti d’alta moda e agli arazzi, i vetri colorati alle grafiche, vale a dire il segno”. Incisivo e netto, sempre riconoscibile, il segno di Meneghetti emerge evidente da ogni tecnica usata, in quanto ” il suo e’ stato un lavoro fatto con il cuore e con la testa, senza mai seguire mode o scuole, dando la precedenza sempre all’istinto”. Un chiaro esempio di questa sua sintesi artistica, aggiunge il presidente della Fondazione Meneghetti Pamela Bernabei, è stato il suo lavoro con il vetro. Quando il maestro ha deciso di introdurre questo antichissimo materiale nelle sue sculture, si è recato a Venezia per scoprirne tutti i segreti della lavorazione. Sotto la guida di un vetraio di Murano, Meneghetti ha dunque appreso le tecniche della tradizione, per poi però rielaborarle alla luce della sua sensibilità contemporanea. ‘Per questo motivo i veneziani lo amavano molto”, dice la Bernabei ricordando anche i progetti di recupero urbanistico e ambientale realizzati dal maestro. Primo fra tutti il borgo di Lizori, solo un cumulo di macerie e case abbandonate tra le colline dell’Umbria tra Assisi e Spoleto, che in vent’anni di duro impegno Meneghetti ha strappato al degrado, facendolo rivivere. ”La cosa più bella e completa fatta nella sua vita, così almeno diceva il maestro di questo recupero straordinario – prosegue il presidente della Fondazione – ma ci sono molti altri luoghi nel mondo in cui ha saputo individuare e rileggere la bellezza”. Non a caso il percorso espositivo si apre con una panchina in acciaio verniciato che rimanda al recupero della cascina di Marudo, in provincia di Lodi, anch’essa abbandonata e tornata poi a splendere nel giro di dieci anni. Si prosegue con i video multimediali che raccontano l’approccio del maestro ai diversi linguaggi espressivi e alle relative tecniche, nonché ai progetti architettonici e alle creazioni dell’alta moda. Ecco quindi i paesaggi dove il dato fisico è filtrato dal segno astratto e da un dripping, via via più ossessivo nelle grandi tele informali. Non mancano i tappeti, gli arazzi, in cui Meneghetti ripropone il suo segno nitido, che torna ovviamente nelle sculture, come quelle che dominano le vie del borgo di Lizori, o nei gioielli. Al centro degli oggetti di design, conclude Tedeschi, c’è sempre l’uomo caratterizzato da una varietà infinita, che si rifà alle poliedriche percezioni e ai molteplici punti di vista del soggetto.