Il regista argentino che ha già sedotto il pubblico partenopeo grazie all’estrema leggerezza con cui tratta argomenti anche drammatici e alla sua capacità di far sentire sempre lo spettatore parte della situazione raccontata, dopo due anni torna a Napoli con uno spettacolo coprodotto dal festival ed è in scena al Mercadante il 26 e 27 giugno alle 21.30.

In “Dinamo” Tolcachir indaga nella psicologia e nell’animo dell’essere umano che, come in una dinamo che genera dal movimento energia elettrica, svela la forza propulsiva di 3 personaggi che vivono emarginati, al limite della società e fuori dalle regole che questa impone.

Tre donne, 3 storie differenti, 3 mondi destinati a non incontrarsi mai, neanche quando si trovano a convivere in una roulotte.

C’è Ada che è la proprietaria di casa e viene interpretata da Marta Lubos. Durante la pièce l’attrice dimostra di avere straordinarie doti vocali enfatizzate dalla musica di Joaquin Segade. Questa ex performer settantenne vive in uno stato di trance, tra orribili sbornie e momenti d’ispirazione. Una mattina arriva sua nipote Marisa, una ex tennista che ha vissuto in un istituto psichiatrico a causa di un presunto tentato suicidio dei genitori a seguito di una sua sconfitta epica in un torneo. Marisa ha bisogno di vivere la routine a cui è abituata, invece si ritrova in una casa su ruote con una zia che sta attraversando una crisi creativa ed è noncurante e ribelle nei confronti delle regole della società. Da giovane aveva conosciuto l’intensità della vita e ora rifiuta le convenzioni. Il dolore che prova a causa del vuoto esistenziale la porta a trasformare le sue giornate in un esperimento continuo, alla ricerca di un’ispirazione che non trova. Nel silenzio della casa dormiente, entra in scena un terzo personaggio, Harima, una profuga a metà tra una gitana ed un folletto, che parla una lingua inventata perché la terra da cui proviene è un luogo fantastico, che potrebbe essere un posto qualunque, anche il più vicino a noi. Vive negli angoli nascosti, appare e scompare da credenze, armadi, soffitti e pavimenti. Come una madre premurosa, raccoglie e rammenda i vestiti che trova per casa per spedirli al figlio, in attesa di poterlo contattare.

Queste 3 donne sono personaggi che si ritrovano nello stesso luogo ma che non riescano a superare le distanze, 3 vite parallele che condividono spazio e tempo senza saperlo. Zia Ada parla cantando, Marisa è logorroica e afferma di vedere la gente “morta viva” e infine Harima, che tra il serio e il faceto, con infinita ironia mette allo specchio realtà e fantasia rivelando un dolore concreto, tanto atroce quanto attuale, che è quello dell’immigrazione. Ma Ada e Marisa, immerse nelle loro vite vuote, non riusciranno mai a comprenderlo fino in fondo.

“Volevamo fare uno spettacolo che ci aprisse a nuove sfide. Il nostro percorso è iniziato con l’osservazione di una vita solitaria. È così che sono nate le tre donne. In un secondo momento abbiamo sentito l’esigenza di farle incontrare senza tuttavia abbandonare le personalità isolate da cui erano emerse. Abbiamo costretto i loro mondi a incrociarsi, una condizione che avrebbe poi accentuato le differenze tra loro. L’universo di ognuno di questi personaggi è pieno di vita. Dinamo è stato, per noi, un viaggio esilarante: terrore, risate ed emozione insieme” afferma il regista.

Lo spettacolo, surreale ed allegorico, ricorda molto i film di Pedro Almodóvar per la tematica e la scelta dei colori accesi nella scenografia. Il semi-realismo di un’abitazione così eccentrica sperduta in mezzo al nulla apre le porte ad un cambiamento permanente nella dimensione tra reale e assurdo, creando uno spazio sempre più teso ed un ecosistema unico dove questi personaggi vivono e non comunicano.

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