La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recentissima sentenza n. 24392 depositata in data 17 novembre 2014, è nuovamente intervenuta in tema di giusta causa di licenziamento, confermando il principio secondo il quale l’obbligo datoriale di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non sussiste nel caso di condotte in spregio ai doveri fondamentali inerenti al rapporto di lavoro.

Nella fattispecie, la massima sanzione disciplinare ha interessato un lavoratore addetto agli acquisti in una società di vendita all’ingrosso di prodotti alimentari, per aver effettuato numerose assegnazioni gratuite di prodotti con scadenza a breve termine, nonché a prezzi inferiori rispetto a quelli normalmente praticati dall’azienda (c.d. “fuori linea”), in favore della società della propria convivente, in misura di gran lunga superiore rispetto a quelle effettuate in favore di altri clienti.

I Giudici di Piazza Cavour hanno quindi confermato le statuizioni della Corte territoriale, che, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte datoriale, aveva ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento intimato, accertata la violazione dei doveri di diligenza e fedeltà gravanti sul prestatore di lavoro.
In particolare, data l’assenza, in capo al dipendente, di un potere discrezionale nella scelta del cliente cui effettuare le assegnazioni, è stato valutato immune da censure l’operato della parte datoriale, anche in relazione alla mancata affissione del codice disciplinare, laddove, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve escludersi la garanzia di pubblicità del codice disciplinare in caso di violazione di doveri fondamentali quali quelli sanciti dagli artt. 2104 e 2105 del codice civile.

Gli addebiti mossi al dipendente, sottoposti al vaglio di proporzionalità rispetto alla sanzione inflitta, sono dunque risultati, ad avviso della Suprema Corte, di una gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro, tenuto conto di ogni aspetto del fatto, dell’elemento intenzionale, volto al raggiungimento di interessi personali estranei a quelli dell’impresa, del danno subito dal datore di lavoro, del grado di affidamento richiesto dalle mansioni del lavoratore e del notevole lasso di tempo in cui la condotta si è protratta.

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