La condotta del lavoratore, per la quale sia intervenuta condanna penale passata in giudicato, non può essere sanzionata più di una volta. Per i medesimi fatti, ad una sanzione conservativa non può seguire il licenziamento.
La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recentissima sentenza n. 22388 depositata in data 22 ottobre 2014, è intervenuta a chiarire la portata del potere disciplinare del datore di lavoro in un particolare caso in cui il lavoratore, che, in seguito ad una condanna penale passata in giudicato per il reato di peculato, era stato inizialmente sanzionato con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, successivamente, per i medesimi fatti, si è visto comminare la massima sanzione disciplinare.
Orbene, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato le statuizioni della Corte territoriale, che aveva accolto la domanda del lavoratore volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato e la conseguente condanna alla reintegrazione, ritenendo prive di pregio le argomentazioni proposte dalla società, che aveva invocato la violazione della norma di cui al CCNL di categoria, che prevede la comminazione del licenziamento nei casi di condanna passata in giudicato, quando i fatti costituenti reato possano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario.
In sede di giudizio di legittimità, si è infatti ribadito il principio, già precedente espresso dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 728/1993; Cass. n. 767/1999), per cui il potere disciplinare, una volta esercitato validamente nei confronti del prestatore in relazione a determinati fatti integranti infrazioni disciplinari, deve intendersi consumato e non può essere quindi nuovamente utilizzato dal datore di lavoro per i medesimi fatti.
Tale statuizione risponde infatti al più generale principio del ne bis in idem, comune a tutti i rami del diritto, che impone il divieto di sanzionare più volte un’identica condotta già contestata nel concreto a seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica, dovendosi salvaguardare il rispetto della personalità del lavoratore e della sua stessa libertà di agire senza condizionamento di alcun genere nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Con il suespresso orientamento a tutela della posizione del lavoratore, si è quindi ritenuto che, nella fattispecie, la condotta datoriale risultasse in violazione del principio di consunzione del potere disciplinare, che non consente di comminare il licenziamento in relazione ai medesimi fatti per i quali, in precedenza, sia già stata applicata una sanzione conservativa.