In questa storia epica risalente a 170 anni fa, c’è, al centro dell’intrigo internazionale, la figura di Giuseppe Mazzini che venne diffamato e ingiustamente incolpato dai suoi detrattori per aver mandato all’inutile martirio alcuni patrioti italiani. Grazie alla stampa libera e all’onestà di alcuni politici e intellettuali della civile Inghilterra, la verità e l’innocenza dell’apostolo del Risorgimento vennero ribadite.

Purtroppo nel resto dell’Europa, tranne la Francia, restò il dubbio, strumentalizzato da Casa Savoia che mantenne l’interdetto nei confronti di Mazzini anche dopo la sua morte (1872). La riscoperta di Mazzini arrivò alla fine dell’Ottocento e gli studi più prolifici li dobbiamo a Nello Rosselli, che con il fratello Carlo, morì in Francia nel 1937 per mano dei sicari fascisti. Attilio ed Emilio Bandiera provenivano da una famiglia aristocratica e conservatrice. Il babbo Francesco era un fedele ammiraglio dell’impero austro-ungarico. Attilio maggiore del fratello di nove anni, iniziò giovanissimo la carriera in Marina. Nel marzo 1831 rimase colpito da la dignità dei profughi di Ancona, capi dell’insurrezione di romagnola ( Pepoli, Mamianie Zucchi) catturati dagli austriaci. Un incontro decisivo a New York accentuò la crisi di coscienza di Attilio. Pietro Maroncelli, compositore e poeta, liberato dallo Spielbeg si era rifugiato nella terra libera degli Stati uniti e ne lasciò testimonianza al giovane veneto. Emilio, cadetto al collegio della Marina, ebbe insegnanti con trascorsi nell’esercito napoleonico che gli trasmisero i germi della libertà. Entrambi fratelli si confrontarono maturando sentimenti libertari. Così entrarono nella cospirazione e presero contatto con Giuseppe Mazzini e la Giovane Italia. 

Il ministero degli Interni inglese captò la corrispondenza di Mazzini inviando al comandante militare austriaco, Feldmaresciallo Radetzky, il contenuto della carteggio (novembre 1843 – giugno 1844). Questi avvisò il governo napoletano che infiltrò delle spie tra i cospiratori. Nel marzo del 1844 ci fu una rivolta a Cosenza. durante la quale il capitano Galluppi, figlio del filosofo Pasquale, fu fucilato con venti rivoltosi.

I fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera e altri compagni della società segreta Ausonia si erano illusi di trovare la rivolta in corso e di aiutarli. Erano stati disinformati dalle spie infiltrate nel gruppo di azione. Giuseppe Mazzini, in esilio a Londra conosciute le intenzioni dei patrioti italiani di sbarcare in Calabria da Corfù, illusi di una insurrezione popolare in atto, mandò dei chiari messaggi agli organizzatori per persuaderli alla desistenza in attesa di tempi migliori. Non sappiamo se i “consigli” giunsero a destinazione a causa delle manipolazioni postali sopra riportate. I Bandiera, insieme a 17 compagni salparono da Corfù la sera fra il 12 e il 13 Giugno, sul trabaccolo “San Spiridione”.

Facevano parte della spedizione: Nicola Ricciotti da Frosinone, Domenico Moro da Venezia, l’avvocato Anacarsi Nardi, modenese, Giovanni Vannucci da Rimini, Giacomo Rocchi e Francesco Berti da Lugo, Domenico Lupatelli da Perugia, Giovanni Manesci da Venezia, Carlo Osmani da Ancona, Giuseppe Pacchioni e Tommaso Mazzoli da Bologna, Luigi Nanni, Pietro Piazzoli e Luigi Miller forlivesi, Francesco e Giuseppe Tesei da Pesaro, Paolo Mariani milanese. La guida calabrese era Battistino Meluso, detto il Nivaro un brigante con ambigue intenzioni. Vi era inoltre un corso di Oletta, chiamato Pietro Boccheciampe, la spia e il traditore. Gli esuli sbarcarono sulla costa ionica vicino al fiume Neto. Emilio Bandiera non appena mise il piede a terra si inginocchiò e, baciandola, esclamò con vigore: “Tu ci hai dato la vita e noi la spenderemo per te”. Il comandante dell’imbarcazione, un tale Caputo di origini pugliesi antesignano degli scafisti dei migranti di oggi, prese il largo subito lasciando a terra i patrioti, togliendo loro ogni via di fuga. Le spie fecero il resto. La trappola era pronta. Il 18 giugno furono attaccati dalla truppe, feriti e uccisi una parte e i sopravvissuti tradotti in catene a Cosenza. Nello stesso momento Mazzini seppe da un impiegato postale londinese del controllo della sua corrispondenza. Quando ne ebbe la certezza denunciò l’accaduto. Scoppiò uno scandalo. Nel civile e democratico Regno Unito funzionò un meccanismo virtuoso tra la stampa libera e la politica. L’opinione pubblica londinese non sopportò l’abuso del ministro dell’Interno, James Graham. Il deputato dell’opposizione Thomas Duncombe presentò una petizione alla camera dei Comuni. Thomas Carlyle scrisse al “Times” ribadendo il principio liberale dell’inviolabilità della corrispondenza. Alla camera dei Lord, Campbell, liberale, contestò il granitico Duca di Wellington.

Il 4 luglio una commissione di inchiesta parlamentare iniziò l’indagine. La maggioranza era ostile a Mazzini ma l’esito dell’inchiesta fu favorevole all’esule genovese. Tuttavia continuò la campagna calunniosa in Europa che lo accusava di aver ispirato la fallimentare spedizione dei fratelli Bandiera che il 25 luglio 1844 erano stati fucilati con altri 7 patrioti a Rovito nei pressi di Cosenza, dopo un breve processo farsa. I nove condannati prima del patibolo cantarono in coro un’aria dalla “Donna Caritea” di Mercadante: “Chi per la patria muor vissuto è assai; è meglio di morire sul fior degli anni…”. Mazzini addolorato per la perdita dei compagni scrisse al duca di Wellington: “…Non sentite l’eco dei fucilati di Cosenza, testimonianza della lotta onorevole, Lord, che dura da mezzo secolo tra la forza morale e la violenza?” La lettera, resa pubblica, scosse profondamente l’opinione pubblica riconoscendo a Mazzini la giusta causa per un Italia unita, libera e indipendente.

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