La Corte Costituzionale con la sentenza n. 50 del 2014 ha annullato una norma che già al momento della sua emanazione appariva un assurdo in diritto, laddove nel caso di omessa registrazione di un contratto di affitto, anziché applicare le giuste sanzioni sul piano tributario, premiava il delatore con una singolare “espropriazione” del diritto di proprietà per otto anni, riducendo il canone mediamente dell’80% rispetto quello di mercato.
In sostanza veniva applicata una punizione non solo sproporzionata ma anche irrazionale, in quanto le sanzioni non erano previste in favore dello Stato, bensì dell’inquilino.
Fin dalla sua promulgazione il D.Lgs. n. 23/2011 all’art. 3, commi 8 e 9, aveva lasciato tutti interdetti, non tanto per gli evidenti profili di incostituzionalità quanto perché legittimamente lasciava dubitare delle capacità e conoscenze giuridiche dei nostri amministratori.
In sostanza la norma stabiliva che il proprietario che stipulava un contratto di locazione dell’immobile entro 30 giorni dalla firma dovesse provvedere alla registrazione del contratto con tutti i parametri ivi contenuti (durata, prezzo, eventuali fideiussioni, etc.).
Ove non si fosse rispettato l’obbligo, il conduttore avrebbe potuto segnalare all’Agenzia delle Entrate tale inadempimento, ottenendo in cambio della delazione una riduzione del canone pari al triplo della rendita catastale (normalmente circa l’80% del canone di mercato).
In più avrebbe ottenuto che la durata del contratto, anche se stipulato per un periodo transitorio, si sarebbe estesa ad otto anni (cioè 4 anni rinnovabili automaticamente per 4 anni, in assenza di un processo intentato dal proprietario per la necessità di riottenere l’immobile), sicché di fatto mediamente su un canone di 800 euro mensili, l’inquilino avrebbe versato soltanto 150 euro al mese per 8 anni.
LA CORSA ALLA DENUNCIA
Pubblicata la legge, se da un lato effettivamente si è avuta una sensibile emersione dei contratti di locazione da parte dei proprietari, (anche perché con la normativa sulla cedolare secca, inclusa Irpef ed imposta di bollo ora è possibile versare il 21% l’anno), dall’altro è nato tuttavia il nuovo fenomeno, che si è andato espandendo a macchia d’olio, delle “denunce per riduzione del canone” da parte di molti inquilini.
In vari casi, soprattutto in alcune regione italiane, si sono verificate vere e proprie truffe, allorché il conduttore prendendo in affitto l’immobile, proponeva al locatore di non registrare il contratto, oppure si incaricava lui stesso della registrazione, ma senza provvedervi, al fine di far scadere il termine dei 30 giorni e quindi presentava la denuncia per assicurarsi l’immobile per 8 anni ad un canone irrisorio.
Il fenomeno diveniva talmente ampio che l’Agenzia delle Entrate era costretta a redigere specifiche istruzioni da inviare a tutte le unità operative locali.
D’altra parte lo stesso “premio” attribuito al conduttore-delatore, appariva economicamente talmente elevato (su un canone medio di 800 euro mensili ridotto a 150, l’utile per il conduttore per 8 anni ammonta a ben 62mila e 400 euro!), che non infrequentemente dava origine a illecite speculazioni se non a vere e proprie truffe.
L’ECCEZIONE DI INCOSTITUZIONALITA’ DEI VARI TRIBUNALI
La questione appariva talmente grossolana anche nella formulazione legislativa da far sollevare la questione di ben dubbia legittimità costituzionale: diversi Tribunali infatti in tutta Italia, rilevavano come la norma apparisse illegittima sotto numerosi profili.
In più, a prescindere dalle questioni in diritto, il buon senso suggeriva l’assurdità di una simile norma, che anziché far versare allo Stato la sanzione economica, l’attribuiva direttamente al conduttore.
Come molti hanno fatto notare, sarebbe come se una norma statuisse che in caso di mancato rilascio dello scontrino fiscale, l’acquirente potesse trattenere la merce in danno del commerciante, anziché punire il commerciante per omissione fiscale.
I giudici rilevavano il contrasto con i principi della Costituzione, sotto il profilo giuridico innanzi tutto perchè da un lato sussisteva la violazione della libertà contrattuale, sancita dai principi cardini del nostro diritto, laddove i contraenti si vedevano imporre per legge durata e canone del contratto di locazione.
In secondo luogo in quanto lo Statuto del Contribuente (legge n. 212 del 27/7/2000) espressamente all’art. 10 statuiva “che la violazione di norme tributarie non può causare nullità del contratto”.
Anche sotto altro profilo i giudici eccepivano l’illegittimità costituzionale, laddove il decreto legislativo si sarebbe dovuto occupare, secondo la delega del Parlamento, di federalismo fiscale disciplina che nulla aveva a che vedere con la norma incriminata.
LA DECISIONE DELLA CONSULTA
La Corte Costituzionale, come spesso avviene, pur dichiarando l’illegittimità dell’art. 3 commi 8 e 9 del D.Lgs. n. 23/2011, non entrava nel merito della questione, evitando di pronunciarsi sui punti più rilevanti, ma si limitava a ravvisare sotto il profilo formale la nullità per difetto di delega.
In sostanza la Corte rilevava che la legge in base alla quale era stato emanato il D.Lgs. n. 23/201, doveva riguardare esclusivamente la disciplina in tema di federalismo fiscale, mentre viceversa si era legiferato in tema di evasione relativa ai rapporti locativi e quindi, superando gli obiettivi che aveva prefissato il Parlamento, evitando con ciò di affrontare i punti cardine sollevati dai giudici di merito.
LE CONSEGUENZE
Ovviamente oggi tutti coloro che avevano denunciato alla Guardia di Finanza o all’Agenzia delle Entrate, si trovano obbligati a versare il reale corrispettivo locativo e per di più senza le proroghe temporali relative al decreto legislativo.
E’ quindi presumibile che il Parlamento per evitare un aumento dei procedimenti giudiziari in tal senso, con il rischio di sentenze contrapposte tra loro, si troverà costretto a legiferare.
Per quanto riguarda l’entità dei canoni, nulla quaestio sul fatto che questi dovranno tornare alle cifre pattuite, mentre per quanto riguarda la durata dei contratti di natura transitoria, andrà tenuto conto della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4242 del 2/02/2013.
Questa ha precisato come il contratto di locazione di natura transitoria, non sia da ritenersi valido relativamente alla durata, allorché non siano esattamente specificate nel contesto dell’atto le motivazioni in riferimento all’esigenza di tale natura.
Dunque in sostanza il giudice dovrà rilevare se, all’interno del contratto, siano ravvisabili elementi oggettivi rimessi alla libera volontà delle parti, secondo i quali il conduttore per proprie esigenze specifiche (appartamenti di vacanza, periodo di studio, etc.) effettivamente ha inteso stipulare un contratto a durata ridotta rispetto quelle di legge o se diversamente manchi il presupposto di tali esigenze.
Ha precisato la Cassazione che quale ulteriore elemento dell’esclusione della transitorietà, va anche valutato se nell’immobile le utenze siano state attivate dal conduttore (ipotesi che fa propendere per una natura non transitoria) ovvero siano rimaste intestate al locatore, (ipotesi nella quale si presume la previsione della restituzione dell’immobile a breve).