Il commercio e l’utilizzo delle sigarette elettroniche necessitava di regole chiare e precise che fossero in grado di salvaguardare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti: dello Stato, che continuava a perdere grosse fette di gettito erariale; dei cittadini, che rischiavano di avvicinarsi ad un prodotto privo di qualsiasi controllo; dei tabaccai, che improvvisamente si sono trovati dinnanzi ad un “prodotto concorrente” che, non solo poteva essere venduto da tutti e senza alcuna specifica disciplina fiscale, ma la cui vendita, paradossalmente, non era consentita in tabaccheria.

La pluralità di categorie interessate (o controinteressate) alla commercializzazione delle sigarette elettroniche riflette i diversi profili di rilevanza giuridica che sono rimasti a lungo privi di un disciplina di riferimento. Di immediata evidenza le implicazioni relative al diritto alla salute, alla disciplina amministrativa per la commercializzazione, ai profili fiscali.

I vari aspetti evidenziati – tutti rilevanti per ogni prodotto commerciale – impongono (rectius avrebbero dovuto imporre) una riflessione ulteriore. Se, infatti, si tratta di “succedanei dei prodotti da fumo” – questo il lessico legislativo – la loro regolazione andrebbe parametrata (in positivo, in negativo o per differenza) alla disciplina vigente dei “prodotti da fumo”. Tale metodologia – ineludibile ad avviso di chi scrive – avrebbe imposto al legislatore di porsi preliminarmente una domanda: si tratta di prodotti omogenei o disomogenei rispetto ai prodotti da fumo? O ancora, più semplicemente: Fanno male? Fanno bene? Fanno meno male delle sigarette tradizionali? Dalle risposte a tali domande – in ultima analisi collegate al diritto alla salute – doveva dipendere la regolazione.
Non è andata così.

La diffusione vorticosa del fenomeno e del dibattito ad esso collegato ha condotto ad una serie di interventi normativi spesso scoordinati e talvolta in aperta contraddizione.
Le disposizioni via via introdotte hanno trovato in un primo momento collocazione nei provvedimenti più disparati, apparentemente del tutto estranei alla tematica delle e-cigarette.

La prima norma che si è occupata delle sigarette elettroniche è stata introdotta con un emendamento al c.d. decreto Iva-lavoro, Decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti”, provvedimento modificativo della c.d legge Fornero. Le norme sulle sigarette elettroniche si inseriscono in un contesto che ha come primario obiettivo quello di “far cassa”, essendo collocate nel capo del provvedimento riguardante l’”IVA e altre misure urgenti”.
Le norme impongono una tassazione pari al 58,5% del prezzo di vendita, percentuale assai elevata e fortemente disincentivante, che troverebbe giustificazione – in ipotesi – in presenza di una valutazione fortemente negativa del prodotto sulla salute umana. In attesa di una regolamentazione organica demandata al MEF, viene, poi, stabilito un parallelismo con la disciplina della rivendita di tabacchi, assoggettando la vendita delle sigarette elettroniche alle procedure autorizzatorie per essi previste. In coda, infine, si affida al ministero della Salute il monitoraggio del fenomeno, estendendo – in via cautelativa, si presume – alle e-cigarette i divieti riguardanti i tabacchi lavorati.
La domanda preliminare è stata, dunque: “Quanto ci può ricavare lo Stato, mentre il Ministero della Salute decide se fanno bene o fanno male?”
La seconda occasione nella quale il nostro legislatore si è occupato delle sigarette elettroniche è stato il c.d. Decreto Carrozza sulla scuola (D.L. n. 104/2013), all’interno del quale – ancora una volta in chiave disincentivante – viene inserita una disciplina sul divieto di fumo, in base alla quale è proibito fumare anche all’aperto, come ad esempio nei cortili che sono di competenza della scuola e, inoltre è vietato l’uso delle sigarette elettroniche nei locali chiusi degli istituti scolastici.
Il provvedimento ebbe il plauso del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, allora e attualmente in carica.
In sede di conversione del Decreto scuola il nostro legislatore torna sui suoi passi. Viene confermato, infatti, il divieto per l’uso delle sigarette elettroniche nei locali scolastici, ma, si coglie l’occasione per eliminare le prescrizioni e i divieti del Decreto IVA-Lavoro.
Dunque, non viene “ritrattato” il principio smoke-free per le scuole
, ma per effetto della mini riforma, cadono i divieti precedentemente introdotti mediante l’estensione della disciplina del fumo da tabacco e si consente – in ultima analisi – di “svapare” liberamente nei locali e nei mezzi pubblici.
Viene, quindi, cancellato il divieto di utilizzo della sigaretta elettronica nei luoghi pubblici e viene stralciata l’ultima parte del comma 10-bis dell’articolo 51 della legge Sirchia, con la quale erano state applicate alle sigarette elettroniche le norme “in materia di tutela della salute dei non fumatori” previste per i tabacchi (uffici, ristoranti, cinema, mezzi pubblici e bar). Rimangono escluse, invece, le scuole dove le e-cigarette non potranno essere utilizzate né all’interno né all’esterno degli edifici, al pari delle sigarette tradizionali.
Quanto agli aspetti più propriamente commerciali e di marketing, sono state inserite delle regole specifiche per la pubblicità delle stesse, proibita sino a quel momento, persino sulle vetrine dei negozi nei quali erano in vendita. La pubblicità è concessa, quindi, ma con alcuni accorgimenti a tutela dei consumatori e dei minori, per i quali è in vigore anche il divieto di acquisto delle e-cigarette. Viene, invece, rimosso il divieto assoluto di pubblicità delle sigarette elettroniche, che possono essere pubblicizzate a condizione che si riporti la dicitura “presenza di nicotina” e “l’avvertimento sul rischio di dipendenza, ferme restando le eccezioni relative a spazi e trasmissioni relative alla tutela dei minori.  In proposito, si prevede, infatti, che “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto“, radio, tv, agenzie pubblicitarie e produttori “adottano un codice di autoregolamentazione sulle modalità e sui contenuti dei messaggi pubblicitari relativi alle ricariche per sigarette elettroniche contenenti nicotina“. Il divieto di pubblicità delle e-cigarette è confermato “all’interno di programmi rivolti ai minori e nei quindici minuti precedenti e successivi alla trasmissione degli stessi“, in particolar modo per tutti i programmi dalle 16 alle 19, “nei luoghi frequentati prevalentemente dai minori“, sulla stampa periodica e quotidiana (dedicata agli under 18) e nelle sale cinematografiche “in occasione della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione da parte dei minori“. Tutte le pubblicità – precisa l’emendamento – non potranno “rappresentare minori intenti all’utilizzo di sigarette elettroniche” e non potranno attribuirle “efficacia o indicazioni terapeutiche“.

Tutto questo in assenza di un’analisi ufficiale sugli effetti sulla salute della sigaretta elettronica ed in presenza di voci discordanti dal mondo della medicina. Si è osservato, infatti che la rimozione dei divieti di “svapare” nei luoghi pubblici ripropone il problema del fumo passivo: nei luoghi pubblici i cittadini sono esposti al pericolo di respirare vapori di nicotina.

Con il Decreto del Ministero Economia e finanze del 16 novembre 2013, in GU 7.12.2013, n.287, viene nuovamente affrontato il problema, questa volta con un intervento normativo ad hoc. La denominazione alquanto ridondante del decreto stesso “Disciplina, ai sensi dell’articolo 62-quater, comma 4, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, del regime della commercializzazione dei prodotti contenenti nicotina o altre sostanze, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo” tradisce la persistente difficoltà di inquadramento del fenomeno.
Si tratta di un decreto che disciplina essenzialmente gli aspetti tributari e amministrativi della vendita delle e-cigarette. Analizziamo in sintesi il contenuto del testo normativo.
L’ambito applicativo del decreto concerne, appunto, la disciplina e il regime della commercializzazione dei prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonee a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché di dispositivi meccanici ed elettronici comprese le parti di ricambio che ne consentono il consumo.
Sono, poi, disciplinate le autorizzazioni necessarie di cui deve dotarsi il commerciante che intenda vendere sigarette elettroniche, rimuovendo il divieto di vendita ai tabaccai. Infatti, ad oggi, chiunque può vendere sigarette elettroniche, purché preventivamente ottenga il rilascio della prevista autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. L’interessato è tenuto a presentare la richiesta di autorizzazione (e non di concessione come per i tabaccai) corredata da una serie di dichiarazioni e attestazioni relative ai prodotti e al locali di vendita, non diversamente da quanto accade per l’apertura di ogni esercizio commerciale.
L’Agenzia delle dogane e dei monopoli è tenuta a procedere alla verifica dei locali entro 60 giorni dalla data di presentazione dell’istanza, tale verifica è finalizzata ad accertare che il datore di lavoro abbia adempiuto agli obblighi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, nonché a valutare l’adeguatezza dei sistemi di sicurezza antintrusione dell’impianto e ad accertare che le aree destinati ad uffici o servizi siano fisicamente separate dalle aree di stoccaggio.
Terminate le verifiche, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli entro 30 giorni deve adottare il provvedimento di autorizzazione all’istituzione del deposito ovvero il provvedimento di diniego motivato. In caso di provvedimento favorevole, l’autorizzazione è subordinata al deposito di una cauzione, di cui all’art. 3 del medesimo decreto che è pari all’ammontare dell’imposta di consumo indicata ai sensi dell’art. 2 co 1 lett f) ed ha una durata almeno biennale e deve essere rinnovata almeno 60 giorni prima della scadenza del periodo di validità.
Anche il regime tariffario è disciplinato in modo simile a quello previsto per le sigarette tradizionali a affidato alla regolazione e alla vigilanza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Venendo ad analizzare i profili tributari, la tassazione è stata confermata al 58.5% su tutti i dispositivi, gli accessori e i liquidi per e-cigarette. Con una tassazione così elevata e con la sostanziale imposizione dei prezzi da parte dell’AAMS le sigarette elettroniche sono assoggettate ad un regime assai affine a quello dei Monopoli di Stato. E – portando il discorso alle estreme conseguenze – con una tassazione così alta, è possibile che sorga un circuito parallelo e illegale: L’e-contrabbando: rivivranno i fasti degli sbarchi sulle coste pugliesi e dei traffici sottobanco a Forcella?

Non pare, poi, siano affatto considerate le ricadute positive sull’economia e sul lavoro. Il mercato delle sigarette elettroniche, nell’ultimo anno, in base ai dati di Fiesel-Confesercenti ha condotto alla nascita di 1.700 imprese, più di 4.500 negozi e 6.800 nuovi posti di lavoro.
Il regime fortemente penalizzante, attraverso l’introduzione di una elevatissima imposta di consumo non trova, però, giustificazione – va ribadito – in una seria analisi sui rischi per la salute. Se, infatti, si fosse dimostrato che si trattava di un prodotto nocivo quanto il fumo da tabacco, le politiche disincentivanti e l’assimilazione alla disciplina dei monopoli statali sui tabacchi lavorati avrebbe trovato giustificazione più che adeguata. La manovra è, invece, ancora una volta puramente economica ed è anche un po’ miope, se si considera la vertiginosa crescita del settore e restano inascoltate alcune caute aperture della comunità scientifica, favorevoli alla sigaretta elettronica come alternativa più salutare rispetto alle sigarette tradizionali, perché il contenuto eventuale di nicotina è di gran lunga inferiore.

Il DM in esame ha formato oggetto di impugnazione da parte di alcune società operanti nel settore. Il ricorso proposto al TAR Lazio riguardava diversi profili del predetto decreto ed era accompagnato dalla richiesta di misure cautelari monocratiche, volte a paralizzare l’entrata in vigore delle disposizioni introdotte, sia con riferimento al regime autorizzatorio, sia per i trattamento fiscale.
Si contestava la legittimità del decreto sotto i seguenti aspetti:
1) la decisione di prevedere che gli operatori già presenti sul mercato che non hanno conseguito alla data del 1 gennaio 2014 la prescritta autorizzazione non possano continuare a commercializzare e vendere tali prodotti;
2) la decisione di assoggettare a regime autorizzatorio e tariffario e all’imposta nelle misura del 58,5% del prezzo di vendita al pubblico la vendita di prodotti accessori e strumentali all’utilizzo di vaporizzatori (come ad esempio i caricabatteria o le custodie dei vaporizzatori);
3) la decisione di ritenere succedanei del tabacco ed assoggettate a regime autorizzatorio e tariffario e all’imposta prodotti che non contengono affatto nicotina ovvero dispositivi elettronici e loro componenti e accessori;
Veniva, inoltre, sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 – quater del d.lgs. 26.10.1995, n.504, per violazione degli artt. 3, 35, 41, 53 e 97 della Cost. e ipotizzata la necessità di rimettere alla Corte di Giustizia la seguente questione “dica la Corte di Giustizia se i principi di diritto europeo in materia di libera circolazione dei fattori e dei prodotti economici, di tutela delle libertà fondamentali e di libera concorrenza nel mercato unico, nonché gli artt. 30, 34, 35 e 110 del TFUE, l’art. 401 della direttiva 112/2006/CE e l’art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE, ostino ad una normativa nazionale come quella di cui all’art. 62 – quater del d.lgs. n. 504 del 1995, che: a) introduce un’imposta di consumo con aliquota al 58,5% sul prezzo di vendita dei prodotti al pubblico; b) prevede una tariffazione dei prezzi al pubblico, determinando una rigida e predeterminata regolamentazione dei prezzi di vendita; c) impone una serie di obblighi ed adempimenti procedimentali che interferiscono con il regolare ciclo produttivo – distributivo dei prodotti.”.
Il TAR Lazio, sez. II, con decreto presidenziale n. 254 del 21 gennaio 2014 ha sospeso l’entrata in vigore delle norme riguardanti il regime autorizzatorio, rinviando alla successiva udienza collegiale del 5 febbraio 2014 l’analisi degli aspetti riguardanti il prelievo fiscale. In tale data il collegio conferma la misura cautelare provvisoria e rinvia l’esame delle questioni alla successiva udienza del 19 febbraio 2014, ravvisando l’opportunità di trattare congiuntamente più ricorsi sullo stesso tema.
Con ordinanza del 19 febbraio 2014 il Tar del Lazio respinge l’istanza cautelare sulla base delle seguenti motivazioni. In primo luogo rileva che con DM 12 febbraio 2014 del Ministero dell’Economia e delle Finanze sono stati autorizzati alla commercializzazione dei prodotti sostitutivi dei tabacchi lavorati tutti i soggetti che presentino o abbiano già presentato domanda di autorizzazione ai sensi del D.M. 16 novembre 2013; vengono, dunque, meno le esigenze cautelari legate al divieto di prosecuzione dell’attività per gli operatori già presenti sul mercato. Parimenti insussistenti vengono considerate le esigenze cautelari rispetto al profilo inerente l’applicazione del regime impositivo “trovando esso la propria fonte nella contestata norma primaria e venendo al riguardo in rilievo un danno di natura meramente economica, come tale pienamente ristorabile e riferito ad un lasso di tempo comunque limitato”, ritenendo il Collegio che le esigenze rappresentate dalle ricorrenti “possono essere adeguatamente tutelate attraverso la sollecita fissazione dell’esame nel merito della causa” e considerato anche che “l’eventuale sospensione in sede cautelare degli atti applicativi non potrebbe comunque arrecare alcun vantaggio a parte ricorrente, in quanto inidonea ad incidere sull’applicazione del regime impositivo”. Il TAR, dunque, lascia inalterata la disciplina fiscale.
In attesa della decisione nel merito da parte del giudice amministrativo, fissata per l’inizio di aprile, il legislatore opera una nuova inversione di rotta. In sede di conversione del Decreto c.d. Milleproroghe (D.L. n. 150/2013) viene rinviata l’entrata in vigore dell’imposta di consumo.
L’emendamento approvato in sede di conversione prevede esplicitamente che i tabacchi lavorati nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo siano assoggettati all’imposta del 58,5%, masolo a partire dal mese di giugno.
La situazione è, quindi, ancora al punto di partenza. Il rinvio a giugno, i ricorsi pendenti e le prevedibili spinte e controspinte lobbystiche promettono nuove puntate dell’ennesima soap, pardon, smoke-opera, all’italiana.

Il legislatore italiano gira, dunque, in tondo, come in molte altre occasioni, ma in questa la sensazione di fastidio è acuita dalla ipocrisia: lo Stato che reprime un fenomeno, ma ci guadagna, che protegge i minori, ma non gli adulti. Vengono raggiunti picchi elevati di ridicolaggine, di incongruenza e di incoerenza. Le leggi più che a regolare, a bilanciare, a contemperare, a mediare, servono per lanciare messaggi para-elettorali, ovvero per fare cassa, ovvero per assecondare gruppi di potere, ovvero ancora per dare l’impressione di risolvere un problema, senza neanche affrontarlo realmente. Insomma… fumo negli occhi.

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