Dal giorno della loro pubblicazione, gli “Schwarzen Hefte” , i “quaderni neri” non smettono di far parlare di sé a causa del contenuto pieno di frasi pesanti nei confronti degli ebrei e di inequivocabili condivisioni dell’ideologia nazista. Se si aggiunge il fatto che l’autore di questi quaderni è Martin Heidegger, filosofo che più di tutti ha influenzato il pensiero del Novecento, si capisce perché la loro pubblicazione rappresenta l’evento editoriale più importante degli ultimi dieci anni ed è destinata ad alimentare il dibattito culturale mondiale per i prossimi lustri.
Il 14 marzo 2014, la casa editrice tedesca Vittorio Klostermann ha pubblicato la parte dei controversi quaderni, detti “neri” per la copertina cerata in uso quando furono scritti, relativa al decennio dal 1931 al 1941 (http://www.klostermann.de/epages/63574303.sf/de_DE/?ObjectID=11661269&ViewAction=FacetedSearchProducts&SearchString=heidegger+Schwarze+Hefte). I diari, della cui esistenza si parla dagli anni Sessanta, sono in tutto trentatré e raccolgono le “confessioni” e i pensieri segreti del Mago di Messkirch (come era soprannominato Heidegger) a partire dal 1931 fino al 1975. Compresi nella sua opera omnia questi taccuini erano inizialmente destinati, per volontà dello stesso Heidegger, ad essere pubblicati come ultimo atto dei numerosi inediti del filosofo che ancora aspettano di venir dati alle stampe. Il nipote del grande pensatore e attuale gestore delle opere, ha deciso però di anticiparne la pubblicazione proprio a causa delle scottanti rivelazioni sulle convinzioni antisemite dell’illustre antenato, contenute nei “quaderni”.
Il Mago di Messkirch
Ma chi era Martin Heidegger? Nato a Messkirich, Germania, nel 1889, Heidegger studia filosofia e teologia e diviene allievo di Husserl di cui eredita, ben presto, la cattedra di filosofia all’università di Friburgo. Nel 1927 pubblica la sua opera più importante che lo farà passare alla storia come l’esponente principale dell’esistenzialismo moderno: Essere e tempo. Nel 1933 Heidegger diviene rettore dell’Università di Friburgo e pronuncia un famoso discorso dal titolo L’autoaffermazione dell’università tedescain cui lascia trasparire, in modo più o meno palese, la sua vicinanza ideologica al regime. Ben presto però si dimette dalla carica di rettore e si ritira dalla vita pubblica allontanandosi, definitivamente, anche dal partito nazional socialista al quale aveva, precedentemente, aderito. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale viene allontanato dall’insegnamento e riammesso solo nel 1949 per le pressioni di parte del mondo accademico tedesco che, pur essendo a conoscenza della compromissione del filosofo con il regime nazista, ritiene il suo pensiero troppo importante per venire ignorato. Il 26 maggio 1976 Heidegger muore a Friburgo. L’adesione di Heidegger al partito nazista è dunque nota da sempre ma è un dato di fatto che egli mantenne, nei confronti del regime, una posizione costellata di reticenze, omissioni e ambiguità che hanno contribuito a rendere l’argomento fra i più dibattuti di sempre. Ora però la questione si arricchisce con le rivelazioni contenute nelle quasi mille pagine dei “quaderni neri” appena pubblicati e interpretati in modo univoco dalla stampa mondiale: Heidegger era un convinto nazista e, per di più, un accanito antisemita. Leggendo le frasi incriminate però si può facilmente intuire il percorso di Heidegger che, esasperato come tutti i tedeschi dalle misere condizioni in cui versava la Germania dopo la prima guerra mondiale, asserisce: «il popolo (Volk) ha bisogno di una rivoluzione nazionale, di una scossa che gli dia un «nuovo inizio». «Il Führer ha risvegliato una nuova realtà, che dà al nostro pensiero la retta via e la forza d’urto». Come molti suoi connazionali del tempo, Heidegger vede nel nazismo un’occasione di riscossa nazionale dopo le umiliazioni morali ed economiche, imposte alla Germania dal revancismo francese e dalla crisi del 1929. Certo Heidegger lega la rinascita politica tedesca ad un rilancio del pensiero di cui egli sarebbe la punta più avanzata, ma è evidente che ben presto rimane deluso dal Nazismo e nel 1934, dopo un solo anno passato nel ruolo di rettore dell’università di Friburgo, si dimette definitivamente dall’incarico e si distacca per sempre dal partito di Hitler. Il filosofo si rende conto che, lungi dal voler costruire una società libera dallo strapotere della Tecnica (come egli aveva creduto), il nazismo vuole in realtà portare a compimento il suo nefasto trionfo, come dimostrerà ben presto la tragica vicenda dell’Olocausto.
Quale antisemitismo?
Per quel che riguarda invece la questione dell’antisemitismo, alcune frasi contenute nei diari sembrano anticipare, più che altro, le tesi complottiste e globaliste tanto in voga ai giorni nostri: Hiedegger parla di «Ebraismo mondiale che è dovunque, imprendibile e non ha la necessità, nonostante tutto lo spiegamento di forze, di partecipare ad azioni militari. Invece a noi non resta che sacrificare il miglior sangue dei migliori figli del popolo». Queste ed altre affermazioni simili, contenute nei “quaderni neri”, stanno gettando nel panico buona parte del mondo accademico. Molti sono infatti gli studiosi di origini semite che sulla figura di Hiedegger hanno fondato una intera carriera e, d’altronde, non è un mistero che proprio sulla componente ebraica il pensiero di Heidegger abbia sempre esercitato un notevole fascino: Gunther Anders, Hannah Arendt, Hans Jonas, Karl Löwith e Leo Strauss, tutti ebrei e tutti illustri successori del presunto antisemita. Con Hannah Arendt, la più nota dei suoi allievi, Heidegger intrattiene una relazione sentimentale, salvo poi dividersi sulle posizioni filosofiche e politiche: Hannah Arendt infatti non è mai stata nazista bensì una convinta liberale che negli anni Sessanta, con il suo capolavoro “La banalità del male”, ha descritto il processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann dimostrando, tra le altre cose, la complicità delle élite ebraiche (tedesche) del tempo nell’olocausto del loro stesso popolo. L’antisemitismo di Heidegger è, dunque, ancora tutto da verificare e , c’è da scommetterci, le controversie sulla questione continueranno a ripetersi, con puntuale regolarità, come è avvenuto dalla fine della guerra a oggi. Tante le posizioni espresse sulla questione dal mondo accademico: c’è chi cerca di “sterilizzare” queste contraddizioni insite nella figura di Heidegger, asserendo che l’adesione al nazismo fu solo un modo per poter realizzare i propri obiettivi, e chi invece sottolinea la radicalità inestinguibile del pensiero del filosofo di Messkirch e quindi la sua adesione rivoluzionaria ad un movimento che realmente rivoluzionario non fu: «un passo giusto nella direzione sbagliata» come ha affermato di recente il filosofo sloveno Slavoj Žižek.
Fra teoria e prassi
Forse la pubblicazione dei diari potrà dare una spiegazione alla fulminea attrazione del filosofo per il nazismo e all’altrettanto rapido “divorzio” dal regime, nel frattempo è inutile esprimere giudizi sull’uomo Heidegger. I libri di storia ( e di filosofia) sono pieni di pensatori finiti dalla parte sbagliata della storia: da Platone consigliere del tiranno Dionisio ad Aristotele oligarca e schiavista; da Kant, sostenitore della Rivoluzione Francese anche nei suoi eccessi del Terrore, fino a Foucault ammiratore della rivoluzione islamica iraniana del 1979. Bisognerebbe quindi guardare con il giusto distacco storico alle vicende biografiche di questi pensatori, anche di quelli più vicini a noi dal punto di vita temporale. C’è una netta distinzione fra teoria e prassi che era ben nota agli antichi e che oggi abbiamo, a quanto pare, dimenticato: il pensatore (almeno che non sia un ideologo politico) si muove sul piano teorico e dunque astratto, a differenza del politico. Proprio sul momento teorico i regimi spesso fondano la loro genesi ma, e qui sta il problema, non si fermano al momento dell’astrazione che se rimanesse tale non causerebbe danni, bensì passano alla prassi. Perciò è inutile prendersela con i filosofi per le nefandezze dei regimi anche perché il loro pensiero, se è veramente valido, va molto oltre l’immediata contingenza storica. Al di là delle polemiche quel che è certo è che senza Martin Heidegger e senza l’analitica esistenziale di Essere e Tempo ci diverrebbe di colpo estranea gran parte della filosofia, della teologia e della psichiatria del XX secolo; tutto il resto, come avrebbe detto lo stesso filosofo tedesco rientra nel campo del “si dice” e della “chiacchiera”.