La separazione dei coniugi dà luogo molto spesso a lunghi e sgradevolissimi contrasti circa i rapporti personali intercorsi durante il matrimonio, contrasti che, finiti in un’aula di Giustizia e messi alla mercé di testimoni e consulenti, finiscono con l’amplificarsi a dismisura, in un carosello di accuse e di controaccuse e di pretese al di fuori di ogni ragionevolezza, in nome del principio secondo cui, per ottenere qualche risultato, è sempre bene richiedere almeno dieci volte tanto.
Il tutto ovviamente con gravissimo pregiudizio per i contendenti ma più frequentemente per i figli, che vengono strumentalizzati quali chiavi di volta per ottenere l’assegnazione della casa ed il mantenimento nella misura più elevata possibile.
A ciò si aggiunga che pur di mettere in cattiva luce e prevalere sull’avversario (cioè l’ex compagno/a), si innesta, con l’ausilio dei propri legali un meccanismo perverso, sfruttando tutte le memorie più intime dell’ex vita coniugale, in una corsa al massacro, che lascia delle ferite personali non rimarginabili o rimarginabili solo con il passare di molti anni.
In questa ottica i figli finiscono sempre per essere coinvolti, in quanto ciascun genitore cerca in costoro un alleato contro le pretese dell’altro, dipingendo l’avversario nel peggior modo possibile.
RIFIUTO DI FREQUENTARE L’ALTRO GENITORE
A seguito di tali eventi che nella casistica non sono affatto rari, capita che i figli pur “costretti” da un provvedimento del Tribunale a frequentare il genitore non collocatario (cioè quello estromesso dall’ex casa familiare) decidano di non recarsi più agli incontri settimanali (normalmente due volte a settimana ed un fine settimana alternato all’altro).
Il rifiuto della figura paterna può verificarsi o in età adolescenziale per una caduta di stima, più o meno indotta dall’altro genitore, oppure semplicemente per stanchezza e per la ripetitività degli incontri settimanali imposti, situazioni in cui il padre ben poco può fare, non sussistendo provvedimento giudiziale che possa travalicare la volontà di un adolescente.
La stessa situazione di rifiuto può ravvisarsi allorché si è in presenza di bambini nati da poco oppure nella prima età infantile, ove la madre è l’unica persona di riferimento ed il padre non più presente a casa è considerato un estraneo.
LE REAZIONI DEL PADRE E LE SANZIONI DI LEGGE
In questi casi i padri spesso reagiscono in maniera aggressiva, accusando la madre di essere lei la responsabile del rifiuto del figlio o della figlia e quindi scatenando le ire del proprio avvocato nelle aule di giustizia.
La legge penale in effetti prevede una serie di sanzioni per il genitore che rifiuta di far vedere i figli all’altro o li sottrae, sotto due profili.
Da un lato ai sensi dell’art. 188 del codice penale, per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, norma che al secondo comma prevede la condanna alla reclusione o la multa per chi elude un provvedimento del giudice civile che concerna l’affidamento di un minore.
Nella pratica però quasi mai si ravvisa tale fattispecie in quanto è praticamente impossibile dimostrare il dolo della madre nell’imporre al bambino il rifiuto della figura paterna.
Per i casi più gravi di allontanamento con il figlio, si può configurare il reato di sottrazione di minore, laddove l’art. 574 c.p. punisce appunto chiunque sottrae un minore di anni 14 al genitore esercente la potestà (ora ai sensi del D.Lgs n. 154 del 28/12/2013 sostituita dalla responsabilità genitoriale).
I PROVVEDIMENTI SANZIONATORI CIVILI
Al di là comunque della configurazione dei reati, per i quali, come detto, è necessario un dolo specifico, la legge n. 54/06 che ha regolamentato l’affidamento condiviso in Italia, introducendo l’art. 709 ter del codice di procedura civile, ha stabilito che “Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni”.
In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore o che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, il magistrato può modificare i provvedimenti in vigore o può anche assumere provvedimenti punitivi che consistono nell’ammonire il genitore inadempiente, nel disporre il risarcimento dei danni nei confronti del minore o del genitore, condannare il responsabile al pagamento di una sanzione amministrativa fino ad un massimo di 5mila euro e ovviamente nella possibilità, nelle fattispecie più gravi, di poter modificare i provvedimenti in vigore in tema di affidamento e collocamento.
Nella pratica giudiziaria raramente, salvo casi di violenze conclamate, si agisce sull’affidamento o sul collocamento che rimangono di appannaggio esclusivo delle madri, quanto piuttosto sul sistema sanzionatorio e quasi sempre con l’ammonimento che costituisce il presupposto di eventuali sanzioni più gravi.
L’ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI: IL GIUDICE TUTELARE
Il Giudice Tutelare ai sensi dell’art. 347 c.c. deve vigilare sull’osservanza delle condizioni che il Tribunale abbia stabilito per l’esercizio della responsabilità genitoriale.
In sostanza questi costituisce il giudice dell’esecuzione, atteso che, in tema di affidamento e collocamento, non si può eseguire il provvedimento andando a prendere i bambini con l’Ufficiale Giudiziario e la Forza Pubblica, contrariamente a quanto molti credono.
Il Giudice Tutelare quindi deve controllare e curare l’esatta attuazione dei provvedimenti emanati dal Tribunale.
Il compito di tale magistrato in effetti è estremamente difficile, da un lato in quanto non può modificare i provvedimenti del Tribunale, (per farlo i coniugi devono ricorrere al procedimento di modifica delle condizioni di separazione e con azione proposta al Tribunale stesso), dall’altro deve tuttavia risolvere situazioni di conflitto, spesso di estrema rilevanza, avvalendosi nel caso della collaborazione degli assistenti sociali, degli psicologi, degli psichiatri o altri consulenti tecnici.
Tuttavia non infrequentemente i Servizi Sociali delle ASL e dei Comuni non sono all’altezza delle situazioni che si prospettano loro, in alcune situazioni per l’inesperienza degli addetti, ma più che altro per la gran quantità dei casi che vengono inviati, così che giungono rapporti alla magistratura spesso frammentari, senza alcun approfondimento e di alcuna utilità.
Il Giudice Tutelare in sostanza non ha che limitati poteri decisionali, in quanto l’attività giurisdizionale che è chiamato a svolgere, è molto diversa dall’attività normale degli altri giudici, dovendosi limitare a rimuovere gli ostacoli che dovesse rinvenire, o almeno a tentare di rimuoverli per il corretto esercizio dei diritti del minore.
Il Giudice normalmente sente i genitori in contraddittorio tra loro e, ove lo ritenga, anche il figlio (dopo l’entrata in vigore del D.Lgs n. 154 del 28.12.2013 è da ritenersi obbligatorio superati i dodici anni) intervenendo nel conflitto tra i genitori e cercando di favorire gli incontri, senza tuttavia procedere in modo coattivo, tenuto anche conto che tutti gli atteggiamenti coercitivi sono da considerare estremamente pericolosi per l’equilibrio psicofisico del minore.
QUANDO IL FIGLIO RIFIUTA
Dunque il soggetto leso, privato dal diritto di visita, potrà rivolgersi al Giudice Tutelare con apposito ricorso richiedendo la convocazione dei genitori per giungere ad una soluzione che possa garantire il diritto-dovere di frequentare i figli.
Va ricordato comunque per ciò che riguarda il punto della mancanza dei poteri sanzionatori, che il Giudice Tutelare, in caso di inadempienza, secondo l’orientamento attuale, pur non potendo agire coattivamente, potrà informare il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni perché proceda nel caso ex art. 336 c.c. in tema di decadenza o riduzione, (ai sensi del D.L.gs. 154/13), della responsabilità genitoriale.
Ricordiamo ancora che quando è pendente il processo innanzi al Tribunale per i Minorenni, o avanti al Tribunale Ordinario, il ricorso al Giudice Tutelare viene sempre dichiarato inammissibile, ed ovviamente il potere di vigilanza erroneamente attribuito al Giudice Tutelare, spetta al giudice del processo in corso.
Il Giudice Tutelare in sostanza interviene a processo definito ed il suo potere concerne l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento e sul diritto di visita relativamente alla prole, sia emessi dal giudice della separazione o del divorzio, che nei processi in tema di convivenza more uxorio.
Tecnicamente le decisioni del Tribunale, pur munite di formula esecutiva, non sono mai considerate titoli esecutivi, al di fuori delle statuizioni di ordine patrimoniale relative ai provvedimenti a tutela dei minori.
QUANDO E’ LA MADRE A RICORRERE
Negli ultimi anni tuttavia molto spesso i ricorsi vengono promossi proprio dalla madre, la quale si trova talvolta incolpevolmente di fronte al rifiuto dei figli di incontrare il padre e pur sforzandosi e sollecitandoli in tal senso, non riesce a rimuovere le opposizioni.
I ricorsi vengono proposti dalla donna anche e soprattutto per evitare di essere coinvolta in procedimenti giudiziari finalizzati ad ottenere le sanzioni previste dalla legge per l’omissione dell’esercizio effettivo del diritto di visita, laddove quasi sempre l’altro genitore sostiene che il rifiuto del bambino derivi proprio dai comportamenti posti in essere dalla madre, o dalle pressioni sul minore, anche se questo non è vero.
I PADRI ASSENTI
Infatti capita spesso, soprattutto nei bambini più piccoli, che la figura materna sia l’unica a cui il piccolo fa riferimento, in quanto il padre non viene riconosciuto come tale, per la sua assenza dalla famiglia derivante semplicemente dalla separazione o dal provvedimento di allontanamento.
Dunque per un bambino piccolo, “il signore che viene a trovarlo due pomeriggi a settimana” viene considerato spesso un estraneo.
Nei ragazzi più grandi, viceversa, il rifiuto deriva anche dalla stanchezza dei continui spostamenti imposti che, in un adolescente, il quale scopre altri interessi, creano soltanto fastidio.
D’altra parte come sanno i magistrati, una volta che si è raggiunta l’età adolescenziale, non c’è giudice o provvedimento esecutivo che possa imporsi su un ragazzo o su una ragazza che decida diversamente.
L’INCOERCIBILITA’ NEL DIRITTO DI VISITA
Nell’attività professionale mi è capitato di vedere situazioni anche gravi di giovani che, ricordando le violenze paterne o atteggiamenti prevaricatori decidono di soprassedere ad ogni forma di contatto con il padre, ragazzini che pur essendo stati prosciolti i padri da accuse infamanti, tuttavia troncavano i rapporti definitivamente, ma anche ragazzini che fuggivano da casa per sottrarsi ai provvedimenti del giudice o ponevano in essere atteggiamenti che evidenziano gravi disturbi della personalità.
L’esperienza mi ha insegnato che in simili casi insistere con un provvedimento giudiziario o con continui incontri, con la mediazione familiare o ancora con gli assistenti sociali, diventa deleterio, essendo più logico rimettersi al rispetto dovuto al giovane senza contrastare i desideri del ragazzo o della ragazza, sperando che con la crescita vengano ripresi i contatti troncati.
I DANNI PROVOCATI DAI SERVIZI SOCIALI
L’intervento dei Servizi Sociali richiesti dal magistrato è certamente utile per rendere ai giudici un quadro di insieme della situazione, dato il modesto tempo che ciascun giudice può dedicare ai singoli casi.
Tuttavia, come detto, talvolta i rapporti di tali organi appaiono tendenziosi e falsano la reale situazione in essere, creando danni non indifferenti dal momento che il Tribunale spesso basa le proprie decisioni proprio su tali rapporti.
In tal senso ricordiamo che la Corte di Cassazione di recente con la sentenza del 21.02.2014 n. 4176 in un ricorso promosso dalla moglie, la quale si era vista comminare l’ammonimento e poi la sanzione pecuniaria di 2.500 euro per avere impedito l’esercizio di visita al minore, rigettava il ricorso della donna condannandola per di più anche alle spese di lite, proprio sulla base dei rapporti degli assistenti sociali.
La questione in diritto sollevata dalla madre era quella della cattiva interpretazione da parte dei Servizi Sociali della situazione de quo e di una cattiva descrizione degli eventi al Tribunale per i Minorenni, costituendo la madre l’unico punto di riferimento per i minori nel rapporto con un padre irresponsabile e artefice di comportamenti delittuosi, (fatti minimizzati a dire della ricorrente da parte dei servizi).
La Cassazione riteneva che l’ammonimento in sé per sé non fosse ricorribile alla Corte Suprema, attesa la natura meramente esortativa della misura e la mancanza di decisorietà.
Per quanto invece riguardava la condanna alla sanzione economica, veniva rigettato il ricorso, in quanto questo era volto a richiedere un non consentito riesame nel merito delle risultanze probatorie, ed in particolare delle univoche conclusioni delle indagini tecniche e della relazione dei Servizi Sociali, non potendo la Corte Suprema entrare nel merito della questione.