Quasi due metri d’altezza, faccia da venditore di hot dog e portafoglio strapieno: Anthony Armstrong Emery, da quando è diventato presidente della squadra di calcio del Monza (Seconda Divisione Lega Pro, attualmente nelle parti alte della classifica), ha conquistato il freddo pubblico brianzolo con i suoi modi entusiasti, la sua voglia di fare e i suoi progetti ambiziosi. Oltre che, naturalmente, con i suoi soldi.

Imprenditore immobiliare poliglotta cresciuto a Londra, laureato all’Università di Nottingham e specializzatosi in Diritto Fiscale in Spagna, Armstrong ha lavorato nell’industria del turismo in Brasile e, tornato in Europa, è diventato imprenditore immobiliare. Quindi, si è stabilito in Sud America, dove si è dedicato al land banking e ha creato EcoHouse Group, multinazionale specializzata nel settore dell’edilizia sociale che oggi ha uffici a Londra, Dubai, Toronto e Singapore, con oltre mille dipendenti e ricavi per oltre 400 milioni di dollari. La scorsa primavera, Armstrong ha acquistato il Monza da Clarence Seedorf, che ne deteneva la proprietà (e la cui gestione è stata ritenuta a dir poco discutibile), con l’obiettivo di creare un grande team che, sfruttando il marchio internazionale della città (conosciuta in tutto il mondo grazie alla Formula 1 e all’autodromo), potesse – nel giro di qualche anno – raggiungere traguardi importanti.

L’avvio pare essere stato positivo: i biancorossi, allenati da Antonino Asta (ex ala del Torino, per qualche tempo anche nel giro della Nazionale), sono ai primi posti del proprio girone, mentre la società ha iniziato a farsi conoscere con eventi promozionali. Armstrong questa estate ha deciso di affidare il marketing nientemeno che a Lapo Elkann e alla sua agenzia, la Independent Ideas, che a settembre ha organizzato l’evento Playing for Children: una sfida tra lo Sky Sport Team e la Nazionale Piloti in occasione della quale sono state, tra l’altro, distribuite bottigliette della Coca Cola con il marchio Stop Racism. Già, perché uno dei punti di partenza dell’attività di Armstrong in Brianza è stato proprio questo, la lotta al razzismo.

Camminando per la città non è difficile imbattersi in pullman con il faccione di Armstrong in posa come lo zio Sam, affiancato dalla scritta “I want you to stop racism. Ac Monza Brianza si schiera contro il razzismo e la violenza nel calcio”. Non solo: le divise ufficiali della squadra non riportano alcuno sponsor, ma presentano semplicemente la scritta Stop Racism (una maglia è stata donata anche a Cécile Kyenge, ministro dell’Integrazione). I mancati introiti per una scelta del genere si aggirano attorno ai 100mila euro, ma il presidente anglo-brasiliano li ha sacrificati volentieri, a favore di una campagna sociale ritenuta fondamentale. Anche per questo motivo, i cori razzisti che il 29 settembre alcuni tifosi hanno rivolto, durante Monza-Rimini, al senegalese Ameth Fall sono rimasti un episodio isolato e immediatamente stigmatizzato dalla società.

Certo, gli stipendi di luglio, agosto e settembre sono stati erogati con ritardo, ma Armstrong (proprietario per altro anche di una polisportiva in Brasile, l’Alecrim di Natal, con squadre di rugby e calcio) non sembra avere, al momento, problemi di liquidità. Un ottimo viatico, se si considera che solo nove anni fa la società veniva dichiarata fallita mentre il campo di allenamento (il Monzello) veniva messo sotto sequestro e le partite dovevano essere giocate a Sesto San Giovanni poiché lo stadio Brianteo non aveva acqua né gas.
Armstrong, invece, oggi sembra pronto a investire, anche e soprattutto in pubblicità: nei prossimi mesi il logo della squadra sarà sfoggiato dalle Ferrari GT (il presidente è un appassionato del Cavallino Rampante, e non è raro vederlo nella città di Teodolinda alla guida della sua Ferrari 458), con l’obiettivo di farlo diventare un brand cool. “Spero che un giorno la maglia del Monza possa essere indossata da un tifoso del Real Madrid o da un londinese”, ha dichiarato non senza ambizioni qualche tempo fa.

A Monza, dove ancora ricordano con tremendo dispiacere la gestione Seedorf (delusioni sotto il profilo sportivo, crisi economica e giocatori di scarsa qualità – tra cui Chedric e Stefano, rispettivamente fratello e cugino dell’attuale allenatore milanista), Armstrong rappresenta uno spiraglio di luce verso il futuro: la speranza che, pur essendo a pochi chilometri da Milano, la città possa costruire una squadra importante, valorizzare il proprio nome e – perché no? – puntare a obiettivi importanti. Un Armstrong sulla Luna ci è già arrivato.

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