La diffusione, soprattutto tra i giovani, dell’uso di internet, insieme con la falsa convinzione di poter operare in forma anonima nascondendosi dietro una tastiera, dà luogo  a comportamenti di estrema leggerezza e di irresponsabilità che portano non infrequentemente ad una severa condanna penale, soprattutto allorché la rete venga utilizzata per diffondere, o minacciare di diffondere, foto o riprese dei momenti intimi con il proprio partner.

La recente sentenza della Cassazione penale n. 45966 del 15 novembre 2013 ci dà l’occasione per affrontare un argomento che sta diventando di estrema attualità.
Si tratta di tutte quelle situazioni nelle quali, all’interno di un rapporto sentimentale o al termine dello stesso, vengano pubblicate su internet immagini erotiche che dovevano rimanere nell’ambito della coppia, con pregiudizi davvero rilevanti a fronte  della superficialità e leggerezza con la quale il materiale  viene messo a disposizione del pubblico.

IL PORNO VENDICATIVO

La questione riguarda tutti gli Stati ad elevato livello tecnologico e tale comportamento viene sanzionato e represso anche con leggi ad hoc.
In California per esempio è in corso di discussione una importante proposta di legge che prevede fino ad un anno di carcere ed il pagamento di elevatissime sanzioni oltre al ristoro dei danni per le ritorsioni di questo genere tramite internet.
Il fenomeno definito in gergo “porno vendicativo” ha lo scopo di danneggiare in genere la propria compagna, ma finisce con il provocare  non infrequentemente pregiudizi personali e danni psichici davvero rilevanti.
Né vanno sottaciute le azioni estorsive, che utilizzano il materiale video nato in un momento di intimità e  in una situazione di legame sentimentale ben differente, proprio allo scopo di punire ed umiliare l’ex partner.
In America il fenomeno sta diventando talmente esteso che gli Stati stanno agendo in modo esemplare, anche perché spesso le conseguenze di simili bravate comportano un danno non solo all’interessata, ma anche alla famiglia ed all’entourage.
In Italia non esiste ancora una normativa ad hoc e pertanto i reati che vengono normalmente contestati sono quelli di diffamazione o di estorsione.

LA DIFFAMAZIONE A MEZZO INTERNET

Poiché nel nostro sistema giuridico l’onorabilità e la reputazione è considerato un bene da proteggere, l’art. 595 c.p. punisce ogni offesa dell’altrui reputazione posta in essere con qualsiasi mezzo di pubblicità.
La sanzione è quella della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a 516 euro.
In realtà pur essendo l’illecito di diffamazione a mezzo internet considerato un reato aggravato, per l’intrinseca caratteristica di essere destinato ad un pubblico vasto, non sembra che la sanzione sia proporzionata al pregiudizio che il soggetto passivo possa ricevere.
E’ pur vero che è possibile proporre direttamente l’azione civile per ottenere un adeguato risarcimento dei danni, tuttavia l’effetto dirompente che un simile comportamento e la diffusione di materiale video intimo provoca nel soggetto leso, è di tale gravità e comporta conseguenze così rilevanti anche sul piano personale e familiare, da far ritenere modesta la sanzione rispetto al pregiudizio che può essere provocato.
Basta ricordare i casi più gravi di ragazze che di fronte ad un’onta simile hanno deciso di togliersi la vita.

LA MINACCIA DI RENDERE PUBBLICHE LE FOTO

Sotto altro profilo viene punita molto più severamente l’estorsione che punisce “Chiunque mediante violenza o minaccia costringe taluno a fare od omettere qualche cosa provocando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
Tale reato di notevole gravità è punito con la reclusione da 5 a 10 anni e con la multa da 516 a 2.065 euro, salvo ovviamente il risarcimento del danno patrimoniale sul piano civilistico.
Nella mia carriera professionale è capitato più volte anche in passato, di occuparsi di minacce di rendere pubbliche le foto di rapporti intimi (all’epoca internet non era ancora diffuso) al termine di un rapporto sentimentale, non sempre per tentare di ricostruire il rapporto, ma in taluni casi anche per ottenere somme di denaro.
In tali casi, pur inviate le immagini in forma anonima, grazie al DNA ricavato dalla saliva utilizzata per chiudere la busta o incollare il francobollo ed alla sicura individuazione del responsabile, sono state emesse severe sentenze di condanna sia in sede civile per importi rilevanti sia in sede penale.
Di recente  ho notato che la gravità del reato non viene compresa non solo dai ragazzi ma neanche dai genitori, che considerano le minacce come una semplice bravata tra giovani, non valutando le conseguenze sul piano personale per il soggetto leso, né soprattutto le conseguenze sul piano giuridico per il soggetto responsabile.

LA VISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Il reato di diffamazione a mezzo internet ex art. 595 c.p., secondo la Corte di Cassazione (ex multis 14/12/2011 n. 46504)è sicuramente da inserirsi tra gli illeciti che emergono da un utilizzo distorto della rete, considerando la Cassazione che internet comporta delle caratteristiche tecnologiche ed informatiche con tematiche del tutto nuove e di non facile soluzione sotto il profilo giuridico.
Ciò che viene pubblicato su internet infatti, pur se oscurato (sempre dopo qualche tempo, tenuto conto dei tempi patologici della nostra giustizia) in realtà rimane acquisito per sempre, in quanto qualunque utente semplicemente può memorizzare il file e, a propria volta distribuirlo in innumerevoli esemplari.
La recente sentenza sopra richiamata viceversa (n. 45966/13) è interessante perché affronta il problema della individuazione del responsabile e della prova, pur se basata soltanto sulle dichiarazioni del soggetto danneggiato.
Anche in tal caso si trattava di un filmato intimo erotico messo in rete che vedeva la danneggiata protagonista del video insieme all’imputato.

IL FATTO

La Corte di Appello di Roma con sentenza del 26.04.2012 confermava la condanna dell’imputato per il reato di diffamazione aggravata, commesso attraverso la diffusione telematica su un sito di condivisione del filmato amatoriale suddetto.
Ricorreva l’imputato in Cassazione contestando che il filmato potesse essere stato da lui inserito in rete anche per un mero errore, così facendo mancare il dolo del reato. Sollevava anche l’eccezione secondo la quale la persona offesa avrebbe potuto diffondere il filmato per mero esibizionismo, non essendo stato possibile al Giudice di merito accertare chi per primo avesse inserito il filmato in rete, e sostenendo come colui che si fa filmare durante un rapporto sessuale normalmente lo fa per diffondere il video.
Inoltre eccepiva che non era stato proiettato il filmato in contraddittorio tra le parti avanti il giudice, il quale non lo aveva ritenuto necessario, ed infine che la sentenza era basata   soltanto sulla dichiarazione della donna, che doveva considerarsi soggetta a legittimo sospetto per il semplice fatto di essersi costituita parte civile.
La Cassazione tuttavia rigettava il ricorso e tutti i motivi dedotti, precisando che non risultava chiaro quale sarebbe stato il valore probatorio della visione del filmato nel contraddittorio tra le parti, rispetto all’organo giudicante, tanto più che il disco  era all’interno degli atti processuali.
Quanto all’esibizionismo mancava qualsiasi elemento probatorio in tal senso, mentre era da considerarsi privo di qualunque pregio il ragionamento secondo il quale in ultima analisi chiunque accetti di riprendere i propri rapporti sessuali intimi, lo faccia inevitabilmente per poi diffonderli.
La tesi secondo la quale egli aveva messo in rete del tutto accidentalmente il filmato, era insostenibile, trattandosi di un evento che non poteva avvenire certamente in modo casuale.
Quanto infine alla responsabilità dell’imputato questa derivava non solo dalle dichiarazioni della persona offesa, ma anche da tutti gli elementi emersi in causa, dal comportamento processuale, dalla circostanza che lo stesso imputato avesse confidato di essere stato l’autore della diffusione del video messo in rete, ed inoltre dell’inutile tentativo del ricorrente di prospettare di volta in volta una diversa ricostruzione del fatto.
Tutti tali elementi combinati tra loro avevano legittimamente convinto il Giudice di merito della responsabilità dell’imputato.

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