Quella appena trascorsa sarà ricordata come una delle settimane più movimentate di sempre per il Parlamento italiano: la Camera dei deputati si è infatti trasformata in un terreno di scontro, tutt’altro che metaforico, fra i parlamentari a 5 stelle, intenti a occupare l’aula e le altre formazioni impegnate a rimuoverli anche fisicamente, con tanto di schiaffi , spinte e parole grosse volate da una parte e dall’altra.
La bagarre è scattata dopo l’approvazione dell’ormai famoso decreto Imu-Bankitalia, il provvedimento che mette assieme la cancellazione della tassa sulla casa con le norme sul riassetto della Banca d’Italia considerata, dai parlamentari pentastellati, un vero e proprio regalo milionario alle banche. Da qui il lungo ostruzionismo a 5 stelle che ha rischiato di buttare via il bambino assieme all’acqua sporca, ovvero di far pagare agli italiani la seconda rata dell’odiata Imu pur di evitare l’ennesima iniezione di denaro pubblico nelle casse del sistema bancario. Ogni decreto ha 60 giorni di tempo per essere convertito in legge, dopo i quali, se il Parlamento non vota la sua riconversione, decade. Così, dopo una lunga fase di ostruzionismo da parte del Movimento di Grillo, mercoledì 29 è arrivata l’escalation finale: il decreto rischiava di decadere se non votato entro la mezzanotte e gli italiani rischiavano, invece, di dover pagare un’altra rata Imu.
La ghigliottina
Per evitare l’impasse, la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha deciso di adoperare, per la prima volta nella storia della Repubblica, la così detta “ghigliottina” cioè un procedimento attraverso il quale si “tagliano” letteralmente gli interventi dell’opposizione atti a rimandare il momento della votazione da parte dell’aula, e si passa direttamente al voto finale. Appena aperte le votazioni nell’aula è scoppiato il putiferio con i deputati pentastellati che hanno dato l’assalto ai banchi del Governo mentre gli altri onorevoli cercavano di arginarli: se non si è trattato di una vera e propria rissa ci si è andati di sicuro molto vicino. Ma le contestazioni non si sono limitate alla sola giornata di mercoledì: dopo gli scontri per l’approvazione del dl Imu-Bankitalia, la bagarre si è estesa anche alla Commissione Affari Costituzionali dopo l’approvazione del testo della legge elettorale. E mentre i grillini occupavano le commissioni, è stato depositato, in entrambi i lati del Parlamento, l’impeachment contro il presidente Napolitano ritenuto, da Grillo e compagni, l’artefice di un sistema che imbavaglia le opposizioni e esautora il Parlamento dalla funzione legislativa affidatagli dalla Costituzione. Praticamente un monarca.
Per capire come stanno le cose bisogna fare un passo in dietro e comprendere, innanzitutto, di cosa si tratta quando si parla di “ghigliottina”. Lo strumento che consente di tagliare i tempi del dibattito parlamentare è presente nei regolamenti del Senato, dove è possibile contingentare i tempi della discussione per passare subito al voto in caso di necessità. Alla Camera invece, il tema di “tagliare” il dibattito, indipendentemente da un preventivo contingentamento, si è posto a partire dalla XIII legislatura. L’allora presidente della Camera Violante ritenne che la cosa fosse possibile e anche il suo successore sullo scranno più alto di Montecitorio, Casini, confermò questa interpretazione. La ghigliottina però non era mai stata usata nonostante i pareri favorevoli degli allora presidenti della Camera: Laura Boldrini, mercoledì, è stata la prima ad adoperarla nella storia della Repubblica. Una responsabilità di certo notevole che però si spiega con la tenace volontà dei grillini di portare l’ostruzionismo sul decreto fino al punto di rottura, allo scontro frontale: senza tagliola oggi dovremmo pagare l’Imu e l’aver accantonato il riassetto Bankitalia sarebbe, probabilmente, una magra consolazione. Quindi nonostante l’uso di uno strumento che in realtà non è scritto esplicitamente nei regolamenti della Camera, la “ghigliottina” è servita per assicurare alla maggioranza il diritto di governare e di far passare un provvedimento, l’abolizione dell’imu, che, a torto o a ragione, è stato una delle sue bandiere fin dall’inizio della legislatura.
Decreto e abuso
Non esiste dunque uno scontro fra Governo e Parlamento perché la maggioranza ha sostenuto l’azione del Governo anche nel caso del tanto discusso decreto Imu-Bankitalia, né, d’altro canto, esiste uno scontro fra Parlamento e Presidenza della Repubblica come l’opposizione pentastellata cerca, erroneamente, di comunicare all’opinione pubblica. Non c’è un monarca che impone al Parlamento le proprie volontà, ma una maggioranza parlamentare che, almeno per ora, sostiene l’azione dell’esecutivo. Se così non fosse, se Napolitano o Letta limitassero davvero le prerogative del Parlamento saremmo già fuori dal parlamentarismo così come lo abbiamo conosciuto dalla Rivoluzione Inglese ad oggi. Ma Grillo, fortunatamente, non è Oliver Cromwell (che per altro una volta al potere si dimenticò ben presto di convocare il Parlamento) e il tentativo di “decapitare Napolitano” probabilmente non gli riuscirà perché la causa dell’impasse parlamentare non è il Presidente ma, semmai, il continuo ricorso alla decretazione d’urgenza il cui uso è diventato sempre più frequente nel corso degli ultimi anni. Governi di destra e di sinistra, tecnici o politici, tutti hanno abusato continuamente dei decreti legge per cercare di accorciare i tempi delle discussioni parlamentari. Se a questa pratica si aggiunge la pessima abitudine di mettere insieme nei decreti gli argomenti più disparati come, ad esempio, il pagamento dell’Imu e il riassetto della Banca centrale, si capisce come si è potuti arrivare al livello di caos parlamentare degli ultimi giorni.
Tuttavia va riconosciuto che più volte in passato i presidenti della Repubblica hanno stigmatizzato l’eccessivo ricorso all’uso dei decreti legge: in una lettera inviata ai presidenti di Camera e Senato il 27 dicembre 2013, Napolitano scriveva: «numerosi sono stati i richiami formulati nelle scorse legislature da me – in presenza di diversi Governi e nel rapporto con diversi Presidenti delle Camere – e già dal Presidente Ciampi alla necessità di rispettare i principi relativi alle caratteristiche e ai contenuti dei provvedimenti di urgenza stabiliti dall’articolo 77 della Costituzione e dalla legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988.», perciò l’inquilino del Quirinale invitava Grasso e Boldrini a «verificare con il massimo rigore l’ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione». Proprio per evitare che nei decreti da convertire in legge finisca tutto e il contrario di tutto, Napolitano ricordava che : «questi principi sono stati ribaditi in diverse pronunce della Corte Costituzionale, nella sentenza n. 22 del 2012 dove la Corte ha osservato che “l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alle finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere e i provvedimenti provvisori con forza di legge”. Rinnovo pertanto l’invito contenuto in quella lettera ad attenersi, nel valutare l’ammissibilità degli emendamenti riferiti ai decreti legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità, anche adottando – se ritenuto necessario – le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari». Se dunque la protesta dei 5 Stelle è giusta nel criticare un emendamento che cerca di salvare capra e cavoli mettendo assieme l’Imu e le banche, il vero problema sta nel rapporto, ormai definitivamente incrinato, fra tempi parlamentari ed esigenze legislative. Se l’ abuso dei decreti legge serve ai governi per accorciare i tempi delle discussioni parlamentari, con l’andar del tempo si rischia di snaturare la stessa essenza parlamentare della Repubblica: un circolo vizioso da cui non si esce con l’occupazione delle aule o con la messa in stato d’accusa di Napolitano. L’unica strada percorribile è premere il piede sull’acceleratore delle riforme istituzionali cercando di rinnovare il processo legislativo e gli organi che se ne occupano in modo da adeguarlo ai tempi che corrono e alla necessità di maggiore rapidità decisionale. Certo non è facile riformare completamente il sistema istituzionale del Paese e il rischio di un passo falso è sempre dietro l’angolo, tuttavia è l’unica strada percorribile. Forse è tempo che anche Grillo lo capisca e si sieda al tavolo delle riforme.