Dai gender studies fino alla militanza quotidiana sul campo o nel web il femminismo dell’ultimo decennio ha avuto il merito di aprire infuocati dibattiti sulla rappresentazione dei corpi delle donne puntando il dito su quanto questa abbia influenzato l’immaginario collettivo, la cultura e la simbolizzazione del reale, su quanto, in particolare, incida sull’autostima delle donne costituendo un unico sguardo esterno da corrispondere.
In Italia si è potuto sviluppare il dibattito, che rimaneva nelle retrovie, in concomitanza con lo choc delle orge dell’ex presidente del consiglio che avevano come protagoniste donne appartenenti al sottobosco televisivo, e comunque espressione dei canoni culturali proposti dalla televisione dell’era Berlusconi.
Esistono, ben oltre Berlusconi che ne è solo interprete e fruitore, diversi generatori di culture o meglio ancora di “norme” come la moda appunto, la pubblicità, la televisione o anche il web quando si fa cassa di risonanza dello stesso main stream. Ma, probabilmente grazie al web, si è svelato massivamente l’inganno del fotoshop, si sono veicolate proteste, reazioni, analisi e commenti.
Questo neo femminismo virtuale ha prodotto i suoi frutti. Sposta il fuoco sulla soggettività femminile, elimina lo “sguardo dell’altro” come componente identitaria, ma soprattutto non liquida la femminilità lasciando però che siano le donne a scegliere quale sia la propria.
Tentativi di spiegare questo neo femminismo rimbalzano nella politica e generalmente vengono capiti male e spiegati peggio dai media. Tuttavia mentre la politica cerca di capire, è la percezione delle donne e quindi delle acquirenti che sta cambiando. Allora è il mercato, cioè il più grande inventore e artefice della “donna oggetto”, che sta facendo tentativi sempre più evidenti per adattarsi. Due novità, ad esempio, arrivano in questi giorni dalla moda. La prima dallo stilista statunitense Rick Owens che ha presentato a Parigi la sua collezione Primavera Estate 2014 rinunciando alle modelle anoressiche e puntando sulla bellezza di una performance evocatrice di scenari di potere e di guerra eseguita da ballerine di danza afro cubana dalle cosce tornite e dai corpi per nulla rispondenti ai canoni abituali. Il video su youtube di questo singolare défilé è stato visualizzato in pochissimo tempo da almeno un milione di visitatori. Lo stilista ha lanciato così alle acquirenti un messaggio chiaro: “io vi ho capite, siete in guerra”. In politica si direbbe che si è schierato, tanto che il Financial Times titolava un articolo che lo menzionava “Nella moda è tornato il femminismo”.
Altra novità, dagli Usa – che ha fatto talmente scalpore da finire nelle trasmissioni televisive più popolari con una pubblicità gratuita non da poco – proviene da una casa di moda di intimo che per pubblicizzare i suoi prodotti si è servita di belle ragazze, ma al naturale e quindi: ventre un po’ rigonfio, qualche traccia di cellulite, il colore non uniforme della pelle…Con questa scritta: “la ragazza in questa foto non è stata ritoccata. La vera te stessa è sexy”.
Siamo sempre nel settore della vendita, con tutte le ambiguità e la scivolosità che può comportare, ma è sicuramente un segnale di controtendenza particolarmente significativo.
Se il corpo è stato il terreno di scontro di questi anni, ben oltre la vendita e nel solco tracciato dal femminismo nell’ultimo decennio è l’invenzione tutta italiana dello “psico- burlesque” della psicoterapeuta Luana De Vita:
“nella mia esperienza di psicoterapeuta le donne sono fin troppo impegnate sul fronte sociale famiglia-lavoro-figli, per cui finiscono col guardarsi e definirsi con uno sguardo esterno. Si guardano confrontandosi con i modelli che gli arrivano, cercando spesso di uniformarsi perdendo la loro vera natura femminile: le donne costrette dentro stereotipi si sono dimenticate quanta energia dia invece giocare con corsetti autoreggenti tacchi alti – ai quali hanno rinunciato – col proprio corpo insomma, senza che tutto questo sia per forza connesso con la bellezza femminile determinata dai canoni del consumo”.
Il burlesque nasce nell’Inghilterra dell’800 per prendere in giro la nobiltà, e gioca con dei personaggi, che non si spogliano mai totalmente: la casalinga, la segretaria, la dama… insomma è fondamentale interpretare un personaggio sulla scena con delle storie di pochi minuti purché siano ironiche e divertenti. E’ dunque un’ arte complessa che include il travestimento il ballo, il trucco e l’interpretazione.
“Noi abbiamo lavorato sulle facce e le emozioni, ed è ben oltre che un corso di teatro. Nello psico burlesque si cerca di lavorare sull’alter ego femminile al quale non viene mai dato permesso di esistere, magari perché si pensa che il ruolo non sia adeguato alla vita che si conduce. E’ quindi un mezzo per giocare con l’ immagine di sé, con un’altra che siamo noi. I corsi si fanno in tenuta da burlesque: autoreggenti, corsetti, corpetti, cose che normalmente non si usano ma che ti costringono a una sorta di disvelamento e a chiarirsi cosa è femminile. Si lavora dunque sulla scelta del ‘nostro personaggio’ ed è liberatorio perché è fondamentale essere fuori dalle imposizioni e dai condizionamenti. Del resto ci sono donne molto grasse che sono superlative e altre che hanno corpi bellissimi ma che non esprimono niente di femminile”.
E se questo sembrerebbe ricalcare gli schemi della seduzione-per-forza imposta dal mercato, in realtà siamo oltre: “Le fotografie e le immagini per la vendita di prodotti sono molto più vicine alla pornografia. Tempo fa girava un gioco su facebook in cui a partire da un dettaglio si doveva indovinare se era una foto di moda o una pornografica. Era impossibile progredire e fare un punteggio alto talmente le immagini le posizioni e le facce erano praticamente le stesse”
E per quanto riguarda i vantaggi nella vita quotidiana De Vita sottolinea:
“L’importante è seminare il cambiamento. Dare la possibilità di avere una prospettiva diversa, un nuovo paio di occhiali, poi ognuna ne fa quello che vuole per dare spazio ai cambiamenti che vuole”.