A quasi due mesi dalla storica sentenza della Corte Costituzionale che ha definitivamente mandato in soffitta il Porcellum, un’altra legge elettorale sta muovendo i primi passi nelle aule parlamentari e proprio in questi giorni è stata depositata presso la commissione Affari Costituzionali della Camera: è l’Italicum nuovo sistema elettorale partorito dal recente incontro fra il Segretario Pd, Matteo Renzi, e il dominus di Forza Italia, Berlusconi.
Benché si tratti solo di una bozza, la proposta di legge ha già incuriosito molti italiani che da tempo (8 anni) aspettano una nuova legge elettorale. Per orientarsi nella giungla delle questioni di natura costituzionale servirebbe una guida esperta come, ad esempio, Stefano Rodotà, giurista e costituzionalista fra i più noti in Italia.
L’orizzonte dei diritti
L’occasione per interpellare l’ex candidato al Quirinale più amato dai grillini è arrivata martedì 21 quando, giunto in città per inaugurare l’anno accademico della “Scuola di Roma”, costola dell’”Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”, Stefano Rodotà ha tenuto una lezione dal titolo “L’orizzonte dei diritti”. Noto al grande pubblico per aver “sfidato” Giorgio Napolitano nella corsa al Quirinale nel 2013, Rodotà è nato a Cosenza nel 1933, è stato docente di Diritto nelle università di Macerata Genova e Roma, ha insegnato presso prestigiosi atenei in America e nel 1979 è entrato per la prima volta in Parlamento come indipendente, eletto nelle liste del P.C.I. Garante della privacy dal 1997 al 2005, è stato presidente dell’Agenzia europea dei diritti e ha contribuito a scrivere la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In una fase storica in cui la richiesta di diritti è globale e non più esclusiva della “Ragione occidentale”, l’orizzonte dei diritti si amplia a dismisura diventando un concetto problematico che merita di essere analizzato in modo tutt’altro che superficiale. Inizia così la lectio magistralis di Rodotàche prosegue sottolineando come «l’ampliarsi incontrollato di istanze disparate che chiedono di entrare nel “catalogo dei diritti”, provoca l’inflazione di quest’ultimi a discapito soprattutto dei diritti sociali: in un periodo di crisi economica i primi a essere rimessi in discussione sono i diritti oggi detti “a prestazione”». Se da un lato c’è dunque il problema della «retorica dei diritti», dall’altro c’è quello dei diritti sociali che vengono vissuti come un peso perché hanno bisogno di risorse in un periodo di recessione. Da qui lo scambio, che oggi sembra avvenire sotto i nostri occhi, fra diritti sociali e diritti civili: la politica, non riuscendo a concedere i diritti sociali, concede (o prova a concedere) i diritti civili con più facilità di un tempo (ius soli, unioni civili ecc.). «I diritti sociali sono oggi vissuti con fastidio e la politica non sta facendo la sua parte di fronte alla richiesta di diritti. Questo avviene anche perché è difficile rintracciare, nei nostri tempi, un soggetto storico titolare dei diritti. Nell’età moderna questo soggetto era la borghesia, poi affiancata dalla classe operaia. Oggi esistono solo delle “parzialità” prive della forza politica per imporsi come destinatarie dei nuovi diritti: il soggetto storico viene identificato un giorno con la classe precaria e quello appresso con la classe hacker. Nonostante la ricerca di un nuovo soggetto storico sia ancora in corso, non si possono sospendere i diritti in attesa di identificarlo con certezza».
Il divario fra diritto e politica
C’è dunque una divaricazione fra diritti e politica che sta strutturando anche antropologicamente la nostra società, in senso negativo. Tutto ciò avviene perché la politica è subalterna all’economia: « Oggi non è il diritto a invadere il campo della politica e a limitarne l’azione bensì l’economia perché impedisce alla politica di redistribuire le risorse necessarie a mettere in atto i diritti sociali». Uno dei temi più controversi e ricorrenti nella società dei diritti è, infatti, quello dell’ invasione di campo del “giuridico” nell’ambito del “politico”: in Italia, e non solo, si ha l’impressione che la Politica venga espropriata delle sue competenze dal Diritto. Secondo Rodotà il tema della perdita di efficacia della politica è problema vero ma che in questa fase avviene per opera della sfera economica e non di quella del diritto. Certo l’ampliarsi della sfera d’azione dei giuristi è «un esercizio di grande responsabilità e come tale andrebbe gestito. La commissione dei Saggi che doveva proporre le riforme al Parlamento, ad esempio, è stata una deformazione inaccettabile» – continua Rodotà – «non capisco come ci si sia potuti prestare a questa operazione». La dialettica fra principi giuridici e discrezionalità della politica è sempre attuale, soprattutto in un Paese come l’Italia. Uno dei casi più evidenti di questo “scontro” è proprio la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha abolito la legge elettorale in vigore fino ad un mese fa, supplendo, di fatto, ad una “assenza” della politica. La consulta ha chiarito che« non ci sono zone franche, il legislatore non può pensare, nello scrivere una legge costituzionale, di essere libero da vincoli costituzionali e di avere una discrezionalità totale – ha affermato il noto costituzionalista- «la Corte Costituzionale non poteva rinunciare ad esprimersi in merito e, bocciando il referendum abrogativo, aveva già dato un segnale alla politica. In quel caso il referendum non è stato ammesso perché, come ha motivato la Corte, non si può lasciare il Paese privo di una legge elettorale: in caso di scioglimento delle Camere ci sarebbe stata la paralisi istituzionale. Inoltre i cittadini, con il loro voto referendario, avrebbero anche potuto scegliere di tenersi il Procellum, ma questo non poteva avvenire perché la legge presentava un chiaro vulnus di costituzionalità. La politica non è stata in grado di cogliere il segnale e riformare la legge e la Consulta non ha potuto fare a meno di intervenire». La discussione, approdata alla più stretta attualità si scalda e qualcuno chiede al giurista se non si sia trattato di una sentenza politica: «No perché la Consulta non ha imposto una nuova legge elettorale» – ha chiarito Rodotà – «se avesse, ad esempio imposto, con la sentenza, il ritorno al Mattarellum , allora ci sarebbe stata un ingerenza, ma non è stato così». A questo punto chiediamo a Stefano Rodotà un’opinione sulla bozza di legge elettorale elaborata da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi: risponde ai principi di costituzionalità e ai rilievi della Consulta o presenta, come il precedente sistema, degli elementi di incostituzionalità? Ecco cosa ci ha risposto il giurista:
L’Italicum è costituzionale?
«”Voglio leggere il testo”. Questa potrebbe essere la risposta difensiva perché il diavolo si annida nei dettagli. Tuttavia si possono fare già alcune considerazioni : io non enfatizzo la questione dei listini bloccati perché su questa questione la Consulta ha riconosciuto la discrezionalità della politica, perché se c’è una riconoscibilità del candidato il listino non sarebbe contrario al dettame costituzionale. Non ci si può trincerare dietro le parole della Corte che ha semplicemente detto che su questo punto vale la discrezionalità della politica perché allora la politica dovrebbe mettersi d’accordo con se stessa, non può dire “l’ha detto la corte, chissenefrega se fino ad oggi abbiamo criticato il Parlamento dei nominati”. Il Porcellum era abnorme perché la trasformazione dei voti in seggi e la rottura di ogni rapporto fra eletto ed elettore deprimeva la facoltà di scelta libera e volontaria da parte dell’elettore. Ora l’Italicum mette insieme tre elementi: un premio di maggioranza implicito, derivante dall’eredità del sistema spagnolo, uno esplicito per chi supera il 35% e una soglia di accesso del 5% per le liste singole che diventa dell’8% per quelle coalizzate. La somma di questi tre fattori combinati assieme potrebbe fare emergere dei dubbi di costituzionalità. Detto questo aspetto di leggere il testo». Il divario fra diritto e politica sembra dunque ben lontano dall’essere colmato, almeno per ora, e in futuro potrebbero esserci altri momenti “ad alta tensione” come quelli vissuti negli ultimi giorni del 2013. Ciò nonostante l’orizzonte dei diritti può e deve ampliarsi sempre di più accogliendo le rivendicazioni della società e degli individui, una battaglia da affrontare innanzitutto in Europa, dove la carta dei Diritti Europea, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati, viene costantemente ignorata. Costruire dunque un’Europa e una società dei diritti alternativa a quella in cui viviamo oggi.