Nell’estate 2011 la lettera d’intenti dell’allora premier Berlusconi alla Commissione europea, sui “compiti a casa” imposti dopo la crisi speculativa estiva, citava anche il conflitto di interessi derivante dal cumulo di incarichi elettivi (“Verrà rafforzato il regime di incompatibilità fra le cariche elettive ai diversi livelli di governo“).
In conformità, il decreto-legge n. 138/2011 di Tremonti adempiva alle istanze pubbliche, anche europee, prevedendo l’incompatibilità tra le cariche di parlamentare (nonché le cariche di governo) da un lato, e “qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti” dall’altro lato. Quell’articolo 13 comma 3 era chiarissimo nel senso che l’incompatibilità travolgesse tutte le posizioni esistenti alla “data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto” (la scadenza sarebbe caduta sul 22 dicembre 2012, data del decreto del Presidente della Repubblica n. 226 del 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 2012).
Eppure in questa legislatura è stato approvato, in totale controtendenza, l’articolo 29-bis della legge n. 98 del 2013: per suo effetto, chiunque sia stato eletto a cariche monocratiche in enti pubblici territoriali prima del 17 settembre 2011, anche se eletto parlamentare il 25 febbraio 2013, non è più incompatibile con la carica di sindaco di comune fino a 20.000 abitanti; chiunque sia diventato membro del Governo successivamente al 22 dicembre 2012, o lo diventi in futuro, non è più costretto ad abbandonare la carica di sindaco di comune fino a 20.000 abitanti; chiunque diventi a maggio 2014 componente italiano del Parlamento europeo, non è più incompatibile con la carica di sindaco di comune fino a 20.000 abitanti. Non solo così si frustra lo scopo della norma del 2011, ma si autorizza il cumulo delle cariche per chi si voglia candidare nelle prossime elezioni amministrative.
Si tratta della disposizione normativa che ha ricevuto applicazione nell’ordinanza Tribunale civile di Foggia 6-10 dicembre 2013 nel caso Angelo Cera contro Comune di San Marco in Lamis, destinato a fare giurisprudenza nell’ormai travagliatissima vicenda delle incompatibilità parlamentari. (copia dell’ordinanza è nei documenti allegati)
Il giudice pugliese, adito dal sindaco del comune convenuto, ha dichiarato l’illegittimità della delibera del locale consiglio comunale che aveva dichiarato decaduto il Cera dalla carica. Il tribunale, correttamente, la qualifica “illegittimità sopravvenuta”: la delibera comunale era del 17 giugno 2013 (quindi prima dell’entrata in vigore dell’articolo 29-bis), per cui entra a pieno titolo nella “forchetta” temporale tra la conversione del decreto Tremonti e l’entrata in vigore (9 agosto 2013) della “disciplina transitoria” per i sindaci che, al momento in cui Tremonti prescriveva, erano già in carica. È ben vero che, in sede parlamentare, la natura della norma era passata da quella di “interpretazione autentica” a quella di “disciplina transitoria”, superando almeno semanticamente le obiezioni che si possono fondare sulla sentenza n. 210/2013 della Corte costituzionale. Ma il sospetto che aleggia, sul caso odierno, non è dissimile: se si considerava malposta la norma, o indigesto il “metodo Tremonti”, la strada per un’abrogazione dell’articolo 13 comma 3 era apertissima; bastava spiegarlo all’Europa ed ai cittadini. Qui però, sotto le spoglie della norma transitoria (a quasi due anni dalla norma!), si voleva determinare un effetto retroattivo: esattamente quello che si è avuto caducando le delibere assunte da comuni, come quello di San Marco in Lamis, assunte facendo affidamento sul tenore letterale della disposizione del 2011.
L’applicazione della norma transitoria avvalora il sospetto che il Legislatore del 2013 intendesse frapporsi alla giurisprudenza costituzionale sul punto: quella cominciata con la sentenza n. 143 del 2010 (secondo cui “il potere discrezionale del legislatore di introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo tra le due cariche trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione”), proseguita con la n. 277 del 2011, con la n. 67 del 2012 e culminata sentenza 3-5 giugno 2013, n. 120. Ma il problema potrebbe trascendere le pur interessanti conseguenze della pronuncia foggiana (che, stante la decisione di scioglimento del consiglio comunale senza sindaco, dopo l’ordinanza oggi si trova paradossalmente nella situazione esattamente speculare, di un sindaco reintegrato senza consiglio comunale). Esso è la spia di un interessante mutamento di prospettiva verso lo strumento giurisdizionale, che aveva avuto inizio presso il Tribunale civile di Asti, con la sentenza n. 687 del 10 settembre 2008, nel giudizio instaurato dall’azione popolare volta a far decadere da presidente della provincia di Asti per incompatibilità la deputata Anna Teresa Armosino.
Benché allora la decadenza fosse richiesta solo in virtù degli articoli 62 e 63 del TUEL (e quindi solo ai fini della decadenza da presidente di provincia) e benché nel merito l’azione popolare fosse stata respinta, un’allarmatissima Giunta delle elezioni della Camera si riunì il 24 settembre 2008 per “la possibile interferenza della citata pronuncia giudiziaria con le prerogative costituzionali della Camera dei deputati in materia di accertamento delle cause di incompatibilità dei propri componenti”. La tesi sostenuta dalla Giunta della Camera era che il Tribunale avrebbe dovuto pronunciare in rito il difetto di giurisdizione, invece di procedere all’esame del merito del ricorso (sia pur per poi respingerlo). La Giunta concluse all’unanimità per proporre alla Presidenza della camera l’elevazione da parte della Camera dei deputati di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del tribunale di Asti, volto a rivendicare il potere della Camera di accertare in via esclusiva e definitiva la compatibilità con il mandato parlamentare delle cariche elettive, ricoperte da deputati, per le quali non siano previste specifiche incompatibilità da vigenti norme costituzionali o legislative, e ciò sul presupposto che solo una espressa previsione normativa di incompatibilità abiliti non solo le Camere ma anche autorità esterne al Parlamento al relativo accertamento. Nella seduta del 27 gennaio 2010 la stessa Giunta apprese che la Camera aveva ritenuto di non sollevare (ancora) conflitto e si dovette confrontare coll’opposto problema della deputata Armosino che si faceva forte della pronuncia del tribunale civile di Asti per ritenere acclarata la sua compatibilità: anche in tale sede la Giunta insistette che “la sentenza del tribunale di Asti non dispiega alcuna efficacia vincolante nei confronti della Giunta delle elezioni, che resta libera di esercitare una propria competenza, esaminando la questione della compatibilità delle cariche in questione, e di pervenire anche a conclusioni opposte a quelle cui è giunto il tribunale di Asti, ferma restando in tale eventualità la possibilità per l’autorità giudiziaria di sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti della Camera impugnando una delibera parlamentare che fosse ritenuta lesiva del richiamato principio di intangibilità del giudicato”.
L’onorevole Armosino, prima vittima dell’inserzione del potere giudiziario nel “dominio riservato”, cerca poi di farsene forte per impedire esiti difformi in Giunta rispetto a quello, tutto sommato, a lei favorevole conseguito ad Asti. Ora, per ottenere “tutela”, l’onorevole Cera non ha pensato che fosse produttivo nascondersi dietro la “giurisdizione domestica” – ex art. 66 Cost., sui titoli dei parlamentari – della sua Camera di appartenenza: è stato più efficace (avendoci dalla sua la sopraggiunta norma transitoria) rivolgersi al giudice ordinario. Dobbiamo attenderci analoga linea di condotta anche nei casi delle incompatibilità governative? Che la legge Frattini intesti del potere di accertamento un’Autorità indipendente, significa forse che – nell’inerzia di quella – aliunde non è possibile ottenere lo stesso risultato decadenziale? Se così non è, ci potranno essere nuovi interventi legislativi “transitori”?
Il problema, latente sin dalla costituzione del governo Letta, potrebbe esplodere in ordine alla situazione del Sottosegretario per i trasporti che mantiene la sindacatura di Salerno. È vero: la città del Golfo supera i 130 mila abitanti e Vincenzo De Luca non è parlamentare. Ma per le cariche di Governo (ministro, viceministro, sottosegretario, commissario straordinario di governo) la norma di Tremonti, al suo esordio, fa espressamente salva la legge Frattini, che già prevede una generale incompatibilità (articolo 2, comma 1, lettera a) ) a “ricoprire cariche o uffici pubblici … di amministratore di enti locali”)? Il metodo seguito nel caso Cera può essere “clonato” per altri casi?
Il pericolo di ingerenza legislativa in processi in atto (che può confliggere con l’articolo 6 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: v. anche sentenza della Corte costituzionale 22-29 maggio 2013 n. 103, che menziona la ricca giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo), comunque, si estende alle azioni popolari, ai sensi degli articoli 69 e 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000, finalizzate all’accertamento della condizione di incompatibilità per la carica locale. Il gioco che si è inaugurato nella Capitanata potrebbe condurre ben più lontano dell’opposta dorsale appenninica, ed approdare tra le brume alsaziane della città di Strasburgo.
Tribunale di Foggia, prima sezione civile, ordinanza depositata il 10 dicembre 2013