A Catanzaro un uomo di sessant’anni, Pietro Lamberti, ha avuto una relazione con una bambina di 11 anni affidata ai servizi sociali dove lavorava lo stesso Lamberti.
La ripugnanza che suscita una relazione sessuale tra un anziano e una bambina, che vive per suo infelice destino in condizioni di abbandono, è aggravata dal tipo di affidamento totale che immaginiamo avesse nei confronti di quest’uomo che doveva invece proteggerla.
Il Lamberti pertanto è stato condannato in Appello a cinque anni di reclusione. Secondo la difesa dell’uomo, la Corte d’Appello avrebbe negato la richiesta di considerare, per la quantificazione complessiva della pena, l’attenuante del “caso di minore gravità” previsto dall’articolo 609 quater del codice penale. Inoltre, sempre per ottenere una riduzione della pena, il condannato aveva provato ad offrire come risarcimento alla vittima, come previsto dal nostro ordinamento, 40 mila euro. E’ una cifra che la Corte di Appello ha respinto come incongrua per il danno psicologico subito dalla bambina senza però indicare e documentare il danno e il relativo risarcimento considerato eventualmente “congruo”.
Questi gli unici due punti del ricorso accolti dalla Cassazione che ha quindi annullato la sentenza rinviando il processo nuovamente alla Corte d’Appello di Catanzaro . Il giudice di rinvio dovrà in sostanza decidere se accogliere le due attenuanti e, nel caso, rivedere l’intero trattamento sanzionatorio.
La condanna non è minimamente in discussione.
Tuttavia questo tecnicismo assieme all’uscita della notizia spiegata male dall’unica fonte giornalistica, il Quotidiano della Calabria, ha scatenato analisi grottesche da parte di Libero e il Giornale che hanno trovato ancora una volta il modo per prendersela con i soliti giudici cattivoni: “Per la cassazione tra sessantenne e undicenne è amore”, “le stranezze della Cassazione” etc, ma dall’altra ha giustamente sollevato una serie di interrogativi che girano in rete: dei giudici ritengono che sia ipotizzabile un’ attenuante della pena di Lamberti? Come è possibile?
Lo abbiamo chiesto a Luana De Vita criminologa e psicoterapeuta.
“Chiariamo innanzitutto che l’uomo non è stato assolto, come ho letto in giro. La condanna per il reato resta. La Cassazione si è pronunciata in merito alla pena che si vuole comminare. Cioè quanti anni devono essere? Per l’Appello sono cinque. La Cassazione non ha detto affatto che sia sbagliato ha solo detto: spiegate meglio il perché. Non è stato motivato in modo congruo il perché non si è accettato il risarcimento che il condannato aveva proposto, e perché non si sono considerate le attenuanti previste in alcuni circostanze nei casi di violenza sessuale. Anche se sembra cinico dover calcolare quanto danno ha subito quella bambina dobbiamo tenere presente che la legge “pretende” queste definizioni, per questo si usano le perizie. E attenzione. Un conto è la nostra riprovazione – noi lo vorremmo condannare anche a cento anni – e un conto è la legge. Se si decide che la legge è uguale per tutti, è uguale anche per quest’uomo che può meritare il pubblico disprezzo, ma deve essere giudicato correttamente dai tribunali e secondo il nostro regolamento.
Perché nei media si dice che i giudici hanno visto i margini “di una relazione amorosa” tra l’uomo e la bambina, il che attenuerebbe le responsabilità di Lamberti?
La difesa aveva posto in rilievo che l’atto sessuale avveniva nell’ambito di “una relazione amorosa”, semplicemente per giustificare “tecnicamente” la richiesta dell’attenuante di “minore gravità”, la violenza carnale, lo stupro, per intenderci, con violenza fisica e coercizione è cosa diversa da una relazione sentimentale in cui si configura il reato di “violenza sessuale” proprio perché il nostro codice non riconosce ai minori di 14 anni la capacità di esprimere il consenso all’atto sessuale. Un atto sessuale tra un adulto e un minore di anni 14 è per il nostro ordinamento è una violenza sessuale su minore, sempre e comunque. L’informazione nei media dovrebbe spiegare queste cose non seminare il panico.
Non è perfino ovvio che una minore è abusata, a 11 anni? Cosa si deve dimostrare?
Certo. Ma i distinguo si fanno per calcolare gli anni di reclusione. La nostra normativa distingue “l’ atto sessuale su minore compiuto con violenza o minaccia” (violenza sessuale propria) e “atto sessuale su minore consenziente”(violenza sessuale presunta o impropria). L’età della vittima viene suddivisa poi in due fasce: minore fino a 10 anni o dai 10 ai 14, ma in nessun caso, fino a quattordici anni, il minorenne può validamente consentire al compimento di atti sessuali. Infatti parliamo sempre di reato di violenza sessuale. In questa storia, siamo in presenza del reato di violenza sessuale impropria di minore di età compresa tra i 10 e i 14 anni, e la pena prevista dal nostro codice penale è la reclusione da 5 a 10 anni. Infatti l’uomo è stato condannato a 5 anni. L’ambito è quello della violenza, non è mutato.
Che ne sarà di questa bambina…?
Da quanto si apprende dalla sentenza della Cassazione, la bambina ha una situazione famigliare difficilissima. La piccola viveva una situazione di privazione emotiva e affettiva: speriamo che incontri servizi in grado di tutelarla. Purtroppo i cinque anni di detenzione al suo carnefice o i dieci, i cento anni di condanna, non cambieranno e non cambierebbero di una virgola la sua storia. Se qualcuno ancora pensa che introdurre pene a vita funziona come deterrente per i comportamenti criminali, la letteratura scientifica evidenzia il contrario. Neanche la pena di morte ha mai funzionato per ridurre i reati per cui è prevista nei paesi in cui è prevista.
Dobbiamo lavorare sulla cultura e sull’educazione sessuale, sull’educazione emotiva e affettiva, degli adulti e dei bambini. Purtroppo non esistono “agenzie” che realmente si occupano di questo, le distorsioni che ne derivano sono agghiaccianti. Nella mia esperienza da psicoterapeuta ho toccato con mano tantissime storie di donne che nella loro intimità portano i segni di violenze e abusi da amici, familiari, parenti subiti in giovanissima età. In molti casi hanno vissuti di “colpa” perché in qualche modo si sentivano “innamorate” o provavano “piacere” e non riescono a tollerare i loro i vissuti emotivi e il contemporaneo ribrezzo per l’abuso subito. I giornali che trattano la vicenda della Corte di Cassazione come se fosse l’assoluzione di un pedofilo oltre a essere triste, è gravissima. Non vorrei che qualcuno che volesse molestare una bambina possa pensare a un’assoluzione possibile. Quanto descritto finora nei media è solo una fantasia basata sull’incapacità di comprendere il linguaggio del diritto”.
Cassazione, sezione terza penale, sentenza 45179 depositata l’8 novembre 2013