Si presentò un giorno ad uno dei sette re di Roma, Tarquinio Prisco (o forse Tarquino il Superbo), una vecchina straniera e gli propose di acquistare nove libri di oracoli divini.Il re chiese il prezzo e lei fissò una somma così spropositata che il sovrano, divertito, credette che farneticasse.
Allora la donna bruciò tre dei libri e chiese la stessa somma per i rimanenti. Il re rise anor di più. E la vecchia ne bruciò altri tre mantenendo lo stesso prezzo per gli ultmi rimasti. Tarquinio, di fronte a questa fermezza, rimase colpito e convocò gli àuguri in consiglio: tutti furono dell’avviso di dare all’anziana donna quanto chiedeva. I tre libri furono così acquistati e posti nel tempio di Giove Capitolino. La vecchia a quel punto scomparve: era una sibilla e aveva consegnato a Roma un grande strumento oracolare, i favolosi Libri sibillini.
Ma chi erano le sibille? Vergini dotate dagli dèi di capacità profetiche. E’ caratteristica dei popoli antichi e di quelli cosiddetti primitivi cercare discorsi oracolari di ispirazione divina o semidivina dalle labbra di donne quasi sempre anziane. E’ il caso, per esempio, della maga di Endor, ricordata nell’Antico Testamento e della famosa Pizia greca. Una tradizione racconta che la prima sibilla fu una fanciulla che si chiamava appunto così, Sibilla, figlia del troiano Dardano e di Neso. Dotata del dono della profezia, ebbe gran fama di divinatrice e il suo nome fu dato a tutte le profetesse.
Tra le sibille va anche ricordata Erofilea, originaria di Marpesso, nella Troade, figlia di una ninfa e di un mortale. Nata prima della guerra di Troia, predisse la distruzione della città per cvolpa di una donna nata a Sparta (Elena, naturalmente). A Delo si cantava un inno che ella aveva composto in onore di Apollo e nel quale lei stessa si definiva sposa legittima e anche figlia del dio. Erofilea portava sempre con sé una pietra sulla quale montava quando profetizzava.
Più nota è la sibilla Eritrea, originaria della Lidia. Subito dopo la nascita crebbe istantaneamente, si mise a profetare in versi e i genitori la consacrarono ad Apollo. Visse, si dice, nove vite d’uomo, ciascuna di 110 anni. Secondo una tradizione, questa sibilla va identificata con quella Cumana, che risiedeva appunto a Cuma, in Campania. Anche per lei si parla di una lunghissima vita: si racconta infatti che Apollo, amandola, promise di esaudire il primo desiderio che ella avesse espresso. La donna chiese di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva stringere in pugno. Dimenticò tuttavia di chiedere, allo stesso tempo, una permanente giovinezza. Il dio, per verità, gliela offrì in cambio della sua verginità, ma lei rifiutò. Così diventò sempre più vecchia, sempre più piccola e rinsecchita, tanto da sembrare una cicala e da poter essere tenuta chiusa in una gabbietta appesa nel tempio di Apollo a Cuma. I bambini le chiedevano: “Sibilla, cosa vuoi?”. E lei, stanca, rispondeva: “Voglio morire”. Quando arrivò alla fine, secondo un leggenda, si dissolse in polvere, logorata dagli anni e dall’estenuante fatica del profetare. Ma non morì la sua voce, che rimase in eterno a divinare. E’ Plutarco a raccontare che, dopo la sua morte, un sant’uomo, Tespescio la udì predicare dalla Luna la morte dell’imperatore Vespasiano.
Era la sibilla Cumana, secondo alcuni, quella che si presentò a Tarquinio per vendere i Libri Sibillini. Ed è sempre lei che, per Virgilio, guida Enea nella sua discesa agli Inferi. Sempre Virgilio racconta un suo strano modo di dare oracoli: “Troverete in fondo a una grotta una sibilla che annuncia agli uomini i segreti dell’avvenire; scrive i suoi oracoli su fogli volanti che ella sistema nella caverna, dove essi restano nell’ordine che ha ritenuto opportuno dar loro. Ma accade a volte che il vento, quando si apre la porta, sparpagli i fogli qua e là; la sibilla disdegna il raccoglierli e rifiuta di ristabilire l’ordine dei versi. Coloro che vengono a consultarla, frustrati così nelle loro speranze e non ricevendo alcun responso, se ne ritornano maledicendo la sibilla e il suo antro”.
Molte altre sibille sono ricordate da Varrone, citato da Lattanzio: sibilla Persica, nuora di Noè; Libica, figlia di Giove e di Lamia; Delfica, figlia del tebano Tiresia; Smia, Frigia; Tiburtina, onorata a Tivoli; Ellespontia.
A questo punto può essere interessante notare alcune particolarità delle sibille. Sono, come detto, possedute da un dio. Si tratta, peraltro, di un possesso psichico o spirituale. Le sibille, infatti, sono vegini e tengono particolarmente, come pure s’è visto, alla loro verginità. Esse però possono essere penetrate dal dio anche attraverso vie che, come si sarebbe detto nell’800, l’onestà non permette di nominare. Alludiamo, per esempio, alla più nota sibilla greca, la Pizia che, nel tempio di Apollo a Delfi, sedeva su un tripode e riceveva il sacro fumo della profezia attraverso l’utero. E’ per questo che la ricordata Erofilea poteva cantare di essere figlia e sposa del dio. Ne era figlia in quanto, fin da bambina, consacrata a lui; e sposa perché da lui penetrata. Del resto, ancor oggi le suore, che pur hanno fatto voto di castità, vengono chiamate spose di Cristo.