Anamorphosis
di Fausto Romitelli
Amok Koma, Domeniche alla periferia dell’impero, La Sabbia del tempo, Nell’alto dei giorni immobili, Blood on the Floor
Talea Ensemble diretto da James Baker
Cd Tzadik TZ 8087
Compositore dal linguaggio al tempo stesso sapiente e sovversivo, Fausto Romitelli (nato nel 1963 e morto prematuramente nel 2004, dopo una lunga malattia, allievo di Franco Donatoni, Tristan Murail, Gérald Grisey, Michaël Levinas, Hugues Dufourt) ha sempre posto il suono al centro della sua ricerca musicale. Voleva un suono sporco, violento, di origine metal e techno, da forgiare attraverso la manipolazione delle sue caratteristiche fisiche e percettive (grana, spessore, porosità, luminosità, densità, elasticità), un suono fatto di «densità insostenibili», allucinate, con distorsioni e interferenze, capaci di generare un senso di vertigine. Dall’idea di distorsione e anamorfosi prende anche il titolo questo bel cd (prodotto da John Zorn e registrato nel marzo del 2012) dove l’americano Talea Ensemble offre un’esecuzione cristallina e molto musicale di cinque lavori piuttosto rari del compositore goriziano, che colmano anche alcuni vuoti della sua discografia. Si tratta di due lavori dei primi anni Novanta, segnati ancora dall’influenza di Grisey: Nell’alto dei giorni immobili (1990) con le sue estese armonie spettrali, e La sabbia del tempo (1991) dominato da una materia pulviscolare e sospesa. Le altre tre composizioni registrate in questo cd, composte tra il 2000 e il 2001, mostrano invece tutta l’originalità dell’idioma musicale di Romitelli: in Domeniche alla periferia dell’impero il suono dei quattro strumenti viene compattato in un unico magma sonoro, intorno a una linea melodica ripetuta ossessivamente, creando un sottile gioco di accumulazioni, di microvariazioni, un turbinio di figure dal carattere caleidoscopico; in Blood on the floor, Painting 1986 (ispirato a of Francis Bacon) l’iniziale sostanza sonora sospesa, carica di inquietudine, si trasforma in un vortice, fitto e labirintico, dal ritmo inesorabile, dall’incedere pulsante, fatto di glissati di fiati e lunghi trilli degli archi, di ondate di suono che danno l’idea di un dolore acuto e lacerante; i materiali eterogenei di Amok Koma vengono infine sottoposti a processi di ripetizione e di degradazione, spinti verso gli estremi del silenzio e della saturazione, scanditi da accordi del pianoforte e delle percussioni metalliche, che conferiscono al pezzo un carattere ritualistico.
Giove in Argo
di Georg Friedrich Händel
solisti: Ann Hallenberg, Theodora Baka, Karina Gauvin, Anicio Zorzi, Johannes Weisser, Vito Priante
Il Complesso Barocco diretto da Alan Curtis
3 cd Virgin 7231162
Händel si trasferì a Londra nel 1711 e per vent’anni raccolse grandi successi come operista. Quando però decadde la moda dell’opera italiana cominciò a dedicarsi al genere dell’oratorio, e solo occasionalmente ritornò al melodramma. Anche nel 1939, preso dalla composizione degli oratori Saul e Israel in Egypt, scrisse un’opera, Giove in Argo, in tempi estremamente brevi: si trattava in realtà di un «pasticcio», ottenuto assemblando pezzi già composti (per i ruoli maschili riprese arie già scritte, trasponendole da originali per voci femminili), ma inserendo molti episodi corali (ricavati soprattutto dal Pastor fido e Aci e Galatea) per compiacere il pubblico che applaudiva i suoi oratori, e scrivendo una grande quantità di musica nuova. Quest’opera pastorale racconta gli amori di Giove che si traveste da pastore (col nome di Arete) e si inoltra tra i boschi dell’Argolide per corteggiare Iside, figlia del re Inaco e promessa sposa del principe egiziano Osiri (che a sua volta si finge pastore col nome di Erasto), e Calisto, figlia del re Licaone. Del manoscritto originale ci sono rimasti solo frammenti, ma grazie al lavoro del musicologo John Roberts (che ha anche rintracciato due arie di Francesco Araja, utilizzate da Händel) è stato possibile ricostruire la partitura completa, pubblicata nel 2012. Questa edizione è stata diretta da Alan Curtis al Festival Händel di Göttingen e Halle, poi a Hannover, a Vienna e alla Coruña. E questo box ne è la prima incisione. Curtis, insieme al suo Complesso barocco, si dimostra ancora un esperto händeliano, dirigendo con flessuosità e naturalezza, anche se in alcune scene sarebbe stato preferibile staccare tempi più rapidi e imprimere maggiore energia. Bravissime Iside e Calisto, interpretate da due fedelissime di Curtis, il mezzosoprano Ann Hallenberg e il soprano Karina Gauvin. Ottime anche la prove vocali del basso Vito Priante, nei panni di Erasto, e del giovane tenore Anicio Zorzi Giustiniani, che difetta solo nella caratterizzazione il personaggio di Giove.
Concerto per pianoforte K.459, Concerto per flauto e arpa K.299, Sonata K.545
di Wolfgang Amadeus Mozart
Xavier de Maistre (harp)
Orchestra del Mozarteum di Salisburgo diretta da Ivor Bolton
Cd Sony 88765439922
Per più di dieci anni è stato arpista nell’orchestra dei Wiener Philharmoniker. Ora Xavier de Maistre è una star internazionale dell’arpa. La star del momento, che ha avuto anche il merito di liberare il suo strumento da alcuni pregiudizi “femminili”, legati al suono morbido e diafano, ai generi da salotto, di ridargli dignità di solista, nelle sale da concerto, al pari del pianoforte. De Maistre si muove abilmente nella non vasta letteratura per l’arpa, dedicandosi molto alla musica da camera (in collaborazione con musicisti come Diana Damrau, Mojca Erdmann, Baiba Skride, Arabella Steinbacher, e la flautista Magalie Mosnier, che lo affianca anche qui nel doppio concerto di Mozart), eseguendo musica contemporanea (per lui hanno scritto, tra gli altri, Krzysztof Penderecki e Kaija Saariaho), elaborando lui stesso numerose trascrizioni. In questo cd, primo suo cimento mozartiano, interpreta ad esempio il celebre concerto in do maggiore per flauto, arpa e orchestra (composto da Mozart nel 1778 per il duca Adrien-Louis de Bounières, flautista dilettante, e per sua figlia arpista), insieme a due arrangiamenti dello stesso de Maistre (il Concerto per pianoforte in fa maggiore K.459, e la sonata per pianoforte in do maggiore K.545, conosciuta anche come «Sonata facile»). In tutti questi pezzi si ammira la perfetta fusione di agilità e di forza dell’arpista di Toulon, il senso drammatico che riesce a imprimere a queste pagine, la varietà di colori e sfumature dinamiche, la naturalezza e leganza nelle fioriture, il delicato lirismo che emerge soprattutto nei tempi lenti dei due concerti, accompagnati con grande sensibilità da Ivor Bolt e dall’Orchestra del Mozarteum.
Der Grossinquisitor
di Boris Blacher
Solisti: Siegmund Nimsgern
Rundfunkchor Leipzig e Dresdner Philharmonie diretti da Herbert Kegel
Cd Brilliant BRIL 9437
Compositore tedesco conosciuto soprattutto per la sua produzione strumentale come le Variazioni su un tema di Paganini (1947) e la Concertante Musik (1937), Boris Blacher (1903-1975) compose l’oratorio Der Großinquisitor (Il Grande Inquisitore) in due fasi distinte: la prima parte nel 1942, la seconda nel 1945, quando le sue sorti erano ai minimi termini, bandito dai nazisti, vittima di una forma di tubercolosi, costretto a rifugiarsi in Austria, nella casa di suo allievo, Gottfried von Einem, per completare la partitura. Scritto su libretto di Leo Borchard e ispirato ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij, questo oratorio per baritono, coro e orchestra si articola in 14 brevi numeri musicali, che raccontano il ritorno sulla terra di Gesù, nel XVI secolo a Siviglia, quando centinaia di eretici venivano mandati al rogo su ordine del Grande Inquisitore, decritto come l’intermediario del Diavolo (la descrizione degli eretici bruciati per la gloria di Dio è un esplicito riferimento al destino degli ebrei durante l’Olocausto). La musica di Blacher è apertamente tonale ma con un accentuato carattere drammatico, una scrittura molto ritmica, piena di venature stravinskijane, un’orchestrazione trasparente, spesso rarefatta, possenti pagine corali. Eseguito per la prima volta a Berlino nel 1947 (col baritono Jaro Prohaska e la Staatskapelle di Berlino diretta da Johannes Schüler), quindi dopo la fine della guerra, l’oratorio fu inciso per la prima e unica volta nel maggio del 1986 alla Lukaskirche di Dresda (ed è questa l’edizione che viene ora ridigitalizzata dalla Brilliant), con l’esperto Siegmund Nimsgern nei panni dell’Inquisitore e l’eccellente Dresdner Philharmonie diretta con grande vigore da Herbert Kegel, autentico paladino del Novecento storico.
Lodoïska
di Luigi Cherubini
Solisti: Nathalie Manfrino, Hjördis Thébault, Sébastien Guèze, Philippe Do, Armando Noguera, Pierre-Yves Pruvot, Alain Buet
Choeur Les Eléments e Le Cercle de L’Harmonie diretti Jérémie Rhorer
2 cd Naive AM209
L’opera Lodoïska fu messa in scena per la prima volta al Théâtre Feydeau di Parigi il 18 luglio 1791. Fu accolta con grande successo e divenne in breve molto popolare. Fu replicata più di 200 volte, ripresa a Vienna nel 1805, di nuovo a Parigi nel 1819, e poi in diversi teatri della Germania. Questa «comédie-héroique» in tre atti, scritta su libretto di Claude-François Fillette-Loraux, tratto dal romanzo Les Aventures du Chevalier de Faublas di Jean-Baptiste Louvet de Coudray, ha una trama simile a quella della mozartiana Entfuhrung aus dem Serail, ma ambientata in Polonia nel XVII secolo: la giovane Lodoïska, figlia di un nobile polacco, è tenuta prigioniera nella torre del castello del malvagio barone Dourlinski, mentre l’amato Floreski cerca di salvarla con l’aiuto del servo Varbel. Opera ricca di sfide cavalleresche, con il finale assalto dei tartari al castello e la liberazione della ragazza, Lodoïska appartiene al genere dell’«opéra à sauvetage», che ha come tema la liberazione dalla prigionia, tema non nuovo nell’opéra-comique, e che avrà grande influenza, di lì a pochi anni, sul Fidelio beethoveniano. Nell’originale partitura di Cherubini l’interesse si concentra non sulla melodia o sulle parti vocali, ma su una scrittura orchestrale assai elaborata, carica di tensione, ricca di intrecci polifonici (soprattutto nei pezzi d’insieme), modellata più sugli esempi sinfonici mozartiani che su quelli del melodramma, basata su un uso modernissimo dell’armonia, piena di cromatismi e di dissonanze. Tutti aspetti messi in bel risalto nell’appassionata direzione di Jérémie Rhorer, che sfrutta bene anche il suono graffiante della sua orchestra di strumenti originali, Le Cercle de l’Harmonie. È la seconda incisione di Lodoïska dopo quella live di Muti alla Scala, nel 1991 (Sony S2K 47290), e il cast non sfigura al confronto: la Lodoïska di Nathalie Manfrino dimostra un grande impeto drammatico, il baritono Armando Noguera interpreta con verve e arguzia la parte di Varbel. E se la cavano dignitosamente anche i due tenori, di fronte a parti assai impegnative: Sébastien Guèze è un Foreski appassionato, Philippe Do un dinamico e elegante Titzikan, il capo dei tartari.
Concerto per violino in re maggiore op.77
di Johannes Brahms
Tre Romanze per violino e pianoforte op.22
di Clara Schumann
Violino Lisa Batiashvili
Staatskapelle di Dresda diretta da Christian Thielemann
Cd Deutsche Grammophon DGG 4790086
Al suo secondo cd con la Deutsche Grammophon, e con la Staatskapelle di Dresda diretta da Christian Thielemann (cd registrato alla Lukaskirche di Dresda), Lisa Batiashvili affronta il Concerto per violino in re maggiore di Brahms: è un’esecuzione insieme elegante e avvincente, più lirica che eroica, soprattutto nell’Adagio (letto come un’«appassionata dichiarazione d’amore» di Brahms per Clara Schumann). La violinista georgiana sfoggia una tecnica sopraffina e una naturale eloquenza, che le permette di affrontare con grande espressione e fluidità anche i passaggi più difficili. Sfrutta il suono luminoso del suo violino (uno Stradivari del 1775 che appartenne a Joseph Joachim, dedicatario del Concerto), modellando ogni frase con infinite sfumature. Sofisticata anche la scelta di suonare la cadenza scritta da Busoni (non quella di Joachim), che accompagna il violino con inquietanti rulli di timpani. Thielemann coglie il grande respiro sinfonico della partitura e restituisce la trama polifonica con grande trasparenza, varietà di colori, flessibilità di tempi, sottolineando la forza plastica del primo movimento, e il grande dinamismo del finale, col suo sapiente gioco di contrasti tra accenti tzigani ed eroici. Il riferimento a Clara Schumann nell’Adagio spiega anche l’abbinamento del Concerto con le tre Romanze per violino e pianoforte (anche queste scritte per Joachim), suonate con grande sensibilità dalla Batiashvili, accompagnata la pianoforte da Alice Sara Ott.
3 Grandes Études Op. 76, Sonatine, 2 petites pièces Op. 60
di Charles-Valentin Alkan
Pianoforte Alessandro Deljavan
Cd Piano Classics PCL0051
Il 2013 è stato il centenario di Verdi e Wagner, ma non solo. È stata anche l’occasione per riscoprire autori meno conosciuti, come Charles-Valentin Alkan (1813-88), celebre al suo tempo come «tecnico del pianoforte», per le sue opere smisurate e dalla difficoltà inaudita. Bambino prodigio, fu amico di Liszt e Chopin, rivaleggiò da pianista con Thalberg e Kalkbrenner, grazie alla sua prodigiosa tecnica pianistica, alla grande velocità di esecuzione. Fu ammirato da Luigi Cherubini, da Ferruccio Busoni, da Anton Rubinstein, da Hans von Bülow, che lo definì il Berlioz del pianoforte per la sua capacità di ricavarne timbri e amalgami di tipo orchestrale. Alkan fu un musicista schivo, visse sempre a Parigi, senza viaggiare, dedicandosi poco all’attività concertistica per consacrarsi alla composizione, alla continua ricerca delle possibilità offerte dal pianoforte. La grande fantasia sonora, unita ad un approccio profondamente spirituale con la musica (fu un grande studioso della Bibbia e del Talmud), lo spinse a creare numerose raccolte di studi che superano per difficoltà anche gli Studi trascendentali di Liszt. Alessandro Deljavan (ventiseienne pianista di Giulianova, diplomatosi a Milano, perfezionatosi con Dimitri Bashkirov, Laurent Boullet, Fou Ts’ong, Dominique Merlet, John Perry, Menahem Pressler, Andreas Staier) fa qui il suo debutto con Piano Classics, e affronta alcuni dei pezzi più noti ed eseguiti di Alkan, cogliendone il carattere insieme sublime e intimistico, capriccioso e appassionato. La sua lettura è nitida e sicura, sia nei Deux Petites Pièces op.60, dal respiro romantico, sia nei diabolici quattro movimenti della Sonatine op.61, sia nei Trois Grandes Etudes op.76: uno per la mano sinistra, uno per la mano destra, e una toccata velocissima con le due mani in ottava.
Le sacre du printemps, Sinfonie per strumenti a fiato, Apollon musagète.
di Igor Stravinskij
Berliner Philharmoniker diretti da Simon Rattle
Cd Emi 723611
Tra i vari anniversari musicali quest’anno ricorre anche il centenario del Sacre di Stravisnkij, che fu rappresentato con grande scandalo a Parigi il 29 maggio 1913, e poi riconosciuto come uno dei capolavori di tutta la musica del XX secolo. Per celebrare questo centenario Simon Rattle (già vincitore nel 2011 di un Grammy Award per le sue incisioni stravinskijane della Sinfonia in do e della Sinfonia di salmi) si è cimentato di nuovo con la partitura del Sacre, che aveva già inciso due volte nel 1977 e nel 1987, con la National Youth Orchestra and the City of Birmingham Symphony. La sua lettura è vivida e lussureggiante, mostra uno straordinario spettro dinamico, un sottile uso del rubato, una grande finezza formale. Rattle si dimostra soprattutto un grande maestro del colore, per la rotondità di suono che riesce ad ottenere anche negli accordi martellati, per la pienezza di ogni impasto, per la morbidezza degli archi, per il carattere e la sensualità negli assoli dei fiati, per la capacità di mettere in risalto ogni rtimbro anche negli insiemi più densi. Il cd è completato dalle Sinfonie per strumenti a fiato, eseguite nella versione originale del 1920, con un organico di 24 strumenti che comprendono anche flauto contralto e clarinetto contralto; e dal balletto Apollon musagète (nella versione del 1947), diretto con un’attenzione meticolosa ai dettagli, con sonorità ampie, avvolgenti, e una consistenza vellutata nelle textures degli archi.