Uno Stato membro che non possa trasferire un richiedente asilo verso lo Stato competente per l’esame della richiesta è tenuto a identificare un altro Stato membro competente. Allo stesso tempo, non è obbligato ad esaminare la domanda.

La pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea è quasi lapidaria nella chiarezza con la quale esprime il principio giuridico. La sentenza 14 novembre 2013 C-4/11 è però più del suo principio: nel dare indicazioni sull’iter corretto per la presentazione e la trattazione delle domanda di asilo, aggiunge in due punti delle esortazioni a guardare oltre la stretta osservanza della normativa per riuscire a vedere, oltre il testo di legge, la persona dietro una richiesta d’asilo.

La vicenda – Ad essere chiamato in causa è il regolamento “Dublino II” del 18 febbraio 2003 con cui si stabiliscono i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo. Nel caso esaminato un cittadino iraniano aveva presentato la propria richiesta d’asilo al Tribunale amministrativo di Francoforte sul Reno, pur essendo entrato in modo irregolare dalla Grecia. La prima decisione di espellere il cittadino iraniano verso la repubblica ellenica era annullata per illegittimità e la vicenda aveva iniziato ad avvitarsi su se stessa e sulle questioni pregiudiziali per le quali si è infine deciso di ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Il dubbio da sciogliere – Il giudice del rinvio si interrogava sulla possibilità di un richiedente asilo di invocare l’obbligo per lo Stato membro al quale ha presentato la domanda di esaminare la domanda sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento. E qui c’è il primo sguardo della norma oltre la prassi procedurale: il discrimine è infatti la presenza o meno di fattori di rischio per i diritti fondamentali nello Stato membro senza dubbio competente.
L’attenzione prestata dai giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea si fa più discreta nell’esaminare tutto l’impianto dell’articolo 3 per pervenire alla pronuncia, guardando alla persona che c’è dietro la richiesta d’asilo. Se è vero che non esiste l’obbligo – e la Cgue lo ribadisce – di esaminare la domanda quando non si è lo Stato competente, ciò non toglie che il giudice cui è stata sottoposta la questione non può, semplicemente, invocare la propria incompetenza. Egli è tenuto a sapere quale sia la situazione in materia di rispetto dei diritti fondamentali nel Paese competente; è obbligato a individuare lo Stato che dovrà esaminare la questione; e tutto in tempi tali da non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali già in essere.

Motivi seri e comprovati – Oltre la norma e la procedura si intravede pertanto la trama del pensiero politico che ha disegnato il Regolamento. La pronuncia ha il merito di sottolinearne l’ordito nel marcare con chiarezza gli elementi sui quali i giudici nazionali devono muoversi per assumere le proprie decisioni nella “quotidianità” dei tribunali: eliminando con un colpo di spugna il pensiero per cui uno Stato incompetente può semplicemente ignorare la richiesta d’asilo attraverso il trasferimento del richiedente verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente, i giudici europei ricordano che il discrimine è l’impossibilità di ignorare le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti nello Stato membro competente.
Qualora ricorra tale condizione, non si crea come conseguenza un obbligo ad esaminare la richiesta d’asilo sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento n. 343/2003 – che resta una facoltà dello Stato stesso – ma con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sotto un braccio e il Regolamento a portata di mano, lo Stato è tenuto a proseguire l’esame dei criteri per identificare un altro Paese membro della Ue competente in base all’enunciato del Capo III del Regolamento 18 febbraio 2003 o, in mancanza, in base all’articolo 13.

Il quadro Eurostat – Secondo Dublino II competente ad esaminare la domanda d’asilo è lo Stato membro in cui per primo mette piedi il cittadino extracomunitario: peccato che i Paesi “di frontiera” come Italia, Spagna e Grecia siano molto rigorosi nell’accogliere la richiesta e quindi i cittadini extracomunitari preferiscono inoltrare la domanda di protezione in altri Paesi, temendo che questa venga rigettata.

A fronte di 11.195 richieste nel 2012 Atene ha risposto con 11.095 rifiuti, ovvero quasi il 100% . I dati Eurostat, la media delle domande respinte in prima istanza (i richiedenti hanno la possibilità di fare ricorso) è del 73,4%. Al 14% è stato concesso lo status di rifugiato politico, al 10 quello della protezione sussidiaria e al 2 il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.
L’Italia è sotto la media europea dei respingimenti: delle 21.705 domande presentate nel 2012, 13.900 (il 64%) sono state le risposte negative. Il maggior numero di domande è stato registrato in Germania (77.500 richiedenti, il 23% dei totali), seguita da Francia (60.600, pari al 18%), Svezia (43.900, pari al 13%), Regno Unito (28.200, 8%) e Belgio (28.100, 8%).
In attesa che si trovi l’accordo su un sistema – il Seca – con cui uniformare gli standard di accoglienza.
Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 14 novembre 2013 Causa 4-11

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