MILANO. Dal 29 ottobre al 15 dicembre il Triennale Design Museum ospiterà, negli spazi del Design Café (viale Alemagna, 6), “RECUPERO” una importante iniziativa dell’Associazione Culturale Artwo, a cura di Valia Barriello. Artwo, galleria romana di arte utile, produce oggetti di design ideati da artisti contemporanei e realizzati, in serie limitata, all’interno di strutture di detenzione. I prodotti della collezione derivano dal recupero di materiali e semilavorati e si posizionano sul labile confine che separa l’arte dal design. In occasione della mostra, gli artisti saranno affiancati da alcuni importanti designer italiani che per l’evento progetteranno un oggetto che verrà realizzato all’interno della casa circondariale di Rebibbia di Roma dai detenuti del laboratorio Artwo.
I designer che hanno deciso di aderire al progetto Artwo con una loro opera sono: Riccardo Dalisi, Alessandro Mendini, Alessandro Guerriero, Paolo Ulian, Duilio Forte, Lanzavecchia-Way, Massimiliano Adami, Andrea Gianni e Sara Ferrari. A rappresentare gli artisti Carlo De Meo, Stefano Canto, Yonel Hidalgo, Ivan Barlafante, Michele Giangrande, Francesco Graci e Fabio Della Ratta. Creare nuovo dal nuovo mediante l’utilizzo di materiale povero dando a oggetti della vita comune nuova forma e adeguato utilizzo. Su queste basi e in linea con il consiglio che diede Henri Matisse ad un amico: “Vedere tutte le cose come fosse la prima volta” nasce l’Associazione Artwo nel 2005.
Nell’ottica del fondatore Luca Modugno e dei numerosi artisti e designer entrati a far parte della famiglia Artwo, la strada da perseguire e da percorrere diventa quella dell’ecosostenibilità, del pensiero laterale, del riuso e della decontestualizzazione, non tralasciando mai la volontà di essere legati al bello, perché alla fine il bello è tutto quello che rimane, o che dovrebbe rimanere. Il risultato è la produzione di oggetti inediti, disponibili ad essere letti sotto una luce diversa, spiazzante. Non solo. La grande versatilità, innovazione ed etica di quest’Associazione sta nell’avere a cuore il presente. Presente che comprende quella parte di società a cui non sempre e non incondizionatamente viene data possibilità di redenzione. La Costituzione Italiana con l’Art. 27 sancisce che “le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato”, intendendo rieducazione quale reinserimento nella società. Artwo vuole occuparsi anche di questo; vuole creare un circolo virtuoso che parta dal carcere e arrivi fuori, per accogliere quelle persone che hanno voluto imparare un mestiere da detenuti, e che possono continuare a farlo da donne e uomini liberi. Forte del suo spirito profondamente orientato al sociale, Artwo crede al valore decisivo della bellezza artistica nei luoghi in cui la libertà non appartiene al gioco del quotidiano. La fusione di questi principi ha portato la produzione degli oggetti Artwo nel laboratorio appositamente creato all’interno della Casa Circondariale di Rebibbia in un rapporto continuo e diretto tra artisti, designer e detenuti. La filosofia e lo spirito di Artwo non potevano infatti non sposarsi con l’arte di “arrangiarsi” da sempre dimostrata dai detenuti nella maestria a dare altre funzioni e nuovo utilizzo ai pochi oggetti con cui vengono a contatto.
Artwo ha iniziato quindi il suo percorso tra arte, design, ecosostenibilità e realtà sociale. Prima producendo oggetti e complementi d’arredo provenienti dalla decontestualizzazione di materiale d’uso comune, ideati e firmati da artisti contemporanei prodotti in tiratura limitata; poi affidando a designer progetti senza limiti di produzione. Dal 2011 Artwo è anche una Cooperativa Sociale: ArtwoLab. Lo scopo della Cooperativa ArtwoLab è accogliere i detenuti del laboratorio interno al carcere quando, alla fine della pena, escono in semilibertà o in affidamento, aiutando in questo modo il loro reinserimento nella società. “Rompere le barriere – afferma Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum -. Fare della detenzione un momento di rieducazione e di recupero di una coscienza civile invece che la semplice applicazione di una pena: se l’ingresso del design in carcere raggiungesse anche solo questo obiettivo sarebbe per me un dato positivo. Ma il design in carcere non produce solo coscienza e comunità, ma anche artefatti di un’eccezionale qualità che meritano un palcoscenico, come quello del bancone del DesignCafé, che li ospiti e li renda visibili a chiunque li voglia vedere. Sono felice che la mostra abbia fornito l’occasione per estendere anche ai designer la possibilità di prendere parte a questa nuova esperienza progettuale”.
“In un luogo come gli istituti di detenzione, caratterizzati da una mancanza diffusa – scrive Valia Barriello – è quasi un istinto naturale fare tesoro di tutti i materiali di recupero e scarto che si hanno a disposizione e di riutilizzarli o assemblarli per costruire oggetti. L’Associazione Culturale Artwo ha intuito questo bisogno primario e lo ha tradotto in laboratori pratici in cui i detenuti possono ricreare oggetti ideati da artisti con materiali di recupero. Il laboratorio di Artwo offre ai detenuti l’occasione di rimettere in pratica, per chi già ne era a conoscenza, le tecniche di lavorazione artigianale e di imparare, per chi ne era digiuno, tutti i segreti di un vero e proprio mestiere. Il lavoro in situazioni di privazione di libertà nobilita maggiormente l’uomo che si sente ancora utile per la società”.