L’operazione “Mare Nostrum”, varata dal Governo italiano per far fronte all’emergenza degli sbarchi clandestini, sta muovendo in queste ore i primi passi… sulle acque del Mediterraneo. Due gli obiettivi della missione: rafforzare il dispositivo di sorveglianza delle frontiere marine dell’U.E. e dell’Italia, e provvedere al soccorso in mare di quanti, donne e bambini in primis, rischiano quotidianamente la vita per sfuggire alla guerra, alla fame e alla miseria.
Un’operazione umanitaria e militare allo stesso tempo, messa in piedi dopo il tragico naufragio del 3 ottobre in cui hanno perso la vita quasi quattrocento persone. Un episodio che ha rappresentato l’apice di un’emergenza infinita: negli ultimi 4 anni i migranti morti nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo sono stati 3.832, 1.800 dei quali sono deceduti nel triangolo di mare compreso fra Libia, Tunisia e Sicilia. Per far fronte alla “Strage del Mediterraneo”, il dispositivo militare dell’operazione “Mare Nostrum” schiererà cinque unità navali, mezzi anfibi e dieci unità fra aerei, droni ed elicotteri che si andranno ad aggiungere alle forze della Marina, della Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto già impegnate, da settimane, a soccorrere le migliaia di persone in arrivo dal Nord Africa.
Frontex, Eurosur ed Hermes
I costi esatti dell’operazione non sono noti, ma secondo il Sole 24 ore, si potrebbe arrivare a spendere fino a dieci milioni di euro al mese. Ma il Governo italiano non è stato l’unico a muoversi in questi giorni per cercare soluzioni all’incalzante crisi umanitaria. La scorsa settimana è stato varato, dal Parlamento Europeo, riunito a Strasburgo in seduta plenaria, Eurosur, il sistema per rafforzare la sorveglianza delle frontiere dell’Unione Europea. Il nuovo dispositivo europeo, approvato a larga maggioranza (479 voti favorevoli, 101 contrari e 20 astensioni), avrà il compito di individuare, prevenire e combattere l’immigrazione clandestina e la criminalità transfrontaliera e di pattugliare le frontiere per soccorrere i migranti in pericolo di vita. Eurosur sarà operativo dal 2 dicembre prossimo in 18 Paesi: Bulgaria, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia e, dal 2014 farà il suo debutto anche negli altri Stati membri. Anche in questo caso droni e satelliti sorveglieranno le frontiere dell’U.E. e ogni Stato dovrà mettere in piedi un centro nazionale di coordinamento per Eurosur che fungerà da punto di scambio di informazioni con gli altri Paesi. Per quanto riguarda il budget, Eurosur potrà disporre di 35 milioni di euro l’anno di cui 19 presi dal bilancio di Frontex di cui Eurosur si configura come un ulteriore rafforzamento. Ma cos’è Frontex?
Frontex è l’ agenzia per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati dell’Unione Europea. L’agenzia è attiva dal 2005 e ha come principale obiettivo quello di aiutare le autorità di frontiera dei diversi Paesi europei a lavorare insieme. Frontex coordina la cooperazione fra gli Stati membri in materia di intelligence, gestione e controllo delle frontiere esterne. Fornisce appoggio agli Stati membri in operazioni di rimpatrio di clandestini e mette a disposizione gruppi di intervento rapido. Frontex ha sede a Varsavia, Polonia, e nel 2012 ha raggiunto un budget di quasi 85 milioni di euro. (http://www.frontex.europa.eu/assets/About_Frontex/Governance_documents/Budget/Budget_2012.pdf)
A fronte di queste ingenti risorse impiegate fino ad ora, non sembra che l’agenzia abbia fatto significativi passi in avanti per risolvere i drammatici problemi delle frontiere marittime dell’Ue, che hanno visto il Mediterraneo trasformarsi, in questi anni, in un “mare di morte”. Anzi l’operazione Hermes, messa in campo da Frontex nel 2011 proprio per soccorrere i naufraghi nelle acque di Lampedusa, è rimasta a corto di fondi, tanto che si è deciso di riallocare due milioni di euro del budget dell’agenzia, dando priorità all’Italia e protraendo l’operazione Hermes fino a novembre. Così facendo Frontex ha però esaurito tutte le risorse annuali dell’agenzia che ora andrà rifinanziata.
L’ ambiguità europea
Il fallimento dei programmi di aiuto europei e delle varie agenzie dell’Unione nel tutelare le vite dei migranti e nel monitorare le frontiere, non lasciano ben sperare per il futuro. Nonostante il continuo incremento di uomini e di mezzi tecnologici, il numero di naufragi tempestivamente monitorati rimane molto basso, tanto che i soccorsi scattano quasi sempre dopo una segnalazione e una richiesta di aiuto dei naufraghi stessi. C’è dunque da chiedersi se sarà possibile, in futuro, investire meglio le ingenti risorse usate, fin qui, solo per creare degli ennesimi, elefantiaci apparati burocratici europei anche nel campo dell’immigrazione. Di fronte ad un esodo epocale che dai Paesi del Sud del Mondo si dirige verso il ricco Occidente, l’atteggiamento dell’Unione Europea resta, ad oggi, non solo insufficiente ma, fondamentalmente, ambiguo. Nonostante con il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1997, le politiche migratorie degli Stati dell’Unione siano diventate materie di competenza comunitaria, tutto il peso della pressione migratoria che dall’Africa preme verso l’Europa è stato lasciato sulle spalle dei Paesi immersi nel Mediterraneo, come l’Italia. Da una parte dunque, con la carta dei diritti europei, si proclama il diritto d’asilo e si vietano le espulsioni collettive, e dall’altro si lascia che i migranti si imbarchino in condizioni disumane e vengano trattenuti, forzatamente, in centri altrettanto degradati nei Paesi di arrivo, impedendo di fatto la libera circolazione verso il cuore dell’Europa. Per questo le iniziative ambivalenti delle varie agenzie europee non hanno contribuito a trovare una soluzione al problema immigrazione. Pattugliare le frontiere con spirito umanitario è quasi un paradosso e lo stesso utilizzo di mezzi militari, come le pesanti navi da guerra, nell’operazione “Mare Nostrum” e in altre iniziative simili sembra indicare ben altri obiettivi oltre che il semplice soccorso in mare per i poveri naufraghi.
In ogni caso si spera che l’operazione intrapresa dall’Italia abbia successo e riesca a impedire tragedie come quella di Lampedusa, tuttavia finché l’Europa non riuscirà ad imprimere un indirizzo univoco e, possibilmente, concludente alle sue politiche di gestione dei flussi migratori, il problema delle stragi nel Mediterraneo non si risolverà. Da dove cominciare dunque per cambiare rotta?
Integrazione e sviluppo nel Mediterraneo
La Banca Mondiale, che comprende la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) e l’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (AID), è l’istituzione internazionale delle Nazioni Unite che si occupa di organizzare aiuti e finanziamenti agli Stati in difficoltà. Secondo quanto emerge dai dati raccolti dalla Banca, il flusso di denaro che i lavoratori emigrati inviano dai Paesi occidentali verso gli Stati da cui provengono è pari al triplo dei fondi stanziati per gli aiuti allo sviluppo dei Paesi più poveri e per la sorveglianza delle frontiere. Non è un caso che l’Africa, proprio in virtù di questo afflusso di capitali dall’estero, abbia iniziato un ciclo di crescita economica abbastanza sostenuto, nonostante tutti i drammatici problemi che ancora attanagliano il Continente Nero. Sarebbe dunque più opportuno investire risorse economiche nell’accoglienza e nella formazione dei migranti di cui l’economia europea ha, in ogni caso, bisogno piuttosto che finanziare anonimi e spesso ambigui programmi di protezione in sede europea. Così facendo si darebbe il via ad un circolo virtuoso che produrrebbe reddito negli stessi territori che oggi sono “ostaggio” dei flussi migratori e delle strutture più o meno detentive con cui si tenta di gestirli. Un modo per rimettere in piedi anche l’economia dell’Europa mediterranea, oggi in forte difficoltà. Solo una politica veramente comune in materia di immigrazione e di asilo, che tenga conto sia dell’interesse collettivo dell’Unione europea, sia delle specifiche esigenze di ciascun Paese all’interno dell’Unione potrà portare a soluzioni che consentano una crescita equilibrata sia nei Paesi da cui provengono i migranti, sia in quelli dove trovano ospitalità.