Quel pasticciaccio brutto del decreto del fare. Per carità, ci sono mali ben peggiori in questo momento per il nostro Paese ma anche la storia delle norme sulle incompatibilità dei sindaci-deputati-senatori ministri etc contenute nel decreto del fare non sono da nulla. Un pasticcio, appunto, risolto… nel peggiore dei modi.
Dal sito enti locali del Sole24ore di venerdì 9 agosto 2013: “Dopo il via libera del Senato alle modifiche introdotte durante l’iter di conversione del Dl 21 giugno 2013 n. 69, è arrivata dall’aula della Camera l’approvazione definitiva, il provvedimento è quindi legge”. Si tratta del decreto del fare e, si legge ancora nell’articolo, “tra le principali novità introdotte, l’Incompatibilità dei Comuni: si salvano solo i sindaci-deputati eletti prima del settembre 2011 ma si allarga la platea fino ai Comuni con 20 mila abitanti”.
Sono stati in tanti a tirare un sospiro di sollievo dopo l’approvazione della legge: da Borgomanero, in provincia di Novara, dove il sindaco Anna Tinivella è rimasta alla guida del paese pur essendo dirigente di ente pubblico (Asl), ad Avezzano e Celano, dove i due sindaci, rispettivamente Gianni Di Pangrazio e Filippo Piccone il primo dirigente della Provincia e il secondo parlamentare del Pdl, non sarebbero potuti rimanere alla guida dei centri abruzzesi (con relativa schermaglia e botta e risposta tra i due).
Tutto questo perché il decreto del fare stabilisce che la norma contenute nel decreto Tremonti del 2011 non è retroattiva e sarà applicata solo dalle prossime elezioni comunali.
Come (non) si prepara una norma.
Le commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera, incaricate di esaminare il decreto 69/2013, meglio conosciuto come decreto del fare, il 16 luglio 2013 approvavano in sede referente l’emendamento 29.05 che riporta “interpretazione autentica dell’articolo 13, comma 3, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di incompatibilità”.
Veniva così introdotto l’articolo 29-bis del decreto il quale prevedeva che “ai fini del contenimento della spesa pubblica per lo svolgimento di consultazioni elettorali locali”, la causa di incompatibilità prevista dal decreto Tremonti di due anni fa doveva essere applicata solo “alle cariche pubbliche elettive di natura monocratica relative ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione superiore a 5.000 abitanti le cui elezioni si siano tenute successivamente alla data di entrata in vigore” del suddetto decreto di Tremonti.
Cosa diceva il testo Tremonti.
Ma il testo in questione era chiarissimo nel senso che l’incompatibilità – che, va ricordato, era tra le cariche di deputato e di senatore, parlamentare europeo nonché le cariche di governo, da un lato, e “qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, dall’altro lato” – travolgesse tutte le posizioni che fossero esistenti alla “data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Con le modifiche approvate il 16 luglio, secondo il nuovo articolo 29-bis, l’incompatibilità avrebbe invece travolto le cariche di più fresca legittimazione democratica (cariche locali conseguite elettivamente tra 13 agosto 2011 ed in essere al 22 dicembre 2012 o successivamente) ma non quelle più risalenti (cariche locali conseguite elettivamente prima del 13 agosto 2011 ed in essere al 22 dicembre 2012 o successivamente).
Si gridò allora subito di norma salva-De Luca, perché avrebbe salvato il sindaco Vincenzo De Luca attualmente viceministro dei trasporti del governo Letta.
Se ne rendeva conto lo stesso presidente delle Commissioni riunite, deputato Francesco Boccia, che due giorni dopo proponeva la seguente riformulazione dell’emendamento approvato: “Ai fini del contenimento della spesa pubblica per lo svolgimento di consultazioni elettorali locali, la norma di cui all’articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, deve essere intesa nel senso che la causa di incompatibilità ivi prevista non si applica rispetto alle cariche pubbliche elettive di natura monocratica relative ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione tra 5.000 e 15.000 abitanti, le cui elezioni si siano tenute successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto”. Ma anche così scritta la disposizione rappresentava una violazione di numerosi precetti costituzionali.
Interpretazione autentica
Neanche un mese prima, proprio in tema di interpretazione autentica, era stata depositata la sentenza della Corte costituzionale (210/2013) con la quale palazzo della Cancelleria sposava la lettura della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di false interpretazioni autentiche: “è questa una qualifica non corrispondente alla realtà”, ha dichiarato la Corte concludendo per l’incostituzionalità della norma.
Tra l’altro il testo che si sarebbe voluto “interpretare” era la norma Tremonti adottata per far fronte ad uno dei rilievi della famosa lettera Draghi/Trichet dell’agosto 2011, in ordine al conflitto di interessi come elemento di costo degli apparati istituzionali italiani: non a caso la lettera d’intenti dell’allora premier alla Commissione europea, sui “compiti a casa” imposti dopo la crisi speculativa estiva, citava anche questo punto (“Verrà rafforzato il regime di incompatibilità fra le cariche elettive ai diversi livelli di governo“).
Quel testo quindi adempiva alle istanze europee e l’articolo 13, comma 3 non era poi così oscuro, prevedendo l’incompatibilità di tutte le posizioni esistenti alla “data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto” (22 dicembre 2012, data del decreto del Presidente della Repubblica n. 226 del 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 2012); nulla si diceva su di una seconda condizione, cioè che le cariche elettive interessate fossero solo quelle venute in essere precedentemente all’entrata in vigore del decreto Tremonti (13 agosto 2011).
Questo secondo requisito veniva introdotto con l’articolo 29-bis del decreto del fare e l’effetto assurdo era che la norma Tremonti diventava valida solo per le situazioni in essere al 13 agosto 2011 e permanenti al 22 dicembre 2012. Chiunque fosse diventato sindaco dopo il 14 agosto 2011, anche se eletto parlamentare il 25 febbraio 2013, non sarebbe stato più incompatibile; non solo così si creava una disparità tra amministratori locali pre-2011 o post-2011, ma si autorizzava il cumulo delle cariche per qualunque parlamentare si voglia candidare nelle prossime elezioni amministrative. E che sarebbe accaduto dei membri del Governo, per i quali la legge Frattini già prevede una generale incompatibilità (articolo 2, comma 1, lettera a)) a “ricoprire cariche o uffici pubblici … di amministratore di enti locali”? Sarebbero stati anch’essi salvi grazie a questa cosiddetta interpretazione autentica?
Una norma presentata come una forma di contenimento della spesa pubblica dalla dubbia validità costituzionale, introduceva così l’anomalia secondo cui l’incompatibilità avrebbe travolto le cariche più risalenti (cariche locali conseguite elettivamente prima del 13 agosto 2011 ed in essere al 22 dicembre 2012 o successivamente) e non quelle più recenti (cariche locali conseguite elettivamente tra 13 agosto 2011 ed in essere al 22 dicembre 2012 o successivamente). Quel che è più grave, è che dall’approvazione dell’articolo 29-bis sarebbe risultata la sanatoria nei confronti delle relative posizioni (il che, specie quando attinte da azione popolare, configura ingerenza legislativa in processi in atto).
Ma anche dopo le modifiche introdotte dall’Assemblea della Camera, l’articolo 29-bis continuava ad ignorare la sentenza n. 210/2013 della Corte costituzionale che ha cassato quella che “costituisce solo formalmente una norma interpretativa: è questa una qualifica non corrispondente alla realtà, che gli è stata data per determinare un effetto retroattivo, altrimenti non consentito. Infatti, come è stato precisato da questa Corte, «la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo”, in ragione di “un dibattito giurisprudenziale irrisolto” (sentenza n. 311 del 2009), o di “ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini» (sentenze n. 103 del 2013 e n. 78 del 2012)“.
Ma, ancora più grave, era il pericolo di ingerenza legislativa in processi in atto (che può confliggere con l’articolo 6 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: v. anche sentenza della Corte costituzionale 22-29 maggio 2013 n. 103).
Emendamento Buemi.
Al Senato però veniva approvato un emendamento presentato da Enrico Buemi che prevedeva la soppressione dell’articolo 29-bis scongiurando così il rischio di effetto retroattivo sotto mentite spoglie di interpretazione autentica.
La nuova interpretazione, poi, sarebbe valsa soltanto per i sindaci dei comuni con popolazione compresa nella forchetta 5000-15000 abitanti: come se un’interpretazione (qualitativa) potesse cambiare a seconda delle quantità!
In realtà sopra i 20.000 abitanti opera l’ineleggibilità voluta dall’articolo 7 del testo unico elettorale 8Dpr 361/1957), norma che fece scrivere alla Corte Costituzionale con la sentenza 277/2011 che la norma Tremonti indicava «una palese opzione per la introduzione di una simmetrica e corrispondente operatività fra condizioni di ineleggibilità e di incompatibilità, intesa a soddisfare proprio quella esigenza di “riequilibrio” atta a colmare quelle lacune legislative (segnalate anche dalle “prassi” adottate dalle Giunte per le elezioni di Camera e Senato di cui s’è fatto cenno)».
Pertanto, era semmai da valutare se “abbassare” la soglia dell’ineleggibilità dai 20.000 ai 5.000 abitanti: cosa che, correttamente, si fa agli articoli 3 e 4 del disegno di legge n. 862 (Adeguamento del diritto elettorale politico alle esigenze di trasparenza della vita pubblica) presentato in questa legislatura a firma dei senatori Buemi, Longo e Nencini (riprendendo il disegno di legge n. 3617 della scorsa legislatura).
Tutto e il contrario di tutto…
Ma con l’ultimo giro di giostra sulla conversione del decreto del fare il Legislatore ha voluto stupire tutti approvando con la sinistra ciò che cancellava con la destra: pur approvando l’emendamento Buemi soppressivo dell’articolo 29-bis, infatti, ne approvava un altro che, buttando alle ortiche ragionamenti troppo sottili come l’interpretazione autentica, stabiliva semplicemente che “le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, non si applicano alle cariche elettive di natura monocratica relative ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione tra 5.000 e 20.000 abitanti, le cui elezioni sono state svolte prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto”. Tradotto in soldoni: coloro che dovevano essere colpiti dall’incompatibilità al momento di scioglimento delle Camere, nel dicembre 2012, potranno cavarsela se erano già in carica al 13 agosto 2011.
Ora non si sa se questa norma sia una norma salva-qualcuno: De Luca, Piccone, Di Pangrazio o altri… di sicuro stavolta non c’entra Berlusconi.
Per la cronaca, dell’incompatibilità di De Luca si tornerà a parlare lunedì 2 settembre, al prossimo consiglio comunale di Salerno e tra un rinvio chissà se decideranno prima le sorti di De Luca o del Governo.
Evviva le conversioni dei decreti legge.