Le relazioni tra Europa e Stati Uniti stanno vivendo uno dei momenti più bassi dal dopoguerra. Il datagate, definizione giornalistica di una storia quasi fantascientifica, ha fatto emergere la fragilità dei rapporti tra nazioni “alleate”, caratterizzati in buona sostanza da un sentimento di paura nei confronti dell’altro.
È una questione di gerarchie: l’alleanza atlantica, nonostante i proclami e la cooperazione di facciata, ha sempre visto gli USA come primi inter pares, creando un sistema di “amicizie” fondata sulla volontà di uno. Le reazioni nei confronti delle vicende emerse, che talvolta sfiorano il grottesco, sono state variegate ma tutto sommato moderate o quantomeno attendiste, almeno a livello governativo.
Inimicarsi l’America non conviene a nessuno, almeno sul piano governativo, tuttavia bisognerà rispondere in qualche modo allo sdegno dei cittadini. Un’escalation diplomatica sembra molto improbabile, ma alcune conseguenze di breve periodo potrebbero essere significative: lo scandalo, infatti, è arrivato a pochi giorni dall’inizio di una delle trattative più importanti del nuovo millennio, quella su un accordo di libero scambio tra i mercati più ricchi del mondo.
Le ripercussioni economiche della vicenda rappresentano senza dubbio un aspetto importante, se non addirittura quello principale. La storia, anche recente, insegna che gli interessi commerciali superano spesso e volentieri le istanze relative alle libertà individuali.
Si tratta, nella fattispecie, di difendere un bene piuttosto etero come la privacy, che non ha un valore di mercato, impuntandosi su una questione di principio. Sono molti i portatori di interesse, dalle grandi multinazionali alle compagnie di trasporti, che avrebbero fatto volentieri a meno di scoprire che gli USA piazzano cimici nelle ambasciate, perché ai fini del profitto si tratta di una questione irrilevante, mentre l’eliminazione dei dazi doganali porterebbe un beneficio tangibile.
Gli Stati Uniti sono stati per anni il principale partner commerciale per le nazioni europee, trainando la domanda globale grazie agli incredibili livelli di consumo, dettati da un benessere diffuso. Tale posizione si è lentamente affievolita in favore dei mercati emergenti, come la Cina, l’India o il Brasile, il cui reddito cresce in modo esponenziale ormai da diverso tempo.
Il negoziato per la creazione di un’area di libero scambio intercontinentale serve prima di tutto agli Stati Uniti per rilanciare la propria economia, che ha subito fortemente gli effetti della globalizzazione in termini di livelli di produttività e quindi di competitività internazionale. I beni prodotti negli USA, infatti, diventano sempre meno attrattivi, in quanto relativamente costosi e non più qualitativamente superiori rispetto a quelli prodotti, ad esempio, in Asia.
L’abbattimento dei dazi doganali tra i paesi del blocco occidentale sarebbe dunque conveniente per gli USA, che potrebbero sfruttare a pieno anche la politica dell’Euro forte, nel tentativo di recuperare terreno in termini di bilancia commerciale. Alla luce del tasso di cambio, infatti, i cittadini e le imprese commerciali europee hanno un incentivo ad acquistare beni in dollari, mentre per gli americani le merci europee rimarrebbero costose, nonostante l’eliminazione dei dazi.
Tale scenario sembra peraltro destinato a perdurare: sotto quest’aspetto l’egemonia tedesca sull’economia continentale rappresenta una garanzia per l’amministrazione Obama, impegnata da anni in una battaglia sullo stesso tema con le autorità cinesi, che invece di apprezzare la loro moneta non ne vogliono sapere.
La trattativa, anche senza l’avvento di Snowden e del datagate, sarebbe comunque stata complicata, poiché sui mercati interni esistono posizioni dominanti che gli Stati non sono intenzionati a cedere senza adeguate contropartite. Oltre i dazi, esistono poi le barriere tecniche e normative sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza, sull’etichettatura, ostacoli questi non facili da superare.
I primi a minacciare il blocco della trattativa sono stati i francesi, anche se tale posizione si è affievolita con il passare dei giorni. Comprensibilmente, nessuno vuole assumersi la storica responsabilità di aver riportato indietro di 100 anni le relazioni diplomatiche e commerciali con il partner storico dell’Europa.
Ancor più della mancata concessione dell’asilo politico a Snowden, evento improbabile per le pesanti conseguenze che comporta, a dimostrare tutto il timore dei governi europei nei confronti del gigante americano è stato il mancato assenso al transito dell’aereo del presidente Morales, anche da parte dell’Italia.
La vicenda è particolarmente grave e dimostra la sudditanza nei confronti degli USA, le cui richieste vanno eseguite anche a costo di interrompere le relazioni con la Bolivia, sacrificabile sull’altare dell’alleanza atlantica. Alle parole di sdegno espresse dai governanti europei, dunque, difficilmente seguiranno azioni concrete, a meno che la protesta dei cittadini non trovi uno sbocco elettorale.
Tra gli elettori europei, che raramente si preoccupano della politica commerciale e più in generale della ragion di Stato, Snowden non è sempre additato come un mostro traditore della sicurezza americana e globale: un terzo dei cittadini tedeschi dichiara di essere disposto a nasconderlo, apprezzandone la battaglia di libertà. I governi, con le loro dichiarazioni, compiono voli pindarici per evitare di chiedersi se questo ragazzo americano, scoperchiando un vaso di Pandora, abbia commesso un reato grave oppure se il suo sia stato un gesto incredibilmente coraggioso.
In fondo Snowden ha fatto emergere una violazione nei confronti dei diritti del cittadino da parte di uno Stato straniero e qualcuno dovrà pur risponderne. Le tentazioni di rivalsa potrebbero arrivare soprattutto dalla Germania: aspirante potenza mondiale, leader indiscussa di questa Europa, avrebbe tutto l’interesse a dimostrare la propria forza politica in una situazione del genere. Se dovesse lasciar correre, il governo tedesco darebbe un segnale di debolezza, dimostrando di non essere ancora in grado di tenere la testa alta.
A partire da lunedì prossimo, quando il negoziato sul libero scambio inizierà ufficialmente, sarà possibile avere un’idea più definita delle posizioni in campo. Il comportamento delle parti, infatti, svelerà quale sia il peso attribuito ai diritti dei cittadini da un lato ed all’interesse economico dall’altro. L’occasione potrebbe essere propizia per la Comunità europea, che imponendosi ha la possibilità di portare finalmente in equilibrio un’alleanza chiaramente sbilanciata.
Tale scenario, tuttavia, è pregiudicato dalle ataviche disfunzioni politiche interne del vecchio continente, che anche in questa occasione si mostra disunito, senza una posizione comune. Emblematico il silenzio sul coinvolgimento del Regno Unito nello scandalo, in qualità di partner principale degli USA: se fossero stati effettivamente a conoscenza del sistema di spionaggio, in particolare per quanto concerne le sedi diplomatiche, la loro posizione sarebbe ancora più grave di quella americana.